April 2014

Il clamoroso testamento di Sant'Anselmo

L'interno della cattedrale di CanterburyLa giornata di oggi è certamente la più adatta per comunicare questa notizia ricca di interesse e prospettive per la Valle d'Aosta. E' proprio vero che, talvolta, nelle vicende della Storia risultano dei disegni imperscrutabili. Specie se, come nel caso in esame, ci sia come protagonista il più internazionale dei Santi valdostani, Sant’Anselmo d’Aosta, teologo, filosofo e uomo di Chiesa.
La notizia cui mi riferisco è di queste ore: il ritrovamento di un antico documento medioevale negli archivi della Cattedrale di Canterbury, la città del Kent dove, il 21 aprile 1109, all'età di settantasei anni, Anselmo morì. All’epoca, come ricorderete, il Santo - nelle travagliate vicende dell’Inghilterra del tempo - era arcivescovo di Canterbury.
Si tratta di un testamento che riguarda la proprietà della, ad essere precisi, "Cattedrale primaziale metropolitana di Nostro Signore di Canterbury", che è poi un insieme di antichi edifici storici, che danno vita ad un vero e proprio complesso polifunzionale, che tra l’altro ha ottenuto dall'Unesco il label di "Patrimonio dell'umanità". Ho avuto il privilegio di visitare, quando ero presidente della Regione, questo straordinario e millenario insieme di opere d’architettura e d’arte. Avvenne il 21 aprile 2006, giorno della festa del Santo, quando fu inaugurato e consacrato, nella cattedrale inglese, un altare-sepolcro, donato dalla Valle d'Aosta alla comunità così legata alla vita di Anselmo, realizzato in marmo verde delle cave valdostane. Autore dell'opera, oggi visibile nella chiesa, l'artista londinese Stephen Cox.
Ma veniamo al testamento: si tratta della decisione di donare l'intera Cattedrale e i suoi annessi alla Valle d'Aosta, almeno così è stata ricostruita dai giuristi quell’espressione adoperata di "Vallis Augustae", ritrovata nel documento. E' stato il "Foreign Office" a contattare negli scorsi giorni la Presidenza della Regione Valle d'Aosta per comunicare la notizia, dopo gli opportuni contatti con il Segretariato di Stato del Vaticano. Già nel prossimo Consiglio regionale - se ci sarà il numero legale - il bene verrà accolto nel Demanio regionale con delle conseguenze assai positive per la nostra Valle, che potendo contare su questa prestigiosa "exclave" in Inghilterra non dovrebbe più avere problemi, come fino ad oggi, a trovare finanziatori per le cosìdette "grandi opere". Pare certa la nascita di una "società di scopo" per la valorizzazione del bene, per la cui Presidenza sono in ballottaggio un'anziana perpetua della Val d'Ayas e un giovane campanaro di Ozein. Si parla anche di un traforo stradale di un migliaio di chilometri che colleghi direttamente Aosta con Canterbury.
«Scherza con i Fanti e lascia stare i Santi».
Va bene!

