October 2013

Una storiella esemplare

Un estratto dagli attiLa cronaca politica offre sempre spunti nuovi, in questo clima ben strano, pieno di attese e come sospeso, in cui è bene fare attenzione. Talvolta quanto avviene sembra il teatro dell'assurdo o una pochade, ma forse è solo una tragedia.
E' la prima volta che una società partecipata al cento per cento minaccia di azioni legali un consigliere regionale. Lo ha fatto la "Casino de la Vallée SpA" contro Laurent Viérin: il Consiglio Valle ha dovuto ricordare che i consiglieri sono "coperti" da norma statutaria di rango costituzionale per le opinioni espresse. Penso che così si sia chiusa la vicenda, ma resta da chiedersi quale logica sottenda le "azioni difensive" del Casinò.
Ma devo dirvi che esiste un precedente, che è utile punto di riferimento, pur nella differenza degli scenari. Quando un consigliere d'amministrazione, espresso dalla Regione (dalla Giunta, per essere esatti) presso la società autostradale "Rav" - tal Omar Vittone - denunciò me, allora consigliere regionale di maggioranza, e Raimondo Donzel, consigliere di opposizione, per le critiche espresse per la sua nomina.
Le nostre posizioni negative sulla scelta erano state raccolte dalle pagine regionali de "La Stampa", che aveva segnalato anche, con diversi propri giornalisti in differenti articoli, la personalità multiforme del prescelto (si raccontava, fra l'altro, della sua appartenenza al ben noto gruppo ex "Gladio"). La scelta aveva la paternità del presidente Augusto Rollandin, che sembrava, a un certo punto, voler ritirare la designazione, ma poi non lo fece. Tutti venimmo querelati per diffamazione, compreso Mario Calabresi, direttore del quotidiano torinese.
Io che cosa avevo detto? Un semplice virgolettato: «E' un personaggio estremamente discutibile». Lo avevo sostenuto non solo nell'intervista al giornale, ma anche - con pezze di appoggio - al Gruppo dell'Union Valdôtaine e anche in un colloquio personale con il presidente Rollandin, che evidentemente - visto l'esito della nomina - non venne scosso nella stima per il suo "prescelto", che in seguito, malgrado la poltrona ottenuta comunque, querelò.
Il pubblico ministero di Torino, dottor Enrico Arnaldi di Balme, che aveva ricostruito i fatti, aveva, alla fine dell'indagine, chiesto l'archiviazione. Vittone decise di ricorrere, e, nel giugno scorso, il Giudice per le indagini preliminari Maria Francesca Christillin gli ha dato torto, archiviando, con un'ordinanza esemplare, inquadrandolo con nettezza nei diritti di cronaca e di critica. Decisione che fa giurisprudenza e sarà utile per il futuro in casi simili. Renderà più agevole esprimersi senza remore per le prossime infornate di nomine, che si profilano all'orizzonte e che immagino già - come se fossi un chiromante - faranno discutere.
Morale della morale. Qualcuno dal Governo regionale ha censurato questo interventismo di un rappresentante della Regione in una società autostradale contro giornalisti e consiglieri regionali? Non mi risulta e trovo il fatto assai negativo. Ora - solo con la minaccia e non ancora con una denuncia formale - c'è chi sembrerebbe voler mettersi in scia. Strana storia, degna di una riflessione.

