October 2013

La morte di Rolly

Rolly MarchiAnche i migliori se ne vanno: regola triste, ma dalla certa valenza democratica (la "livella" di Totò). Rolly Marchi - che saluto con affetto - è stato un personaggio eccentrico e multiforme nel mondo della montagna ed è morto alla veneranda età di 92 anni. Pace all'anima sua e si goda una bella sciata sulle nevi eterne delle montagne del Paradiso, dove il suo vocione, fra le voci dei cherubini, non passerà inascoltato.
Ancora poco tempo fa, acciaccato da un incidente, che lo aveva reso quasi cieco, diceva: «La morte mi ha sfiorato più di una volta, in guerra, in parete, in bicicletta e in automobile, ma sono ancora qui. E la neve non so quanta ne avrò ancora, nel tempo che mi resta, ma guardo in alto e avanti».
Alto e dinoccolato, grande loquela e battuta pronta, occhio azzurro e aneddotica senza fondo, Rolly era un giornalista, scrittore, inventore di eventi, bon vivant con charme e con il proverbiale cappello da cow-boy sulla testa. Giocava su questi aspetti piuttosto folkloristici, che esaltava sulla sua rivista "La buona neve", che ricevevo regolarmente, seguendo i suoi sbalzi d'umore da un numero all'altro. Era capace di grandi amori e grandi odi.
Nato e morto sulle Alpi Orientali, con un ultimo periodo cortinese, amava anche la Valle d'Aosta, che conosceva bene e con la quale - ma non ho mai approfondito, benché ci fosse una reciproca simpatia cameratesca - aveva avuto qualche problema di non so quale genere che lo aveva fatto fuggire. Ma, di tanto in tanto, tornava sulle tracce del suo passato.
Per cui si illuminava della sua Cervinia e del lungo sodalizio con Mike Bongiorno, con cui inventò il "Trofeo Topolino", e ricordava con commozione guascona le due salite - di cui una in solitaria - sulla Gran Becca. Così valeva anche per Courmayeur, dove aveva battezzato il "KL - Kilometro Lanciato", poi spostatosi al Plateau Rosa e cantava le grandi amicizie - sin sulla cima del Monte Bianco - con personaggi come Gigi Panei e altre guide del paese, mentre qualche frecciatina all'ambizioso Walter Bonatti non mancava mai.
Con Rolly Marchi - su cui penso varrà la pena di mettere assieme interviste e vecchi spezzoni - se ne va un pioniere dello sci e un grande comunicatore della montagna. Se ne va anche - e anche questo spiace in un mondo di "musoni" - una persona simpatica, che mostrava davvero come la voglia di vivere non sia questione di età.

Contro la memoria corta

Il concetto d'urgenza è in Valle d’Aosta, per chi oggi gestisce il potere, cangiante come i cieli autunnali, a seconda delle necessità.
Si tratta di una constatazione, che potrebbe pure divertire, come rappresentazione grottesca di una certa concezione del potere come declinante parabola umana, ma la verità è che i danni che si cagionano sono reali e pericolosi. La denuncia non serve come inutile lamentazione verso il cielo, ma come utile insegnamento per tracciare una linea da oltrepassare.
Perché certe storie e certi atteggiamenti appartengano al passato e non tornino più, facendo parte, semmai, di una galleria degli orrori/errori da tenere presente per non tornare mai sui propri passi.

Arrivano le "reines"