Una riforma pericolosa

Il comma che ci riguarda del disegno di leggeChiunque in Italia sia un essere pensante non può non dare qualche credito a Matteo Renzi e al rischioso ruolo che si è assunto con la decisione di andare a Palazzo Chigi. Lo ha fatto, in una situazione difficile, dimostrando di essere rapido ma anche un pochino cinico, con una picchiata vertiginosa ed è ancora in volo per nuove missioni difficili sul filo, ormai reiterato, del «se non ottengo quel che voglio, me ne vado».
Nella palude della politica italiana, ci voleva un rivolgimento secco, anche se - ad essere franchi - si basa su alleanze di governo che sono già in partenza piene di lacci e lacciuoli per il limite intrinseco di una maggioranza attaccata con lo "scotch" e basata sulla non belligeranza del sempreverde Silvio Berlusconi, che ha una sua personale tempistica "Cicero pro domo sua" (aspetta l'amnistia?).
Ma trovo che, nel continuo "conto alla rovescia" per fare in fretta, ci sia nel mirino del giovane fiorentino una priorità che personalmente non capisco. Si tratta dell'abolizione del vecchio Senato con la nascita del "Senato delle autonomie", già istituzione inutile prima di essere partorita, perché programmata per essere priva di poteri reali e con un equilibrio numerico a detrimento delle Regioni, indebolite dalla scelta. Questo sortirà un monocameralismo di fatto, che seppellirà - in questa Terza Repubblica - ogni seconda Camera di vaga impronta federalista, che era la strada per modificare il bicameralismo perfetto o, se preferite, simmetrico. E' probabile che questa scelta della sola Camera dei deputati elettiva e "che conti" sia bene accetta da ampia parte dei cittadini, che ormai quando vedono un'Assemblea di eletti vedono rosso e imbracciano un fucile mitragliatore per sparare a causa del degrado delle funzioni parlamentari e di una classe politica indifendibile nel suo complesso.
Ma non fa solo questo il rullo compressore di Palazzo Chigi, perché la manovra ha in contemporanea una profonda revisione in senso neocentralista dell'impianto costituzionale repubblicano. Il regionalismo rafforzato dell'inizio degli anni Duemila fa un brusco passo indietro e si torna ad un regionalismo anni Settanta, ai suoi esordi per le Regioni a Statuto ordinario. Nel caso delle autonomie speciali, come la Valle d'Aosta, il testo varato in fretta e furia, dal Consiglio dei Ministri è peggiore della bozza sino ad oggi circolata. Siamo di fronte ad uno Stato che si riappropria di una marea di poteri e competenze e che ottiene un sacco di meccanismi di controllo sul regionalismo e sul sistema autonomistico. Un dietro front incredibile e che colpisce a fondo non dico un federalista, ma anche un regionalista della domenica. Anche in questo caso parte dell'opinione pubblica e dei giornali plaudono a questa "tabula rasa", che schiaccia finalmente Regioni e Enti locali, assurti da tempi a simbolo di spreco e di stupidità. Sono pochi quelli che osservano che il ritorno al centro sarà un clamoroso autogol e - lo dico sommessamente - una scelta gravemente lesiva di quella costruzione pur imperfetta e lentissima a realizzarsi che fu la vigente Costituzione. Nel caso delle Speciali, di cui apparentemente viene confermata l'esistenza in vita con il 116, c'è un comma nelle norme transitorie che prevede che i contenuti della legge costituzionale siano immediatamente applicabili, aspettando la riforma dei singoli Statuti. Dunque, attendendo, si applica tutto quanto e questo colpisce gli Statuti vigenti in materie decisive sia dal punto dell'ordinamento, compresa la parte finanziaria, In più eventuali modifiche future dello Statuto - senza il principio dell'intesa - potrebbero essere ancora peggio. Ho letto di chi si bea di clausole di salvaguardia che nel testo non ci sono!
Certo si è all'inizio, per cui l'iter di una riforma costituzionale è lungo e complesso e vi sono garanzie di voti a maggioranza assoluta, ma colpisce che sia una priorità così assoluta e al passo di corsa dei bersaglieri, mentre le norme costituzionali vanno prese con il passo lento e cadenzato degli alpini. Magari ci si mette un pelo in più, ma si evita il fiatone e pure il rischio di caduta.
Spero nella ragionevolezza, ma non bisogna essere conformisti nel fare le critiche.

E vissero felici e contenti...