Le neiges d'antan

Neve sulla GrivolaCi sono stati anni in cui è nevicato poco sulle Alpi. Poi, nelle ultime stagioni, è andato meglio con qualche preferenza, alternata, fra sud e nord o est e ovest, ma un pochino la neve si è ripigliata in generale. Confesso di aver tirato un sospiro di sollievo soprattutto per i miei figli, costretti ad alcune annate brulle, nel senso tutto mio di "senza neve", che mettevano tristezza.
Non dico che si sia tornate quelle che possono essere chiamate le "neiges d'antan", cui tanti di noi associano ricordi d'infanzia di nevicate epocali. Mentre il significato esatto dell'espressione, nella celebre poesia di François Villon («Mais où sont les neiges d'antan?»), riguarda la nevicata di un solo anno prima a Bruxelles. Capisco che è deludente, ma è così.
Era esattamente l'inverno del 1511 e scrive di questo evento un professore universitario belga, Paul Verhuyck: "Cet hiver fut si sévère que les habitants bâtirent plus de cent poupées de neige par-ci par-là dans la ville; ce n'étaient pas tout à fait nos bonshommes de neige rudimentaires et enfantins, mais de véritables sculptures artistement ciselées dans la neige gelée". Uno spettacolo incredibile: con statue ispirate alla mitologia greca e latina, a personaggi biblici e popolareschi.
Chiunque conosca il centro di Bruxelles e specie l'antica Grand-Place, riconosciuta "Patrimonio mondiale dell'umanità" dall'Unesco, non può che baloccarsi all'idea, pensando ai magnifici edifici delle corporazioni e a quell'insieme architettonico rappresentato dall'Hôtel de Ville di Bruxelles, la cui costruzione data degli inizi del XV secolo (1402). Quindi in quell'inverno una parte c'era già!
Alcuni indizi (pigne sugli alberi, comportamenti di marmotte e ungulati) vengono letti da miei amici come fattori decisivi. Io ci ho creduto e ho cambiato le gomme, mettendo quelle da neve, in un battibaleno. E alla macchina del caffè - luogo di socialità per eccellenza - ho vantato doti di vero connaisseur di fronte alle prime nevicate autunnali, mette come un annuncio dell'avverarsi delle ormai fatte mie profezie nevose.
L'amato dizionario etimologico mi aiuta nel dire di come la neve abbia sempre espressioni graziose e l'origine è declinata assieme alla rappresentazione della ricchezza linguistica: "latino di provenienza indoeuropea: lat. nĭve(m) (nomin. nix) - panromanzo: a.fr. noif (fr. neige, der. di neiger "nevicare"), occit. cat. neu, sp. nieve, port. neve, sardo nie, rum. nea. Il lat. nix nĭvis ha numerosi confronti: gr. nípha (accus.), a.alto ted. sneō (ted. Schnee, ingl. snow), lit. sniẽgas, a.slavo sněgŭ (russo sneg), gall. nyf.".
Ho lasciato le abbreviazioni perché comprensibili. Il dizionario "Chenuil-Vautherin" ricorda il francoprovenzale "nei" nella sua straordinaria espressività, perché un popolo di montagna deve saper dire in modo chiaro di che neve si tratti, nelle sue diverse varianti. Non mi infilo nei proverbi, essendocene per tutti i gusti e dimostrano come le stesse previsioni non seguano sempre un filo logico.
Allora diciamo che la mia, più che una previsione, è una speranza.

Contro la catatonia

Riflettere sulla realtà è un esercizio sempre salutare.
Bisogna evitare di cadere nella quotidianità, perché la routine ti ammazza e ci si trova svuotati di energie e di idee. La ripetitività nella vita è una fregatura e rischia di farci cadere nel meccanicismo dei comportamenti.
Per questo ringrazio le circostanze, perché so bene quanto pesi la casualità nella conduzione della nostra vita, di avere avuto una vita che mi ha impedito troppe incrostazioni e periodicamente mi ha consentito delle scosse benefiche.
Come dei "punto a capo" che ti consentono, si direbbe oggi, in linguaggio per i computer, di "resettarsi".

