April 2014

Aspettando l'extraterrestre

Il caro, vecchio, MorkForse qualcuno ricorderà come, alla fine del 2012, una frase finì fra le prime notizie: "gli alieni esistono e sono tra noi". A pronunciarla, ma in un contesto di "fuorionda" con qualche elemento scherzoso tale da ingenerare qualche sospetto, fu il presidente russo Dmitri Medvedev. Giorni fa, in un'intervista televisiva, è stato, invece, l'ex presidente degli Stati Uniti, Bill Clinton, a sostenere che, date le dimensioni dell’universo, e la continua scoperta di nuovi pianeti, non siamo gli unici abitanti del cosmo. Anzi, ha aggiunto: «se fossimo già stati visitati, non ne sarei sorpreso». Per poi osservare: «potrebbe essere l'unico modo per unire il nostro mondo sempre più diviso. Tutte le differenze tra le persone della Terra sembrerebbero piccola cosa se ci sentissimo minacciati da un invasore extraterrestre».
Personalmente penso che sarebbe davvero da presuntuosi pensare di essere i soli nella vastità dell'Universo o forse, al plurale, degli Universi. Ricordo di aver vissuto, per qualche ora, il batticuore del giornalista che pensava di vivere atmosfera da "incontri ravvicinati". Il caso viene raccontato da chi analizzò scientificamente l’evento sotto il titolo "Quando la Rai inseguì l'ufo in aereo", a firma di Gian Paolo Grassino.
Così si spiega nell’articolo: «il caso che presentiamo si riferisce alla serie di avvistamenti di un corpo luminoso diurno avvenuto il 15 settembre 1985 e che ha interessato la Valle d'Aosta ed un ampia zona del Piemonte. La vasta eco di questo caso, riportato con grande risalto sui giornali ed in televisione, potrebbe forse giustificare il nostro interesse, indipendentemente dal fatto che le indagini immediatamente svolte abbiano portato ad identificare la causa delle centinaia di segnalazioni ricevute in un pallone stratosferico di grandi dimensioni, ma riteniamo che esistano anche altri particolari che possono giustificare un approfondimento su queste pagine».
Prosegue più avanti la spiegazione: "domenica 15 settembre 1985 i telegiornali serali di entrambe le reti "Rai" riportarono con risalto un servizio della sede di Aosta relativo all'avvistamento, prima da Pila (Aosta) poi dallo stesso capoluogo, di un "misterioso" corpo luminoso in cielo. Contemporaneamente venivano mostrate le immagini di un filmato, girato da bordo di un aereo da turismo noleggiato appositamente da una troupe della "Rai", di un piccolo corpo luminoso che cambiava diverse volte forma passando da quella circolare-ovoidale a quella di una specie di punto interrogativo, a quella di tre "cilindri" accostati. Il servizio segnalava inoltre che il radar di Milano Linate che copre il cielo di Aosta (il piccolo aeroporto aostano "Corrado Gex" di Saint-Christophe non è dotato di apparecchiature di rilevazione e il radar di Torino Caselle è ostacolato dalle montagne) su richiesta del pilota aveva rilevato la presenza dell'aeroplano, ma non aveva nessuna traccia riferibile sullo schermo riferibile all'oggetto che veniva osservato".
Poi l’approfondimento: "il 16 settembre, due gruppi dell'attuale sede provinciale di Torino del "Cisu" (formati da Alberto Garino, Gian Paolo Grassino, Camillo Michieletto, Massimo Nebbia e Edoardo Russo) effettuavano un sopralluogo ad Aosta dove, grazie alla collaborazione del giornalista Luciano Caveri, potevano visionare presso la locale sede "Rai" il filmato originale dell'Ufo ed intervistarne l'operatore. Parallelamente venivano intervistati il pilota dell'aereo e alcuni dei testimoni dell'avvistamento, compreso il responsabile della stazione meteorologica dell'aeroporto. Su questa base possiamo affermare che l'oggetto si trovava addirittura in territorio francese, sulla cittadina di Lanslebourg, ad una quota intorno ai 22mila metri. Di conseguenza la distanza in linea d'aria tra il pallone ed i vari avvistatori risulta compresa tra i 40 e gli 80 chilometri. Tracciando un quadro conclusivo, possiamo affermare con sufficiente certezza di aver individuato, in base ai dati raccolti, la causa della serie di avvistamenti del 15 settembre 1985 in un grosso pallone stratosferico di ricerca. Circa la provenienza, escludendo naturalmente la base italiana di Milo (Trapani), si può supporre francese: maggiore "sospetta" è la base di Aire-sur-Adour che proprio nel periodo in questione effettua abitualmente lanci sia per scopi civili che militari".
Così si stabilì. Posso dire una cosa? Io non ho ragioni su cui basare esiti diversi e mi inchino alla Scienza. Ma - almeno con la fantasia, che non costa nulla . qualche dubbio recondito su quell'oggetto così cangiante nel cielo mi è rimasto.
Mamma, mi sono perduto l'extraterrestre!