Cenerentola dopo la fine della fiabaMi è sempre piaciuto inventare fiabe per i miei figli. Niente di lungo o complicato, ma storielle brevi che li facessero sorridere prima di dormire. Non solo degli "usa e getta" perché, dai e dai, qualcosa di certo resta a cementare il rapporto affettivo con tracce che rimangono nella vita. E' vero che il più piccolo ha la possibilità di avere più racconti dei suoi fratelli maggiori, perché oggi sono meno in giro di quando loro erano in età da narrazione prima della nanna.
Certo dietro alle fiabe o favole, specie le più conosciute, ci sono storie antiche cui si aggiungono e tolgono pezzi nel passaggio, codificandosi infine nei testo scritti dei diversi autori. Ma ogni fiaba può essere smontata e rimontata con diverse chiavi di lettura, che mostrano appunto la ricchezza di questi racconti.
Certo, al di là della memoria che ciascuno di noi ha delle fiabe che gli sono state raccontate, quel che colpisce - e ne sono vittima anch'io nelle mie storielle - è la classica formuletta di chiusura «e vissero felici e contenti». Questa questione della felicità mi ha sempre colpito, più della contentezza, perché il latino "fēlix" deriva dalla stessa radice verbale "fē- allattare, nutrire" di "fēcŭndus fertile, produttivo". E' una parola piena e completa, che indica uno stato d'animo che capisci con immediatezza.
Ricordo come nella celebre "Dichiarazione di Indipendenza" americana del 4 luglio 1776 si apre con un'affermazione che all'epoca deflagrò come una bomba: «A tutti gli uomini è riconosciuto il diritto alla vita, alla libertà e al perseguimento della felicità». Sono, nel messaggio in bottiglia di quel vecchio documento, diritti naturali garantiti a ciascun individuo. Ovviamente un punto di arrivo, come sappiamo bene nel tempo trascorso da allora ad oggi.
Ci pensavo in queste ore in questa piccola Valle d'Aosta su cui grava una sorta di cappa, simile a quel grigiore che dalle ciminiere della "Cogne" ancora negli anni Settanta si depositava sulle lenzuola bianche che venivano messe ad asciugare sui balconi in città. La democrazia non può essere vilipesa da un uso distorto delle regole, perché questo influenza in negativo la vita, la libertà e la felicità, come elencate nei principi che ho appena citato.
I totalitarismi non sono una cosa sola, perché in tutte le cose umane esiste una graduazione. Per cui dire che in Valle d'Aosta esiste una dittatura è un'iperbole, ma far finta che non esistano storture, errori, malcostume e germi che preoccupano e distruggono anche l'immagine della Valle d'Aosta all'esterno è altra cosa. Siamo su una china discendente, che preoccupa e che va fermata e ne va della qualità della nostra vita comunitaria e del livello di democrazia delle nostre istituzioni.
Non ci può essere indifferenza per quel che avviene, altrimenti la formula «e vissero felici e contenti» è una bugia che raccontiamo ai nostri bambini sin da piccoli.

Per evitare una farsa che sia tragedia

Ho una fissazione per la Storia e non solo perché è stata una parte forte della mia formazione universitaria, ma perché trovo che nel passato si trovi sempre qualche cosa di istruttivo per il presente e anche - ça va sans dire - per il futuro. Quel che è importante è non lasciarsi solo trascinare dagli eventi, come una foglia secca che galleggi in un ruscello, ma governare le cose, per quanto ovviamente nelle proprie possibilità.
Così per la nostra Valle d’Aosta, caratterizzata da sempre da questo afflato di autogoverno, diverso a seconda delle epoche e delle istituzioni di ciascun periodo. In un ideale grafico del tasso di libertà, anch'esso graduato a seconda del secolo in cui si situa, ci sono state salite e discese, di cui spesso i protagonisti non sono stati totalmente consapevoli. La capacità previsionale delle vicende storiche, quando le si vive, è uno dei miei rovelli, perché bisogna sempre stare accorti prima che qualcuno ti sfili la sedia da sotto il sedere senza che tu te ne sia accorto.

Läbwòl, Vittorio!