Salassi e Romani

La statua di Cesare Augusto ad AostaHo trovato divertente il giochino, in Consiglio Valle, fra chi si sente "Salasso" e chi "Romano". Mi sono permesso - con rispetto, naturalmente - anche un "tweet" scherzoso sul fatto che il presidente, di nome Augusto, si senta... "Salasso". Praticamente un ossimoro. Noto, fra parentesi, che il prossimo anno saranno i duemila anni dalla morte proprio dell'ideatore di Aosta, Cesare Augusto, sterminatore dei Salassi: giubilo per i "salassiani", lutto per i "romanisti".
Non è una cosa nuova questa diatriba, ma torna ogni tanto in superficie. Fin che si scherza, penso che si possa stare al gioco, specie se somiglia allo scontro al Carnevale di Pont-Saint-Martin fra le due fazioni, rese caricaturali e dunque innocue.
Se ci sposta da questo piano, si entra su di un terreno molto scivoloso. Ricordo la carica antiromana del deputato francese di origine valdostana, Parfait Jans, nel reclamare a gran voce un ricordo del genocidio del popolo dei Salassi. Un suo passaggio: "En l'an 25 Av.J.C. sur ordre d'Auguste, le général Térencius Varro Muréna lance la guerre d'extermination contre le peuple salasse. Feu et sang! En quatre jours (ce sont les scribes et historiens de l'époque qui l'écrivent) on comptent trente six mille morts ou vendus sur le marché d'esclaves d'Eporedia et huit mille jeunes salasses enrôlés de force dans les légions romaines. Tel est le sort subi par nos ancêtres, tel est le bilan de l'occupation romaine. Tel a été l'odieux comportement des Romains dans notre région. Il faut dire qu'ils avaient déjà vaincu tous les peuples des autres vallées alpines. Les Salasses étaient les derniers à résister ce qui devait accroître encore la colère des occupants".
Naturalmente noi abbiamo, come fonte documentale, solo la versione dei vincitori, vale a dire dei Romani. Così come possiamo solo immaginare come negli anni successivi si sia imposta la loro presenza con la decisione di diventare stanziali, occupanti e colonizzatori, attraverso la nascita di quella che è oggi Aosta, come spiegato in un sito sulla storia romana: "Augusto fondò qui una città, le diede il suo nome e vi inviò tremila soldati delle corti pretoriane, da cui il nome "Augusta Praetoria Salassorum". I romani costruirono qui una cittadella fortificata, che garantisse il transito nelle vie consolari che collegavano l'alta Italia con l'Europa nord occidentale. Aosta infatti raccoglie e sintetizza le migliori esperienze architettoniche della Roma imperiale. La sua pianta rettangolare, ha i lati di 724 x 572 metri con l'asse maggiore parallelo all'andamento della valle, nell'ansa che precede la confluenza del torrente Buthier con la Dora".
E i Salassi, già essi stessi probabilmente invasori rispetto ai popoli precedenti, che fine fecero? Qui, al di là degli ideologismi e di una lettura deterministica e talvolta infantile dell'autonomia attuale, veniamo al nodo del problema. Il fatto semplice è che i valdostani di oggi, già prima di contare sulle immigrazioni dell'ultimo secolo e mezzo, come quella piemontese, veneta, calabrese e oggi di persone che giungono da Paesi distanti, sono il risultato di un misto di vari pezzi d'umanità, che hanno formato le caratteristiche - sempre in movimento - di quello che chiamiamo oggi il popolo valdostano. Il fatto che l'identità sia composta, come in un puzzle, da tanti diversi tasselli - per cui ognuno di noi può dire di sentirsi un pezzo di Salasso e un altro pezzo di Romano, senza contraddizione - è in fondo elemento di forza e non di debolezza.