Provare stupore

Il gruppo degli 'Avengers'Confesso di essermi dovuto documentare su personaggi e storie di "The Avengers", la grande produzione cinematografica americana - ma appoggiata alla "Walt Disney" italiana - che ha scelto, per il prossimo film ("Age of Ultron") in uscita nel 2015, alcune zone della Valle d’Aosta per girare delle scene.
Che sia nata, nelle settimane passate con la troupe sul posto, una sorta di follia collettiva attorno al film deriva dal racconto di chi - mio amico - è andato a infilarsi nei provini per fare la comparsa, dove in fila c'erano un sacco di persone insospettabili di avere una vocazione attoriale. Ma anche nella febbre cresciuta sui "social" durante le riprese con foto "rubate", descrizioni del set, annunci sugli arrivi e le assenze dei grandi divi e anche tutto un filone umoristico sulla Valle d’Aosta "balcanizzata", visto che le parti girate qui da noi erano ambientate in un immaginario Paese del centro-est Europa.
Sono curioso di vedere che cosa sortirà nelle immagini che ci saranno nel film. Guardando a una serie di pellicole "ambientate" in Valle, specie sotto l'ala della "Film commission", si è visto un pochino di tutto e certo non si può pretendere che emergano solo "marchette". Vedremo cosa Hollywood ci riserverà.
Forse se una lezione "local" emerge da questa presenza artistica "global" è che è ora che ci guardiamo attorno per non sembrare ciechi a casa nostra. Mi raccontavano - relata refero - dello stupore del regista del film, Joss Whedon di fronte alla bellezza di alcune strutture architettoniche, come il Forte di Bard, il ponte romano di Pont-Saint-Martin o, con fierezza per il mio paese, del castello di Verrès. E' davvero un buon viatico per non avere gli occhi foderati di pelle di salame e saperci guardare attorno.
Troppo spesso - e lo vedo anche nei figli con orrore paterno - molte bellezze della nostra Regione, che siano naturalistiche, ambientali o culturali poco importa, sembrano sfuggire ai valdostani stessi, come se la frequentazione quotidiana dei luoghi finisse da far considerare come inutile ogni cognizione di che cosa ci sia attorno a noi è non ci spingesse a visitare e capire luoghi che hanno una bellezza unica e una straordinaria profondità storica. Come se gli occhi di un americano, specie per quella Storia così ricca che affascina sempre chi arrivi da Oltreoceano, finissero per consentirci di ritrovare quello stupore che abbiamo perso.
E’ vero che la quotidianità usura: chi abita di fronte al Monte Bianco o al Monte Rosa, chi si aggira sempre attorno al castello di Issogne o di Fénis, chi entra spesso a Sant’Orso ad Aosta o nel Santuario di Perloz finisce per farlo senza più quella meraviglia (nel senso letterale di stupore e sorpresa) che coglie chi non è vittima della routine. E' un torpore da cui ogni tanto dobbiamo scuoterci, per essere fieri della Valle d'Aosta.
Con Albert Einstein: «Chi non riesce più a provare stupore e meraviglia è già come morto e i suoi occhi sono incapaci di vedere». Amen.