Vittorio De La Pierre con Laurent ViérinQualche giorno fa, a Roma, ho tenuto una conferenza su un tema eccentrico ma interessante, che mi era stato proposto al momento dell’invito: "Nomadismo e montagna". Non sto qua a riprendere punto per punto il senso del mio intervento, perché in realtà lo uso solo come pretesto. Chiaro che, essendo il termine nomadismo legato alla pastorizia e al movimento di mandrie e greggi, parlando di una realtà alpina come la nostra non si poteva che citare il legame stretto fra la popolazione valdostana più antica, quella che addomesticò le razze bovine ancora presenti oggi, e la pratica di spostamento sempre più in alto, nel cuore dell’estate, sino a raggiungere gli alpeggi che costeggiano le cime e i ghiacciai.
Ma non poteva mancare nell’esposizione il racconto su quella popolazione di coloni, che conquista a partire dall'anno 1000 varie zone delle Alpi, partendo dall'Alto Vallese, con una logica da Far West per sfruttare le terre più alte e più difficili delle testate di valli, come avvenuto nella nostra Valle del Lys, in analogia con vicine vallate del massiccio del Monte Rosa. Il popolo Walser, pur disperso in diversi Stati nazionali, ha mantenuto legami fra le comunità e coltiva un’identità resa sempre più difficile in un mondo aperto, che colpisce le comunità più piccole e più fragili.
Ma ancora oggi c’è chi si batte non per affermazioni micronazionalistiche, che sarebbero anacronistiche, ma per conservare eredità e tradizioni antiche. Ci pensavo ieri, raggiungendo Gressoney-Saint-Jean, per i funerali del noto medico Vittorio De La Pierre, con cui esisteva un legame di parentela che dovrebbe essere meglio esplorato, visto che la mia bisnonna paterna era anch'essa una De La Pierre. Ci scherzavamo spesso su questa cuginanza (compresa una sua sfortunata candidatura alle politiche del 1987, quando fu avversario del mio coéquipier César Dujany per il seggio senatoriale) e sul comune interesse, per me in politica e per lui nella sfera culturale, di mantenimento delle peculiari caratteristiche di questa minuscola popolazione di parlata germanica.
Vittorio ha presieduto la "Consulta Walser" negli anni di applicazione della norma costituzionale (40 bis dello Statuto), che ha riconosciuto il particolarismo nel particolarismo e anche la parte che li riguardava nella legge - a beneficio anche degli altri Walser del Rosa - 482 del 1999 di tutela delle minoranze linguistiche storiche. Il suo era un lavoro paziente e attento, frutto di un amore smisurato per la sua comunità e anche per questo guardava ai giovani con speranza, augurandosi che si dimostrassero impegnati a tenere accesa la fiammella di una storia secolare di occupazione e di trasformazione di quella parte bellissima del territorio della Valle d'Aosta.
Ora questa figura significativa dei Walser e della versione più valdostana di quella loro civiltà ("Kultur" in tedesco) così ricca ci lascia e lo ricordiamo per il suo impegno per la sua gente, ma anche anche per il resto della Valle d'Aosta, nella sua attività di medico d'altri tempi. Era gentile e disponibile, specie con tanti clienti meno abbienti, cui spesso non chiedeva un soldo. Un impegno civico importante e da ricordare.
Läbwòl, addio, Vittorio!