Ora solare e ora legale

Un dettaglio del 'Journal de Paris'
"L'idée de décaler la pendule en été n'est pas récente : c'est en avril 1784 que Benjamin Franklin évoque pour la première fois dans le quotidien français le Journal de Paris la possibilité de décaler les horaires afin d'économiser l'énergie".
Avevo letto, distrattamente, su "Le Monde" la storia dell'ora legale (heure d'été, più efficacemente in francese) e ora me lo sono ricordato, spostando questa mattina qualche orologio in casa, nel momento in cui torniamo all'ora solare.
Ho cercato su Internet il citato articolo e fa davvero sorridere: "Vers les six heures du matin je fus réveillé par un bruit au-dessus de ma tête, et je fus fort étonné de voir ma chambre très éclairée: endormi, j'imaginai d’abord qu'on y avait allumé une douzaine de lampes de M. Quinquet; mais en me frottant les yeux, je reconnus distinctement que la lumière entrait par mes fenêtres; je me levai pour savoir d'où elle venait, et je vis que le soleil s'élevait à ce moment même des bords de l'horizon, d'où il versait abondamment ses rayons dans ma chambre, mon domestique ayant oublié de fermer mes volets: je regardai mes montres, qui sont fort bonnes, et je vis qu'il n’était que six heures, mais trouvant extraordinaire que le soleil fût levé de si bon matin, j'allai consulter l'almanach où l'heure du lever du soleil était, en effet, fixée à six heures précises pour ce jour-là; je poussai un peu plus loin ma recherche, et je lus que cet astre continuerait de se lever tous les jours plus matin jusqu'à la fin du mois de juin, mais qu'en aucun temps de l'année il ne retardait son lever jusqu'à huit heures".
La lettera prosegue con elucubrazioni su calcoli su come, di conseguenza, risparmiare in "chandelles et bougies". Doveva essere simpatico questo Franklin, scienziato e inventore, cui se devono, fra l'altro, il parafulmine e le lenti bifocali.
In Italia l'ora legale venne adottata dal 1916 al 1920, poi dal 1940 al 1948, per essere definitivamente reintrodotta nel 1966 (ricordo bene, da bambino, la vaga preoccupazione allo spostamento delle lancette) con legge dello Stato e poi nel 1978 vi fu un coordinamento comunitario ancora in vigore nell'Unione europea. Tra l'altro, trafficando su questa storia dell'ora, ho scoperto - stupefatto - che agli albori del Regno d'Italia, per uno scollamento orario, quando in Sicilia erano le 12, nelle Provincie continentali erano circa le 11.56 ed in Sardegna le 11.23! Poi ci fu un riallineamento delle sei ore diverse (sic!), che iniziò con Milano che nel 1866 si "tarò" con Roma, come fecero nell'anno successivo Bologna e Torino, mentre Cagliari arrivò solo nel 1886.
Torno all'ora legale e a quella solare: in diversi siti una spiegazione che mi ricorda una spiegazione di mio papà, che da buon veterinario conosceva il mondo contadino valdostano e che dimostra, in fondo, come già questa storia fosse connessa alle abitudini umane: "Nelle società antiche e prima della diffusione degli orologi, l'organizzazione delle civiltà agricole non si basava su bioritmi fissi come nelle moderne civiltà industrializzate: i contadini, che costituivano la grande maggioranza della popolazione, si alzavano infatti sempre all'alba, seguendone inconsciamente il progressivo anticipo in primavera e ritardo in autunno. Nell'età contemporanea l'espediente dell'ora legale non fa che riprodurre questo antico spostamento dei bioritmi umani a seconda delle stagioni".
Questo smonta quelli che - e sono sempre meno - si lamentano di questo lieve cambio d'ora, che personalmente trovo giustissimo. Per godersi - anche in mezzo alle nostre montagne alpine - giornate più lunghe nel periodo che va dall'inizio della bella stagione sino all'autunno e consente di evitare il buio pesto al mattino fra l'autunno e la fine dell'inverno.