Il 'bosquet' di una 'reina'Per motivi di lavoro, mi occuperò, nel fine settimana, delle "reines". L'ho fatto molte volte in passato e penso di essere stato il primo a fare la telecronaca in diretta dell'evento. So che fuori Valle il fenomeno può far sorridere, ma è indubbio che ci troviamo di fronte - con certi pregi e qualche difetto - ad un momento sociale antico e moderno. Un punto di giunzione superstite con quella parte rurale della comunità un tempo maggioritaria e oggi ridotta al lumicino.
Antico perché questa storia dei combattimenti fra bovine è vecchia quanto l'esistenza di questi animali allo stato brado. Poi, con il loro addomesticamento, questi scontri per la supremazia nelle mandrie sono diventati occasione per divertimento per noi esseri umani. La modernità sta nelle reinterpretazione, con canoni sportivi da torneo di calcio, dei "combat", che sono ormai usciti da un ambito esclusivamente contadino per diventare espressione culturale a tutto tondo.
Raccontare di loro, delle "regine", diventa in sostanza un'occasione per entrare dalla porta principale in un ambito più vasto, che è fatto dall'agricoltura di montagna e dai suoi prodotti tradizionali. Un settore in continua trasformazione, che ormai vive sul filo del rasoio, dovendo confrontarsi sempre di più con logiche di mercato e di concorrenza e sempre meno con quei fondi compensativi di vario genere che rendevano più equa la competizione con agricolture di pianura, che sono per definizioni grandi e molto produttive. Ma la via dell'Unione europea è tracciata e, immaginando che sarebbe una follia distruggere la montagna con la soppressione di ogni forma di aiuto, va compreso che la crisi obbliga a sacrifici. Questo obbliga il settore pubblico ad azioni efficaci e rapide e a non perdersi in avvitamenti burocratici e in percorsi di guerra che rendano impossibile la vita ad agricoltori, che già per conto loro devono ritarare molte abitudini acquisite in un contesto che rischia di colpire a morte molte aziende.
Ma torniamo alla "bataille": io mi concentrerò sugli avvenimenti di sabato 19 e dunque su "Reine de l'espace Mont-Blanc" con gli scontri che una volta sarebbero stati definiti "trasnfrontalieri", oggi si potrebbero dire di prossimità territoriale. La passione per le mucche di razze tradizionali accomuna valdostani, vallesani (ma anche altri Cantoni romandi) e savoiardi e lo scontro fra due giorni riguarderà proprio bovine di questa provenienza. Con eliminatorie "alla valdostana" in un primo tempo in gruppi omogenei rispetto alle tre provenienze e, rimaste dieci bovine, in un angolo della Croix-Noire, con formula "alla svizzera", si svilupperanno scontri a baraonda, sino ad un "combat final" fra le due ultime rimaste sul prato.
Lo spettacolo ci sarà, sia per chi se lo vedrà dal vivo, o nei diversi appuntamenti della televisione regionale.

Contro il culto della personalità

Le statue dei dittatori nordcoreani  Kim Il-sung e Kim Jong-ilIl culto della personalità è, in politica, una brutta storia, che si declina ovviamente in forme di diversa gravità. La definizione, che non ha nulla a che fare con le forme buone di leadership, ma ne è una degenerazione, suona così: "forma di idolatria politica che porta alla venerazione e all'esaltazione del pensiero e dell'opera di un personaggio politico, cui vengono attribuite doti di infallibilità e alla cui figura di capo si fa risalire tutto il bene di un Paese".
Quando dico che si evidenzia in vari modi, intendo proprio dire che si va da forme blande di accettazione passiva del fenomeno - permeata anche da un addendo: la paura che fa parte di questi sistemi - sino a chi trasforma l'esaltazione del Capo in una sua personale religione. Non è più politica, ma diventa atto di fede e come tale prescinde da fatti concreti.
Ci pensavo rispetto alla situazione difficile e complessa della Valle d'Aosta fra tagli finanziari impressionanti, politiche confuse che colpiscono molti settori, sospetti sulla limpidezza di certi dossier. Ebbene per molti ancora la scorciatoia resta il culto della personalità del presidente, Augusto Rollandin. Chi lo attacca - basta vedere nei social media - diventa cattivo, traditore, venduto, invidioso. E uso delle espressioni riferibili, perché in certe difese d'ufficio, da bar, si sente ben di peggio. Questa logica della difesa "Perinde ac cadaver" (motto dei gesuiti che dice che bisogna farsi trascinare dalla fede a corpo morto) trova forme singolari di obbedienza e di giustificazione di qualunque cosa.
Prendete - ad esempio - certi sindaci di fronte all'evidente progetto di centralismo regionale, attraverso continui tagli di risorse ai Comuni, nel nome della crisi. Dovrebbero per missione difendere i diritti delle comunità che li hanno eletti, ma nella logica del culto della personalità, certi non si permettono di criticare: così non solo tacciono nelle sedi ufficiali ma, se intervistati, sono comprensivi e melliflui. Se "Lui" ha deciso - questo il succo - lo ha fatto perché costretto e comunque agisce per il bene di tutti noi. Amen. Manca solo la genuflessione.
Ricordo, quando mi capitava di contrastare nel gruppo dell'Union Valdôtaine certe decisioni. Le critiche venivano accolte nel silenzio e con fastidio. Anche chi mi dava ragione in privato, nella riunione non si esponeva. Raramente c'era chi, magari neppure conoscendo il tema, interveniva con virulenza per compiacere il capo, sperando in una medaglia. Eroismi inutili, visto che la gran parte di quelli che lo facevano, in queste elezioni, sono stati lasciati a casa, nella logica elegante dell'"usa e getta".
Avanti i prossimi.
Alla fine vale un celebre passaggio di "Avere o essere?" di Erich Fromm, che dice nella sua logica umanista: "La democrazia può resistere alla minaccia autoritaria soltanto a patto che si trasformi, da "democrazia di spettatori passivi", in "democrazia di partecipanti attivi", nella quale cioè i problemi della comunità siano familiari al singolo e per lui importanti quanto le sue faccende private".
Perfetto anche per la Valle d'Aosta di oggi.