Secessionisti da operetta

Il carro armato 'rustico' degli indipendentisti venetiCon l’ideologo del gruppo di secessionisti arrestati di fresco in Veneto non sono mai andato d’accordo. Si tratta di Franco Rocchetta (in coppia politica piuttosto bizzarra, per anni, con la moglie Marilena Marin), indipendentista veneto, nato a Venezia nel 1947, che ebbe il curioso destino, nella sua militanza parlamentare, di passare dalla Lega ad Alleanza Nazionale. Una migrazione che almeno in passato fece scalpore, mentre oggi con l’avvicinamento fra Lega e Marine Le Pen ci si può aspettare di tutto.
Bisticciai in particolare con lui, che pure con la sua Liga Veneta aveva avuto rapporti politici con l’Union Valdôtaine per le elezioni europee del 1979, quando nella Bicamerale per le riforme "De Mita - Iotti", di cui eravamo membri entrambi all’inizio degli anni Novanta, attaccò con virulenza le Regioni a Statuto speciale, come la Valle d’Aosta, con il solito profluvio dei «ricchi, privilegiati» e annessi e connessi, genere che era merito della Francia se avevamo avuto qualcosa... Replicai irato che l’Autonomia i valdostani se l’erano conquistata, mentre i veneti - per lo più democristiani - al tempo non sapevano neanche cosa fosse il regionalismo. I suoi discorsi “venetisti” non avevano nulla di davvero federalista, anche se di federalismo parlava molto, ma erano intrisi di una visione nostalgica e nazionalista del tutto giacobina e, in quanto tale, anacronistica e improduttiva. Per completezza segnalo, invece, come negli anni abbia avuto la possibilità di conoscere "venetisti" o più semplicemente "veneti" seri e responsabili, nel solco federalista vero, che non facevano folklore e non giocavano agli eversori e avevano nelle Speciali un punto di riferimento da raggiungere e non un esempio su cui rosicare.
Sulla vicenda degli arresti aspetto con curiosità il proseguo della vicenda - su cui non c’è stato risparmio di risorse nell'utilizzo di attività di "Intelligence" - per capire bene di che cosa si tratta, compresi i legami con gli indipendentisti sardi, come il celebre Doddore Meloni, che danno l'idea di una sorta di "Armata Brancaleone", per essere generosi nella definizione. Fa sorridere l'intercettazione, di cui dà conto "La Nuova Sardegna", quando i "rivoluzionari" isolani raggiungono Linate per una riunione a Brescia e scoprono che non possono prendere l'auto noleggiata perché la patente del guidatore è scaduta...
Resta, però, sul tavolo la "questione settentrionale" e cioè la richiesta - del tutto legittima, ma diversamente sentita nei differenti territori - di maggior autonomia. Questo vale per le Regioni a Statuto ordinario, ma anche, in una logica di progressione, per le Speciali. Se a queste istanze - e mi riferisco alla parte seria e responsabile - si risponderà con modifiche centraliste della Costituzione, allora la vicenda si farà seria e diventerà tutta politica e giuridica e soprattutto non sarà più in parte appannaggio di personaggi da operetta e delle loro gesta fantozziane.