L'eccellenza ai piedi del Forte

L'interno dell'Ad GalliasViviamo in una Valle d'Aosta dove si parla spesso - e sarebbe un bene, se non ci fossero atteggiamenti insinceri fra il dire e il fare - dell'importanza della qualità. Questo riguarda in particolare il turismo, che è uno settori chiave della nostra economia e la diminuzione del denaro pubblico a disposizione indica una scelta che è ormai un obbligo, quella di affrontare il mercato.
Chiunque abbia seguito i destini del Forte di Bard, da macchina da guerra quale fortezza militare a fucina di cultura, ha sempre pensato che - al di là del Forte sul quale ci sarebbe molto da scrivere - quell'iniziativa colossale avesse anche lo scopo di far rinascere un Borgo antico, che è anche Comune a rischio di scomparsa per implosione demografica.
Per questo ho sempre ammirato Ezio Colliard, imprenditore edile locale che, con la moglie Cinzia Prola, scelse una nuova sfida: trasformare in albergo due palazzi all'ingresso del paese, lato Dora Baltea. Lo ha fatto con una cura maniacale nel rifacimento degli immobili e girare con lui per le stanze o nelle zone comuni vuol dire scoprire l'uso sapiente di materiali pregiati e un impiego attento di ogni tecnica costruttiva. Così a fine 2007 viene inaugurato l'albergo "Ad Gallias", mentre a fine febbraio del 2008 si apre anche il ristorante. Nel tempo si è aggiunta una parte benessere, in una zona di epoca romana, una parte espositiva e tra poco ci sarà un'enoteca-vineria.
Ho seguito in questi anni il grande sforzo di affermazione del locale, anche con l'apporto del grande esperto di ristorazione e accoglienza Giovanni Billia, gressonaro rientrato in Valle per dare respiro all'iniziativa, con Enrico Facco, uno chef padovano in gamba e in costante crescita. I risultati sono palpabili e non solo per mio soggettivo giudizio: da poco sono arrivate al ristorante le due "forchette" del "Gambero Rosso" e la qualifica di "emergente", che è un premio in più, oltre al già ottimo giudizio complessivo. Idem per la valutazione elevata di "Bibenda vini e ristoranti", la guida dei sommeliers italiani, con l'ingresso nel novero dei "Ristoranti dell'anno", segno che si mangia e - visto chi ha assegnato questo riconoscimento - si beve bene.
C'è poi stata una menzione del "Touring Club Italiano" in "Stanze Italiane". Riconoscimento, si dice nella motivazione , "che va ad alberghi con carattere e personalità, curati nei dettagli e negli arredi, che sono espressione di una tradizione italiana di ospitalità,spesso a carattere familiare, e che sa trasmettere il valore dell’accoglienza".
Sono contento che questo sia avvenuto, anche perché è un successo costruito con grinta e determinazione, sapendo che, malgrado sia la più importante attività privata ai piedi del Forte, non c'è stata in questi anni una "spinta" da parte del Forte, perché Colliard non è uno "yes man". Purtroppo si sa che chi non si schiera dalla parte giusta, in Valle e anche nei dintorni del Forte, la paga.
Brutta storia, ma che non ferma i meritevoli.

Pensieri a caldo su Trento e Bolzano

Ugo Rossi, neo presidente della Provincia autonoma di TrentoAvevo detto, giorni fa, di come si dovesse guardare con interesse alle elezioni provinciali di Bolzano/Bozen e di Trento. Due Province autonome con territorio montano come il nostro e con il problema, di vario genere, delle minoranze linguistiche, anzitutto i sudtirolesi e poi, ma non solo, i ladini. Si tratta, benché siano dalla parte opposta delle Alpi, di nostri fratelli di sangue, con i quali ho personalmente coltivato intensi rapporti politici, nella convinzione che la collaborazione e lo scambio di buone pratiche possa essere fruttuoso per le nostre reciproche comunità.
Il dato complessivo è una vittoria dei partiti autonomisti che conosco bene: la Südtiroler Volkspartei - il partito di raccolta del Tirolo del Sud - e il Partito Autonomista Trentino Tirolese. Nel primo caso, pur perdendo la maggioranza assoluta, passando da diciotto a diciassette consiglieri, la SVP ha "tenuto", pur perdendo qualche cosa a favore di partiti autonomisti di destra. Quel che conta è che il post Luis Durnwalder (il presidente sulla scena da decenni) è avvenuto brillantemente e si passa da un settantenne ad un quarantenne, Arno Kompatscher. Il partito ha dimostrato una capacità di traghettamento per nulla scontata. Così come la scelta dell'alleanza con il centrosinistra di è dimostrata giusta, visto che ha premiato il Partito Democratico. Il centrodestra è uscito dalle elezioni provinciali con le ossa rotte.
A Trento ho un elemento di soddisfazione personale: il Presidente trentino diventa un esponente proprio del "PATT", vincitore a sorpresa delle primarie del centrosinistra, vigendo - a differenza di Bolzano - l'elezione diretta. Si chiama Ugo Rossi, è una persona seria e competente e, a differenza del celebre presidente uscente Lorenzo Dellai (che pure ho sempre apprezzato), è ancorato solidamente in area autonomista, mentre l'ex presidente è inspiegabilmente approdato a Scelta Civica del fu Mario Monti. Il seggio dei ladini va al piccolo Movimento dell'Union Ladina con un mio ex collega deputato, Bepe Detomas, che lo merita dopo aver avuto qualche alto e basso nella sua carriera politica.
Per l'Union Valdôtaine Progressiste questa vittoria - seguita in diretta lassù da Laurent Viérin - è un viatico, che mostra come siamo sulla strada giusta e in linea con gli amici autonomisti delle due Province autonome. Mentre la Valle d'Aosta resta impantanata in un regime ormai autocratico, l'autonomismo mostra per fortuna, altrove come in Valle grazie ai "progressisti", segni di freschezza e vitalità e questo fa davvero ben sperare.
Per cambiare anche da noi.