Sono un automobilista... arrabbiato

Un cartello sulla ss26Sono un automobilista specializzato nel transito sulla strada statale 26, ogni giorno da Saint-Vincent ad Aosta e ritorno, e sono incazzato nero. Uso l'espressione volgare, perché mi rifaccio ironicamente al comico Gioele Dix con i suoi occhiali da sole, l'aria torva, che recita: «Io sono un automobilista ed essendo un automobilista, sono sempre costantemente incazzato come una bestia».
Fino a quando l'autostrada per e da Aosta aveva prezzi umani, la strada statale era diventata, pian piano, un luogo di transito intercomunale e si prestava per un andamento lento, degno di un viaggetto dal volto umano. Poi, anno dopo anno, le autostrade - in senso generale, ma con medaglia d'oro per la "Quincinetto - Aosta", che è la recordman del costo per chilometro - hanno dato i numeri con il placet dello Stato, con tariffe che in altro Paese europeo avrebbero creato sommovimenti popolari.
Partiamo dall'Anas: allacciatevi le cinture di sicurezza e partiamo per un viaggetto. La "Treccani" ricorda: "Ente nazionale per le strade, adibito alla gestione e alla manutenzione ordinaria e straordinaria delle strade e autostrade di interesse nazionale. Fondato nel 1946 con il nome di "Azienda nazionale autonoma delle strade statali", nel 2002 è divenuta società per azioni di proprietà statale, con capitale sociale costituito dalla rete stradale e autostradale".
In realtà la creatura del dopoguerra è la nascita dalla proprie ceneri della "Azienda autonoma statale della strada - Aass" che gestiva la rete stradale italiana dal 1928. Insomma, un'eredità di epoca fascista, incardinata prima della Costituzione italiana e del regionalismo di facciata così come realizzato.
Dell'autostrada abbiamo detto tante volte: è inutile ripetersi, ma penso che siamo vicini al momento in cui i valdostani concorderanno un blocco dei caselli e qualcuno interverrà sull'emergenza perché esistono livelli che, una volta superati, non creano indignazione, ma anche nel più mansueto montanaro il prurito alle mani e l'acquisto di un robusto forcone.
Della strada statale cosa dire? Ormai è satura. Al mattino, al pomeriggio, alla sera si viaggi incolonnati e sono rari i posti dove - se si ha un pizzico di fortuna - si può superare. Ma ormai non c'è nessuno, ma neppure più un'impresa, che non scelga di percorrerla per evitare i salassi autostradali, che per i camion e furgoni paiono aver raggiunti livelli degni di una cambiale da firmare in uscita al casello.
E l'Anas che dice? Nella mia memoria ricordavo un ruolo di vigilanza sulle autostrade, poi scopro proprio dal suo sito: "Il 1° ottobre 2012 le attività di vigilanza sull'esecuzione dei lavori di costruzione delle opere date in concessione e di controllo della gestione delle autostrade, che erano in capo ad Anas, e il personale dell'Ispettorato di vigilanza concessioni autostradali dell'Anas, sono stati trasferiti al Ministero delle infrastrutture dei trasporti, in base all'articolo 36 del decreto legislativo numero 98 del 2011, convertito in legge numero 111 del 2011 e successive modifiche ed integrazioni, e dell'articolo 11, comma 5, decreto legislativo numero 216 del 2011, convertito in legge numero 14 del 2012 e successive modifiche ed integrazioni".
Ho lasciato i riferimenti di legge, comprensivi di numeri e sigle, che denotano lo stile della legislazione italiana, simile alle trame di un quadro di Jackson Pollock. Quindi, a questo punto sia chiaro, che è al Governo che bisogna chiedere le tante cose sull'autostrada, di cui i prezzi da capogiro sono solo la punta dell'iceberg.
E all'Anas? L'Anas ha in Valle un suo Compartimento, previsto da norma d'attuazione, ma in realtà rimasto piccolo piccolo e con la speranza più volte espressa da Roma di chiuderlo e riaccorparlo a Torino (mentre a Trento e Bolzano hanno, invece, provincializzato gran parte delle strade già Anas). Ma soprattutto sono anni che sulla strada statale 26, di cui pure hanno coscienza dai periodici rilevamenti dell'esplosione del traffico in atto, non si programmano alcuni lavori "di peso" per migliorare la viabilità. Cito - sull'asse fra bassa Valle ed Aosta - la galleria di Bard per evitare le curve verso il borgo, la incombente "Montjovetta", la circonvallazione di Saint-Vincent priva di rotonde, lo snodo viario fra Saint-Vincent e Châtillon ormai obsoleto, per non dire delle grandi attese per l'ingresso da Quart fino ad Aosta, cui si potrebbero aggiungere molte altre migliorie. Immagino che mi si dirà «niente soldi»: bene, capisco, ma allora per evitare che prima o poi una tragedia sulla strada statale scuota le coscienze, interveniamo sui prezzi autostradali. Magari suggerendo ad un'autorità romana, per avere la piena trasparenza, che si mettano su di un sito Internet costi, tempistica e nome delle imprese impegnate nei lavori autostradali. Questo eviterebbe chiacchiere e sospetti e renderebbe leggibili i cantieri.