Le elezioni europee, il 25 maggio

Le bandiere degli Stati europei davanti alla sede di StrasburgoLa politica resta per me una grande passione, perché temo di averla nel DNA, per cui mi scuso se troppo spesso ne parlo.
In questi giorni, si saprà quanti valdostani e con quali schieramenti si candideranno per le elezioni europee, giunte al loro ottavo appuntamento democratico, in un periodo particolarmente complesso e difficile per il processo d'integrazione europea.
Faccio i miei migliori auguri a chi parteciperà alla competizione: chi mi conosce sa che non coltivavo ambizioni per una mia candidatura, non essendo né il momento e non essendoci neppure le circostanze.
Ma qualche pensiero vorrei annotarlo. Le Europee sono le uniche elezioni che ho visto nascere, considerata la tardiva scelta di consultazioni democratiche per un'Assemblea che nel tempo, almeno questo è positivo nel deserto della democrazia europea, ha acquisito un peso fra le istituzioni comunitarie.
Il mio primo punto di osservazione, assai divertente, fu uno dei momenti chiave di esordio della mia carriera di giornalista televisivo. Con il sottoscritto "mezzobusto" negli studi di "Rta" in cima al "Palazzo Fiat" di Aosta e Massimo Boccarella in diretta da Palazzo regionale, seguimmo questa competizione ai suoi esordi il 10 giugno del 1979. Nel 1984 lo feci, per le seconde elezioni, dagli studi della "Rai", mentre nel 1989 mi trovai ad essere candidato proprio per le Europee, dopo l'elezione a deputato a Roma due anni prima.
Era una candidatura di bandiera nella lista "Federalismo". Questa lista, sotto l'egida dell'Union Valdôtaine e di Bruno Salvadori, aveva corso in tutta Italia già nel 1979, fallendo lo scopo, mentre nel 1984 aveva visto l'elezione del sardista Michele Columbu, con una rotazione a favore del valdostano che non si concretizzò. Nel 1989 la lista "Federalismo", oltre al Partito Sardo d'Azione e all'Union Valdôtaine, comprendeva il Movimento Autonomista Occitano, il Movimento Friuli, il Movimento Meridionale, la Slovenska Skupnost, l'Union für Südtirol e l'Unione del Popolo Veneto. In queste elezioni la lista ottenne lo 0,60 per cento dei voti con oltre 200mila voti di lista, confermando il suo seggio a Strasburgo con l'ex presidente della Sardegna Mario Melis del PSd'Az. Scattò dunque il quorum per l'ultimo resto nella circoscrizione Isole Sardegna-Sicilia, dove io stesso ero stato candidato con un buon esito che mi fece arrivare terzo. Sembrava che, quella volta, ci sarebbe stata la rotazione, ma successe una vicenda tragicomica: il secondo arrivato, anch'egli sardista, per andare al Parlamento europeo in fretta, fece mettere una bomba da un malvivente per ammazzare Melis nella sua casa al mare, che si salvò perché era andato a fare la pipì durante lo scoppio. La mia rotazione per ovvie ragioni... saltò.
Mi ritrovai di nuovo candidato nella lista autonomista apparentata con i Democratici di Romano Prodi nel 1999 e con 28.700 preferenze mi piazzai primo dei non eletti fra i candidati della lista madre. Un annetto dopo, con le dimissioni di Massimo Cacciari che entrò nel Consiglio regionale del Veneto, divenni parlamentare europeo. Una bellissima e difficile esperienza - arricchita anche dal ruolo di presidente di Commissione - che mi ha dato una visione dell'Europa e della politica del tutto particolare e che ricordo con grande gioia, avendola poi in parte prolungata con i dieci anni successivi al "Comitato delle Regioni".
E' davvero un vulnus notevole che non si sia mai riusciti ad avere, come dovrebbe essere, un sistema elettorale che garantisca o almeno faciliti davvero per la Valle d'Aosta l'ottenimento di un parlamentare europeo. Sarebbe giusto e legittimo che così fosse, ma in tempi di assedio al regime autonomistico sarebbe già bello non fare troppi passi indietro.