Sulla fecondazione eterologa

Ricapitoliamo la vicenda: la Corte Costituzionale ha smontato, con sua sentenza delle scorse ore, la legge numero 40 del 19 Febbraio 2004 in materia di procreazione medicalmente assistita, nella parte che vietava la fecondazione eterologa.
Fino ad oggi in Italia era consentita solo la fecondazione omologa, vale a dire il seme e l'ovulo utilizzati nella fecondazione assistita devono appartenere alla coppia di genitori del nascituro
Ora si apre, come in tutti i Paesi occidentali, alla fecondazione eterologa, che consente che il seme oppure l'ovulo provengano da un soggetto esterno alla coppia, circostanza valida solo nel caso di coppie non fertili.

Alcol, divieti ma non solo

Un bevitore al barNon ho mai avuto problemi, nei controlli, per un tasso alcolico eccessivo in auto e sono da tempo cautissimo a bere se devo usare la macchina. Confesso che, se mi tocca guidare o bevo poco (giusto per educazione) o non bevo affatto, perché - al di là delle macchinette test nei locali, che trovo utili ma deprimenti - non so mai bene regolarmi per stare sotto la soglia.
Questo è ormai uno dei temi di conversazione più "gettonato" nel corso delle cene fra amici. Sul punto esiste una ricca aneddotica: da qualche celebre ma improvvido «lei non sa chi sono io!» finito malissimo a chi per il tasso elevato si è trovato a essere obbligato a un trattamento psicologico e ad un misterioso e spietato prelievo dei villi dello stomaco. Da chi ha aspettato un attimo fra un soffio e l'altro senza successo a chi è scampato grazie alla pausa ristoratrice.
Quel che mi turba di più è la messa all'asta dell'auto, in certe circostanze, che trovo essere un atto di una gravità inaudita, al limite della costituzionalità. Mi pare che abbia sortito come contromisura scambio di auto intestate fra moglie e marito, se festaioli, ma altri teorizzano che si va incontro in questi casi a multe salatissime.
Intendiamoci bene: ogni norma rigida è sacrosanta, perché l'alcol in auto uccide chi guida e chi non c'entra niente. Per cui non chiedo sconti e trovo davvero che il modello non deve essere solo quello dei pulmini in affitto o dei servizi taxi un tempo calmierati dal pubblico, ma il riferimenti può essere sempre più quanto ho visto fare nel Nord Europa. Ci sono quelli nel gruppo che rinunciano alle libagioni e portano a casa chi ha alzato il gomito e non può guidare.
Però non si può neanche sottacere che, nel migliore dei mondi possibili, non sono solo le misure repressive e la loro durezza che dovrebbero fare la differenza. Anche perché i dati sull'alcolismo in Valle negli ultimi rapporti noti sono sempre preoccupanti e la Valle d'Aosta è in testa percentualmente, purtroppo, alla classifica dell'alcool come causa di morte maschile e femminile fra le regioni italiane. Record tristissimo, che mostra come la severità automobilistica sia solo un aspetto macroscopico di un problema sociale. Problema che non si risolve con minacce e proibizionismi, ma proseguendo il cammino irto di difficoltà della "moral suasion" culturale e medica, che deve incidere su quei comportanti individuali che vengono chiamati "stili di vita".
Noto su questo, senza moralismi o giudizi inutili, che c'è molto da fare sull'aspetto preventivo per lavorare sia sui momenti di festa per divertirsi con consapevolezza sia nella vita quotidiana in cui - l'ho visto di persona su persone care - la parabola discendente della "scimmia" dell'alcol non dà scampo.