La bussola per i giovani

Il finale di un percorso di laureaIl fatto è conosciuto: la popolazione valdostana invecchia. Le nascite restano inferiori alle morti, anche se le ondate migratorie di extraeuropei hanno, negli ultimi anni, reso più elevato del previsto il tasso di fecondità.
Il nostro capitale umano di nuovi nati e di giovani è prezioso. Non voglio perdere troppo tempo su questo, perché la retorica sulle nuove generazioni mi ha sempre fatto venire l'orticaria, anche quando ero un giovane politico. Anzi, sia chiaro, che nella Valle d'Aosta di oggi ci sono un numero crescente di vecchi "dinosauri" che occupano ruoli chiave e ci sono uomini adulti in posti di responsabilità, che magari non sono vecchi per ragioni anagrafiche, ma si comportano come dei "matusalemme", senza averne esperienza e saggezza.
Ho sempre sostenuto che i nostri bambini e ragazzi sono così pochi che dovremmo badare a ciascuno di loro come se fosse un fiore raro e prezioso, altrimenti ci troveremo con una comunità esaurita dall'apporto di idee nuove e entusiasmi che solo i più giovani possono garantire, come acqua di fonte.
Su questo fronte mi sono speso, ma non sempre vedo esiti convincenti. Penso ad un tema cardine: l'orientamento e cioè quella bussola che dovrebbe consentire ai giovani, durante il loro percorso di studi, di non sbagliare il colpo, specie nel passaggio fra le scuole Medie e le Superiori e, per chi vuole, nel salto successivo verso l'Università.
Sarà che il tema mi tocca. Mentre il più piccolo dei miei figli si gode i primi mesi di scuola dell'infanzia, i suoi fratelli si avvicinano alla fine delle Superiori e devono, in un periodo difficile di crisi che già è depressivo di par suo, scegliere cosa fare dopo e li trovo molto soli nella scelta difficile. Una scelta decisiva per loro e per la nostra famiglia, che è - nel complesso di tutti i giovani interessati - importante per l'intera comunità.
Avevo già vissuto l'orientamento alle Medie dove, al di là di costosi manuali stampati ogni anno e di visite alle scuole che promuovevano sé stesse, c'era poco nel rapporto vis à vis che dovrebbe consentire a un giovane di scegliere. Chi se ne occupava a scuola, nel consigliare alle famiglie il percorso successivo, dimostrò - quando cercai di capire le ragioni di certe proposte - di non avere conoscenze e un profilo professionale adatto per farlo. Si tratta di una scelta così decisiva che ci vorrebbero maggior cura e le professionalità giuste nell'approccio con i giovani, alla scoperta delle loro reali vocazioni. Un lavoro difficilissimo, lo ammetto.
Per le Superiori il percorso è altrettanto difficile e mi figuro uno staff apposito, che consenta - con una valutazione del percorso scolastico, del profilo psicologico del ragazzo, ma anche con i delicati problemi del mondo del lavoro - una scelta oculata. Capisco che oggi non è così.
Di conseguenza crescono nella scuola i rischi di abbandono e rischiamo di buttare via dei talenti al momento del passaggio all'Università. Tutto questo in un contesto diverso dal passato, vista la difficoltà di trovare il lavoro e la preoccupazione che tanti giovani, non trovando occasioni in Valle, vadano altrove, depauperando ulteriormente il nostro tessuto sociale.
Sono temi di enorme portata, ma è anche su questo che si crea la Valle d'Aosta di domani.