Contraddizioni

Uno scorcio dell'Aquila, cinque anni dopo il terremotoQuando ci si occupa di bilanci pubblici - e ne ho visti di diversi e da varie prospettive - fa sempre arrabbiare quando qualcuno, dall'esterno e digiuno della materia, mischia le mele con le pere e consiglia tagli in certi settori per alimentarne altri, come se fosse banale. Eppure ci sono dei casi così macroscopici che mi sento di contribuire a una vena che potrebbe sembrare populista. Ecco i fatti.
Mi ha raccontato un amico milanese che l'Expo 2015 di Milano è nato nell'entourage di Letizia Moratti, quando era sindaco della città, ma lei stessa era stata nominata - a rafforzare questo legame di primogenitura - quale Commissario delegato per la predisposizione degli interventi necessari alla migliore presentazione della candidatura della città di Milano quale sede di "Expo 2015" con un'ordinanza del presidente del Consiglio dei ministri del 18 ottobre 2007. Il 31 marzo del 2008 l'Expo 2015 venne assegnato a Milano, battendo la candidatura turca di Smirne. Nel novembre del 2010 venne l'ultimo assenso per l'Expo a Milano nel raduno della "Bureau International des Expositions" a Parigi. Fra le due date, il 6 aprile del 2009, ci fu il terremoto in Abruzzo, che rase al suolo una larga parte del centro storico della città dell'Aquila.
I costi previsti per l'Expo erano all'inizio di quattro miliardi di euro, oggi - da quel che ho trovato da fonti attendibili - si viaggia sui dodici miliardi, ma operazioni di questo genere consigliano di fare i conti a consuntivo. Per altro c'è chi è finito in galera per alcuni appalti e questo dimostra come certe macchine da soldi - in un'Italia in cui i legami fra politica e business non finiscono mai - attirino i farabutti.
Cosa c'entra tutto questo con il terremoto? C'entra, purtroppo. Ieri si ricordavano - annotavo la data della scossa letale poche righe qui sopra - i cinque anni dal sisma distruttivo. Ho già ricordato qui come, poco tempo dopo, per un reportage sugli interventi valdostani nella zona terremotata, visitai quella parte di Abruzzo colpita dal terremoto. Una visita che mi colpì moltissimo, specie il centro del capoluogo, compreso quel Palazzo del Governo, quasi raso al suolo, dove mio nonno fu Prefetto.
Oggi in Abruzzo, malgrado i molti proclami, specie nei centri storici, compreso L'Aquila, la situazione resta difficile, i finanziamenti incerti e i tempi della ricostruzione un terno al lotto. Come non notare il terribile stridio fra quella manifestazione ormai anacronistica e costosa che è l'Expo - come se fossimo un Paese in via di sviluppo bisognoso di pubblicità - e una vasta area dell'Italia che aspetta da tempo quanto promesso da tutti i Governi che si sono succeduti, annunciando soluzioni risolutive per un'emergenza nazionale. In un Paese, oltretutto, dove vaste aree non sono ancora protette da calamità naturali, come il terremoto.
Chissà magari dopo l'Expo...

Il rasoio di Occam

Una rappresentazione del 'rasoio di Occam'I valdostani amano la politica, anzi amano la polemica politica. Non si dibatte solo nelle sedi deputate - genere assemblee o sedi di partito - ma la politica è uno sport popolare aggiuntivo, che vede i bar come luogo prediletto, in cui tutti diventano per un momento politologi o elzeviristi. Costa niente e ci si diverte in dispute infinite. Peccato che poi non sempre la "vis polemica" si trasformi in azione per una virale diffusione del conformismo "aspettando che...".
Il più recente oggetto di attenzione - con i social nuovo terreno di scornamento fra fazioni - è la situazione che si configura in Regione, dove non c’è più la maggioranza regionale, ma non esiste al momento neppure una maggioranza alternativa. Tutti giocano al "piccolo costituzionalista" e si monta e si rismonta lo Statuto d’autonomia, nella parte forma di governo (articolo 15), e la sua legge applicativa che risale, dopo la modifica statutaria del 2001, ad una legge regionale del 2007 (legge 21). Come sempre capita, tutti hanno un pezzo di ragione e un pezzo di torto, ma il dialogo rischia di essere fra sordi, con tutto il rispetto per i non udenti.
Tocca, perciò, chiamare in campo un giocatore dal passato, Guglielmo di Occam, filosofo e politico inglese, vissuto a cavallo fra il 1200 e il 1300. Era un francescano, diventato professore ad Oxford, dove aveva studiato. Come di moda al tempo, fu accusato di eresia, punito e poi fuggitivo in giro per l’Europa, finì i suoi giorni - sotto protezione dall'imperatore di cui divenne esegeta - a Monaco di Baviera.
Si deve a lui un’espressione così riassunta in latino, lingua franca dell’epoca: «Entia non sunt multiplicanda prater necessitatem» (Gli enti non devono essere moltiplicati oltre il necessario) o anche, con lo stesso significato, «Pluralitas non est ponenda sine necessitate» (Non considerare la pluralità se non è necessario). Questa sorta di criterio è stato poi sintetizzato è diventata la regola nota come "rasoio di Occam", secondo la quale bisogna "tagliare" tutto ciò che è superfluo (principio di economia delle cause).
La regola, visto che anche su questo ci si può dividere, può essere vista come utile per il minimo sforzo di comprensione, oppure come utile per avere la minima complicazione dei ragionamenti da sviluppare. Chiamiamola, insomma, un "criterio di semplicità".
E la semplicità, sul filo del rasoio, è la seguente: il Governo Rollandin non ha più la maggioranza in Consiglio, che fu espressa lo scorso anno dagli elettori. Dunque - senza stare a girare attorno alla sfiducia costruttiva - ci vogliono le dimissioni. Se nei giorni seguenti ci saranno programmi e numeri per una nuova maggioranza e un nuovo Governo la Legislatura andrà avanti, altrimenti elezioni.
Elementare, Occam!