La violenza in democrazia

roma_manifestanti_contro_polizia.jpgE' una vecchia questione il tema della violenza nella lotta politica. Settant'anni fa, come oggi, era nel suo pieno il fenomeno della Resistenza in parte dell'Italia contro i nazifascisti. La violenza era sdoganata a vantaggio di una lotta per la democrazia, conteggiando anche tutte le vicende tragiche e non giustificabili, oggi oggetto di una giusta riscrittura del periodo resistenziale. Nulla è da mitizzare, ma non vale neppure il suo contrario, come vorrebbe certo revisionismo storico all'eccesso.
Alla Resistenza si è improvvidamente rifatta nelle sanguinose vicende, a partire dagli Settanta, quella galassia di terrorismo di Sinistra, "Brigate Rosse" comprese, che cercavano riferimenti nobili per giustificare la loro ingiustificabile violenza contro lo Stato. Una visione ideologica ingiustificabile che generò orrore. Ricordo personalmente la parabola di alcuni miei coetanei che orbitavano da ragazzi nell'area di quella che veniva chiamata "Autonomia", che per alcuni fu anticamera verso il terrorismo.
Cambiando scenario, chi milita a difesa dei popoli minoritari ricorderà - solo per far tre esempi - gli avvenimenti luttuosi, sbagliati e inutili, nei Paesi Baschi o quell'intrico fra nazionalismo e clan mafiosi della "questione corsa" per non dire della complessa e dolorosa vicenda dell'Irlanda del Nord. Casi diversi fra loro, ma con il comune denominatore di violenza che generava violenza, in un cortocircuito che non risolveva i problemi e insanguinava quei territori. Non è mai stata questa la strada giusta per la libertà dentro sistemi democratici.
Ci pensavo ieri, guardando in televisione la periodica scorribanda, questa volta nel cuore di Roma, di quei gruppi organizzati di area "rivoluzionaria" che di tanto in tanto spuntano con la violenza come scelta "antagonista". Ho visto la foto del ragazzo con la mano devastata dal "petardo" (uso le virgolette non a caso), che si apprestava a lanciare verso le Forze dell'ordine. Queste proteste, che incrociano non a caso le manifestazioni pacifiche di disagio sociale, sono un fenomeno che non va mai taciuto. Nella tragedia degli opposti estremismi, a fare da contraltare c'è la crescita dei gruppi di estrema destra "sociale", anch'essi intrisi di quella violenza che in Italia ha generato un filone di terrorismo dal volto feroce.
In epoche di transizione e di incertezze, sono fenomeni su cui vigilare.

Europee e "Federalismo"

Alessia Favre con Luca Barbieri, candidato della coalizioneNoto che, con l'approssimarsi delle elezioni europee del prossimo 25 maggio, si dicono o si scrivono delle cose inesatte sulla partecipazione della Valle d'Aosta a questo appuntamento elettorale.
Questa riflessione sul passato si accompagna ad un passaggio, ascoltato nel Congrès dell'Union Valdôtaine Progressiste svoltosi sabato, di un giovane autonomista trentino che invitava - beata gioventù! - a riflettere su uno scenario di maggiori alleanze e collaborazioni fra i movimenti autonomisti.
In effetti, in epoca diversa e con geometrie variabili nelle alleanze, la lista "Federalismo" (non sto a tediarvi con le dizioni leggermente diverse succedutesi nel tempo) copre un lungo periodo di tempo che inizia con le prime elezioni europee democratiche del 1979. Quando i valdostani, non ottenendo una circoscrizione elettorale garantita come esiste per il Parlamento con norma statutaria, si trovarono costretti ad arrabattarsi alla caccia di un seggio per Strasburgo. Da qui l'idea, di cui Bruno Salvadori fu ispiratore per poi scomparire prematuramente nel 1980, di aggregazione di forze autonomiste in parte espressione anche di minoranze linguistiche.
Per capirci la prima volta, con lista presentata in tutta Italia, non ottenne l'eletto, nel 1984 e nel 1989 stesso copione con l'elezione in entrambe le tornate elettorali di un sardista, ma non scattò la rotazione degli eletti, che avrebbe consentito ad un valdostano di sedere per un certo periodo nel Parlamento europeo. Conseguenza: la rottura con il Partito Sardo d'azione e "Federalismo", ristrutturato, si presentò di nuovo nel 1994 in tutta Italia senza ottenere un eletto. Nel 1999, penultimo atto della lista "Federalismo", che però per la prima volta si presenta solo nel Nord Ovest, usando l'apparentamento con i "Democratici" ed io diventai il solo eletto valdostano finora a Strasburgo. Nel 2004 l'apparentamento con l'Ulivo nella stessa circoscrizione chiude la presenza di "Federalismo", senza l'eletto. Cinque anni fa ad usare l'apparentamento furono due schieramenti autonomisti contrapposti, uno - l'odierna Alpe - corre con Antonio Di Pietro, mentre Union Valdôtaine e suoi alleati corrono con Silvio Berlusconi. Per entrambi un nulla di fatto. E veniamo ad oggi: chi voleva una lista apparentata nel Nord Ovest con il Partito Democratico, UVP ed Alpe - non riesce a farla per l'obbligo inaccessibile di raccogliere le firme, mentre chi può farlo - UV e suoi alleati autonomisti - ci rinuncia, malgrado non dovesse raccogliere firme, avendo parlamentari eletti. Insomma: chi ha denti non ha il pane...
Spero che tutto sia chiaro e che ci sia un po' di memoria sulla scelta suicida dell'UV cinque anni fa di alleanza con Berlusconi, visto che c'è chi conta - come esercizio di continuo equilibrismo - sulla smemoratezza dei valdostani.
"Federalismo" non era solo una lista, ma un'idea di aggregazione in crisi per tre ragioni.
La prima: a cavalcare il federalismo arrivò, senza alcun esito e svuotando la portata dell'idea, la Lega con i risultati ben noti.
La seconda: i partiti autonomisti forti non andarono al di là di questa alleanza elettorale e mancò sempre nel gruppo il gigante sudtirolese, la SVP.
La terza: nei momenti d'oro mancavano tecnologie che consentissero contatti facili e frequenti, come oggi sarebbe possibili, fra partiti e movimenti. In certi momenti, l'unica fucina di idee e di lavoro comune furono i Gruppi alla Camera e al Senato, quando i parlamentari valdostani contavano qualcosa e sapevano dialogare con gli altri.
Tutto è perduto? Certamente no e lo spostamento della Lega verso un'estrema destra incompatibile con il federalismo lascia grandi spazi, sapendo che per i grandi partiti italiani il periodo del federalismo, pur di cartapesta, è ormai tramontato.
"Federalismo" avrebbe insomma la possibilità per rinascere, adeguato ai tempi, dalle proprie ceneri.

