Ricordo quando, in diverse circostanze, presentammo - va anche aggiunto: con successo - i vini valdostani a quel "grand public" delle Istituzioni europee, che è un parterre multietnico e che ogni tanto rimpiango con tutto il cuore. E mi capita che ciò avvenga non per una vaga nostalgia, ma perché c'è tanto da imparare dal crogiolo di culture, usi e costumi di questa Europa che dobbiamo tenerci stretta, una volta corrette certe storture, perché le alternative sono brutte. E il vino - che sia un «salute», un «santé», un «cheers», un «prosit»... - è una sorta di "esperanto" che ci avvicina tutti.
Fra i diversi sommelier intervenuti a Bruxelles, ricordo per il suo humor naturale Alberto Capietto, scomparso troppo presto e che è una di quelle persone - maledetta Morte! - che ti stupisci di non incontrare più per fare due parole e resta, per fortuna, la forza dei ricordi. A sentirlo allora raccontare dei vigneti eroici abbarbicati alle rocce, giusto sotto le vette, la Valle d'Aosta pareva un luogo di fiabe.