Il fascino antico delle castagne

Un pensoso Alexis assaggia le caldarrosteGuardavo ieri, all'asilo frequentato dal mio bimbo, il gran affannarsi dei piccolini attorno alle caldarroste, il classico gusto e sapore dell'infanzia. Tutto ci sta: il fascino del fuoco, la magia della strana pentola e la castagna cotta a puntino da sbucciare fra il calore sulle dita e quel gusto pastoso del tutto inconfondibile. Qualcosa che arriva dal passato e che si trasmette da adulto a bambino.
Oggi è una prelibatezza, ormai gestita da mafie asiatiche in grandi città come Roma, che non è per i nostri bambini - che non ne possono avere memoria - il ricordo della povertà di un mondo contadino, che ruotava attorno all’autoconsumo, ma diventa un elemento tradizionale, cui avvicinarsi per carpirne la forza incantatrice.
E’ difficile oggi capire che cosa sia stata la castagna per vaste aree montane. Trovo, trafficando su Internet, una tesi di Laurea in scienze e tecnologie alimentari, di qualche anno fa, scritta da Carolina Giovannelli per la Facoltà di agraria, Dipartimento di biotecnologie agrarie, dal titolo: "La castagna: dal bosco alla tavola, tradizione ed innovazione". Si tratta di una disamina ad ampio raggio di un settore importante in passato e oggi in crisi per ragioni di mercato, ma anche a causa di malattie molto aggressive.
L'incipit è tutto un programma: "La vita dell'uomo, specialmente quella del montanaro, in particolar modo sull'arco alpino e appenninico, è da sempre strettamente legata alla presenza del castagno nel paesaggio agrario. Durante il Medioevo e nell'Epoca moderna, i montanari fondavano un nuovo villaggio solo laddove il castagno poteva crescere e dare legname e frutti, indispensabili per le esigenze quotidiane (alimentazione, riscaldamento, costruzioni). Nei secoli passati la coltura ha sviluppato una vera e propria "Civiltà del castagno", ricca di usi, tradizioni, norme giuridiche, statuti comunali, tecniche agronomiche, controllo dei boschi e del territorio, con lo scopo di proteggere e valorizzare questa preziosa pianta, che si presentava come la principale, se non unica fonte di sostentamento".
Interessante un passaggio: "La valorizzazione della coltura è resa difficile da diversi fattori, quali consumi ancora molto legati alla stagionalità, indirizzati verso i prodotti più conosciuti (caldarroste, creme, marrons glacés), inefficienti tecniche di post raccolta e condizionamento (fondamentali per una buona conservazione), alle quali si affianca un disinteresse da parte delle attività di promozione e marketing. Per incrementare il mercato della castanicoltura si devono quindi proporre specialità innovative dal punto di vista tecnologico, in grado di destagionalizzare l'offerta e migliorarne l'immagine supportandola con adeguate promozioni commerciali".
Si aggiunge poi una sottolineatura decisiva: "Il settore dei trasformati spazia dalle tradizionali castagne secche e farina, ai nuovi prodotti come le castagne precotte al naturale e conservate sotto vuoto, ai cereali e snack realizzati per cottura estrusione. Quantitativamente sono rilevanti le trasformazioni in creme o purée, i marroni canditi ed i marrons glacés. Offerte innovative si hanno nel settore delle bevande quali bibite analcoliche (Corea), a bassa gradazione alcolica come le birre (Corea e Corsica), liquori (Italia e Francia) e distillati (Giappone)".
Per me è davvero un prodotto bifronte: dalla caldarrosta al marron glacé. Sono due gusti agli antipodi, che dimostrano la versatilità d'uso di un frutto "povero", che - con cottura rustica - mostra il suo lato grezzo per poi diventare, con la glassa sopra, alta e raffinata pasticceria.