Il dibattito sulla Montagna

Il 'logo' della 'Università della Montagna'Capita, per seguire la situazione del dibattito sulla montagna, di risalire la Valle Camonica nel bresciano, sino ad Edolo, nella sede del Corso di Laurea triennale (laurea breve) in "valorizzazione e tutela dell'ambiente e del territorio montano" nell'ambito del Dipartimento di scienze agrarie dell'Università di Milano. Un po' enfaticamente definita "Università della Montagna", ma giustamente ognuno occupa spazi non occupati altrimenti (il prossimo anno si iscriveranno cinque valdostani...) e la primogenitura conta, così come la scelta per nulla banale di aprire un centro universitaria davvero nel cuore delle Alpi in un Comune di quattromila abitanti dalle antiche radici camune.
Personalità le più varie si sono trovate per riflettere su questo famoso territorio alpino che, nel versante sud sul territorio italiano, ha una situazione politico-amministrativa molto differenziata e anche consapevolezza sull'identità montanara molto diverse. Lo scrivo come valdostano e lo faccio con fierezza perché se c'è un terreno su cui nessuno può darci il solito «ricchi e privilegiati» è proprio una riflessione sulla montagna, la sua storia e i suoi diritti, legandola al pensiero autonomista, perché senza autonomia la montagna muore.
Il «che facciamo?» è un tormentone che conosco da un trentennio e ogni stagione ha i suoi problemi. Oggi, ma è la mia chiave di lettura, esistono due dimensioni, apparentemente distanti fra di loro, ma in realtà legate da un destino comune e chi conosce la sussidiarietà.
Prima di arrivarci, diciamo che sulla montagna possono agire due movimenti in contemporanea. Il primo è la sussidiarietà verticale, che dà la preferenza all'istanza istituzionale più vicina ai cittadini (e di conseguenza territorialmente meno estesa) nell'attribuzione delle funzioni pubbliche. Tale preferenza vale solo per le funzioni esercitabili da ciascun livello, nel senso che essa recede davanti all'inadeguatezza dovuta ad una dimensione troppo limitata a vantaggio, in una logica di desistenza, del livello immediatamente superiore. Una scala che si deve risalire, ma anche scendere, secondo i casi.
A livello istituzionale questo vuole dire - e lo segnalavo poco sopra - due aspetti, uno in alto e uno in basso. I problemi montani e le politiche conseguenti vedono un ruolo dell'Unione europea in cima, per così dire, alla piramide, mentre la piramide poggia su un sistema di autonomie locali del tutto in fibrillazione per l'impatto sui territori montani delle riforme in atto sugli enti locali con la fine delle Comunità montane e la messa in discussione della vita stessa dei Comuni piccoli e medi anche attraverso la formula delle "unioni". Cosa ci sia alla fine bisognerà capirlo prima - penso anche a quel che capiterà in Valle - per evitare un "tritacarne".
Vi è poi una seconda sussidiarietà, anch'essa da applicare in zona montana, quella orizzontale, che riguarda il rapporto tra Stato e società, fra pubblico e privato. Per capirci: non solo istituzioni, ma tutto quello che fonda, anzitutto con i montanari protagonisti, una rete coerente fra le diverse zone alpine e un'identità aggregante, pur a fronte di sfumature diverse di ogni diversa identità.
Si vola alto? Può darsi, però - in epoca di banalizzazione di troppo cose - bisogna evitare la routine.
Ci penso anche rispetto all'autonomia speciale della Valle d'Aosta, con la frase dello scrittore québécois, Yves Thériault: «C'est terrible de se laisser prendre dans sa routine, on s'enlise, on se sent en sécurité. Et puis, tout à coup, on s'éveille, et il n'y a plus rien...».