Non girare con la maschera

Il manifesto del primo Congrès UVP«Tous nous serions transformés si nous avions le courage d'être ce que nous sommes».
Così la scrittrice Marguerite Yourcenar, in una frase che sento molto mia: il coraggio di essere quel che siamo. Non è banale, visto il rischio nella vita di trovarsi di fronte a scelte in cui, al posto di accelerare si frena, per tutte le paure che possono venire dai cambiamenti, in primis quelli personali. Capita così di scegliere di portare una maschera sul proprio volto e di non essere più, con questo travestimento di comodo, quel che sentiamo di essere. Terribile l'ammonimento del grande Luigi Pirandello, che nei suoi lavori, ha approfondito il tema: «Imparerai a tue spese che lungo il tuo cammino incontrerai ogni giorno milioni di maschere e pochissimi volti».
Ripenso ogni tanto a quando, a cavallo fra il 2012 e il 2013, decisi con dolore di lasciare casa mia, l'Union Valdôtaine, per essere uno dei fondatori dell'Union Valdôtaine Progressiste. Le ragioni dei miei turbamenti erano facili per il ruolo della mia famiglia - in particolare del suo leader per decenni dalla fondazione, purtroppo dimenticato, Séverin Caveri - nella nascita del Movimento autonomista storico, ma sono fiero che ci sia stato un ruolo anche precedente dei miei familiari nella "Jeune Vallée d'Aoste", cui si deve il coraggio di aver tenuta viva la fiamma dell'autonomismo negli anni tetri del fascismo. La mia vita politica a questo si è ispirata, finendo per far scintille con chi, della politica, aveva ben altra concezione, ma ha sempre portato una maschera che celasse con cura le vere intenzioni.
Oggi, a poche ore dal primo Congrès dell'UVP, dopo un anno ricco di vicende politiche piene di soddisfazioni, posso dire che chi se n'è andato in quel frangente aveva visto lungo. Sono i fatti di oggi della politica valdostana a dimostrarlo, con una Union Valdôtaine ormai partito personalista in mano ad una sola persona, che fa del suo potere personale l'unico ideale politico, trascinando nel baratro un partito a pochi mesi dai 70 anni dalla sua nascita. Una circostanza che colpisce e che conferma, allo stato attuale, che chi ci bollò come «traditori», annunciando una battaglia interna all'UV, contro il "cesarismo rollandiniano", per ora tace e abbassa la testa con obbedienza.
E mi fermo qui sul punto, perché non voglio scrivere sgradevolezze, sperando che qualcuno venga fulminato, con una conversione, come San Paolo sulla via di Damasco. Tra l'altro buona regola in politica è guardare avanti e non nello specchietto retrovisore, sennò si va a sbattere.
E' quel che farò, guardando con fiducia al futuro, al Congrès a Fénis, sabato prossimo.

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