Da Halloween al Fall Foliage

Tipiche zucche di HalloweenBisogna sempre essere vigili rispetto a fenomeni nuovi e non storcere subito il naso per partito preso. La cultura, nel costruire elementi originali, cavalca anche processi imitativi, cambiamenti che sono come innesti su piante ormai vecchie, idee che maturano, assumendo sembianze diverse a seconda di dove si trovino ad agire. Ci sono cose che ci arrivano dal mondo anglosassone e che mettono radici anche in Valle d'Aosta, perché le situazioni cambiano e elementi tradizionali si mischiano a novità e sopravvenienze, dando vita a ibridi che finiscono poi per diventare anch’essi tradizione. Se ci si ferma, allora si finisce come un reperto in un museo, che è altra storia.
Potrei cominciare con il celebre "Halloween", che anche da noi imperverserà oggi e che trova le sue radici in riti antichi di marca celtica su cui - com'è quasi sempre avvenuto - si è sovrapposto il cristianesimo. Oggi abbiamo "dolcetto scherzetto" e un sacco di americanate annesse e connesse, perché appunto negli Stati Uniti il famoso "melting pot" (il crogiolo, che ha messo assieme tante culture diverse, ammesso che abbia funzionato e ne dubito) ha aggiunto elementi nuovi a quanto c'era di atavico, che era stato portato in America specie da scozzesi e irlandesi. Avere il divertimento - con bimbi e ragazzi come protagonisti - non mi stupisce affatto, anche se questo avviene a poche ore - giusto a rimorchio - dal ricordo doloroso dei defunti.
Gioia e dolore sono due facce della stessa medaglia e la paura, che siano mostri, streghe o scheletri, è sempre stata un modo per esorcizzare la morte, che d'altra parte è il lato che rende luminosa la nostra vita per l'inevitabile contrappasso.
Dal mondo anglosassone arrivano anche aspetti, sempre in questa stagione, che trovo importanti, come l'osservazione della Natura, di cui una delle punte di diamante è il "birdwatching", l'osservazione degli uccelli. Ma questo gusto dell'osservazione, fotografica o no, riguarda anche - lo si vede dal successo popolare delle foto naturalistiche - uno sguardo attento e curioso sul mondo animale e vegetale. Anche in Europa si segue ormai questa pista, che dà vita ad un turismo contemplativo, che vive della gioia che si ricava dai paesaggi e mi permetto di dire che in questo ci sta anche la varietà straordinaria degli scorci delle cosìdette "città d'arte".
Questo vale anche per "Fall Foliage" e cioè il godimento della vista dei boschi attraverso le chiome dei diversi colori degli alberi d'autunno, quando le foglie si apprestano a cadere. Un fenomeno sociale e turistico in Canada e in vaste zone degli Stati Uniti, esportato in Europa e anche in Valle d'Aosta, dove si usa anche il francesismo "feuillage".
Trovo che sia una bella attività, che io ho sempre praticato sin da ragazzo, imparando a guardare panorami valdostani, dove la varietà di piante compone degli acquarelli imperdibili in periodo autunnale. Quest'anno il clima e l'escursione termica hanno creato degli autentici spettacoli naturali, godimento per noi valdostani e richiamo su cui bisogna puntare in una stagione tradizionalmente "morta" per il nostro turismo.

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