Fra ombre e Far West

Fulvio Centoz al Congrès UVPCi torno oggi, a qualche giorno di distanza, per lasciare qui un ricordo. Mi riferisco al primo Congresso dell'Union Valdôtaine Progressiste, dove penso di aver parlato una dozzina di minuti. Niente di storico, per carità, ma alla fine ho ritrovato - come cronaca sul giornale - solo una battuta «Centoz di questi giorni!» (per altro scippata ad un amico). Mi riferivo al fatto che il giovane segretario del Partito Democratico, creando una polemica ora rientrata da parte dei tre consiglieri regionali del suo partito, aveva profittato dell'assise progressista per togliersi qualche sassolino dalla scarpa ad uso interno e non per un saluto in casa altrui.
Mi spiace che del mio discorso, certo per colpa mia, non siano apparsi - tranne che per i presenti - due passaggi che ritenevo suggestivi e meritevoli di apparire, ma capisco di sfociare nell'autocelebrazione e già me ne pento...
Il primo è stato l'uso del celebre "mito della caverna" di Platone, ispirato dalla singolare circostanza che - a causa di un pilone di cemento nel salone - dei segretari dell'Union Valdôtaine, Ennio Pastoret, e della Stella Alpina, Maurizio Martin, sentivo la voce ma vedevo solo le loro ombre sullo sfondo, in un gioco immaginifico.
E delle ombre, come ricorda Platone, bisogna diffidare. Perché? Perché lui immagina, nel suo racconto, che delle persone imprigionate da sempre in una caverna vedano solo ombre riflesse sulla parete, frutto di oggetti trasportati all'esterno, le cui sagome vengono proiettatela sul muro a causa di un fuoco che si trova alle spalle delle persone intrappolate. Quindi - storia interessante anche per il nostro mondo, pieno di immagini ingannevoli - quel che vedono è fasullo. Sarà una persona che riesce ad uscire dalla caverna, dapprima abbagliata, a spiegare poi ai suoi compagni, del tutto scettici in prima battuta per la forza dell'abitudine e la paura dell'inganno, che il mondo vero e libero esiste davvero e non c'entrava nulla con quella riproduzione fittizia che vedevano sulla parete della loro prigione. Magnifica metafora di chi, nella politica valdostana, è ancora vittima di una situazione fasulla e ingannevole, da cui vale la pena di liberarsi, avendone forza e consapevolezza: altrimenti si resta schiavi e "ombre". Ricordando, tra l'altro, che il triste Carlo Dossi scriveva, a rafforzamento del ragionamento: «il falso amico è come l'ombra che ci segue finché dura il sole».
Il secondo passaggio è la forza dei film western, che fossero americani o "spaghetti-western", con le loro banalizzazioni salvifiche - impresse nella formazione giovanile nei cinema di paese - del pistolero buono che sconfigge quello cattivo (ritrovabili anche nel fumetto formativo "Tex Willer") per non dire, cosa di chi vergognarsi ancor oggi, dell'adesione infantile alla rappresentazione degli indiani come giusta preda di cowboy e giubbe blu. Ma restava, comunque, quella frase del Capo indiano, da cui emergeva un'antica saggezza, apprezzata briciola del relativismo culturale che poi trionferà, come consapevolezza: «Io non avere lingua biforcuta». Dovrebbe essere questo ammonimento, nell'attuale fase politica, un punto di riferimento e una freccia che indica la strada per il futuro.
Dirsi le cose senza secondi fini, ma con un fine solo: voltare pagina.

Dietro l'espressione "Renaissance"

Il documento programmatico presentato in Consiglio ValleScegliere un titolo unificante per un periodo storico è sempre stata una giusta tentazione e ovviamente l’uso di un certo termine finisce poi per poter essere decontestualizzato per usi diversi.
E' il caso della scelta delle minoranze in Consiglio Valle di definire il proprio manifesto politico, come programma alternativo a quello della maggioranza, come "Renaissance".
L'utile "Treccani" ci supporta in un viaggio che ci può aiutare a ricordare come il Rinascimento - definizione trasferita tardivamente in italiano dal francese, in cui si affermò grazie alla voce di Jean Baptiste Le Rond D'Alembert nel "Discours préliminaire de l'Encyclopédie" - sia stato un "periodo di storia della civiltà che ebbe inizio in Italia con caratteristiche già abbastanza precise intorno alla metà del 14° secolo ed affermatosi nel secolo successivo, caratterizzato da una fruizione consapevolmente filologica dei classici greci e latini, dal rifiorire delle lettere e delle arti, della scienza e in genere della cultura e della vita civile e da una concezione filosofica ed etica più immanente.
Destinato a estendersi successivamente e a differenziarsi nei diversi campi della cultura e dell'arte, ma con vaste risonanze in ogni settore della vita e dell'attività dell’uomo, il moto rinascimentale oltrepassò presto i confini dell'Italia per diffondersi negli altri Paesi europei.
I suoi limiti cronologici possono fissarsi con buona approssimazione tra la metà circa del Trecento e la fine del Cinquecento, anche se alcuni studiosi tendono a circoscrivere l'arco cronologico tra il 1400 e il 1550, altri tra il 1492 e il 1600"
.
La sintesi offerta dalla "Treccani" è così riassumibile, estrapolando qualche frase: "la Renaissance è stata una "rivoluzione" che ha aperto la via alla civiltà moderna quale epoca di illuminazione progressiva in antitesi con le tenebre medievali"; "il Rinascimento si pone consapevolmente come rottura, costruendo la propria immagine nei termini di un programma di rinnovamento contro una civiltà esaurita: una cultura luminosa che si oppone a un mondo tenebroso di barbarie"; "per gradi, il risorgimento dell'antichità classica diventa rivoluzione, una grande "rivoluzione culturale" che investe tutto il pensiero filosofico e scientifico, le arti e l'architettura, la politica e il diritto, la vita religiosa, mentre il mito dell'antico si estende e si trasforma".
Si potrebbe aggiungere molto a questi brevi cenni, ma quel che conta è come un riferimento si possa oggi trasformare in un titolo applicato all'attualità.
Io penso che "Renaissance" significhi, prescindendo da tempi e modalità con cui avverrà il cambiamento, un cambio di passo e di scenario nella politica valdostana. L'inesorabile accentramento di potere (oggi arroccamento su posizioni indifendibili) su di una sola persona, con una vera e propria deriva autoritaria, che sembra ormai - pur sul viale del tramonto - oltrepassare ogni logica, assume sempre più un carattere anacronistico, fuori da ogni logica e contrario radicalmente al senso di comunità che i valdostani devono pretendere, specie da parte di chi - in area autonomista - si appella, senza provarne vergogna, ai valori di libertà del federalismo.

Sui rischi in montagna

Con l’addendo del lungo periodo, ancora insidioso per la neve in quota, che va da Pasqua sino al 1 Maggio, si chiude una stagione invernale, con coda primaverile, caratterizzata sulle Alpi da moltissimi incidenti in montagna. Ce ne sono stati di vario tipo: scialpinismo con valanga, sulle piste con urti violenti, incidenti d’alpinismo in parete e anche morti con le tute alari. Purtroppo in molti casi non sono stati dei dilettanti a lasciarci la pelle, ma dei professionisti, comprese delle guide alpine.

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