Il treno dei desideri all'incontrario va

Treno pronto
La Regione Valle d'Aosta comprerà cinque treni bimodali con una spesa prevista di 47,5 milioni di euro. In tempo di crisi, una cifra importante impegnata e un'iniziativa che il Governo regionale condivide solo con la sua risicata maggioranza.
Sono stato il primo a proporre l'utilizzo dei treni bimodali una decina di anni fa: già al tempo dell'acquisto dei treni diesel "Minuetto", in compartecipazione con "Trenitalia" e non con una acquisto a nostro totale carico e con bando regionale, avevo pensato (e ci ho viaggiato sopra in Francia) a questi treni, che possono funzionare con il diesel fine a Ivrea e - schiacciando un bottone - usare l'elettricità da Ivrea in poi. Pensavo - anche se le Ferrovie lo smentivano - che nel passante ferroviario di Torino, dopo i lavori di costruzione, non avrebbero fatto entrare, per problemi di inquinamento, i treni diesel e avevo ragione. Questo ha cagionato l'obbligo del cambio del treno a Ivrea.
Ora si potrebbe immaginare che l'idea di comprare dei bimodali mi renda contento come una pasqua. Non è così per una ragione principale: questo acquisto - e sono curioso di vedere chi li costruirà, visto che sul punto ci sono già delle voci - oggi è una scelta nel vuoto pneumatico di decisioni vere sulla linea. Sono ormai tre anni (tre anni!) che risultano ferme al palo - ed è un fatto di una gravità inaudita, degna della richiesta di un intervento del Capo dello Stato - le "Norme di attuazione dello statuto speciale della regione Valle d'Aosta/Vallée d'Aoste in materia di trasporto ferroviario". La foga dell'acquisto nasconde che queste norme sono quelle che declinano con puntualità una politica ferroviaria regionale, sulla base del molto lavoro svolto - sia tecnico che giuridico - nell'epoca in cui fui assessore ed ero membro della "Commissione paritetica Stato - Regione" all'atto dell'approvazione dello schema di decreto legislativo.
Non entro qui nel dettaglio di che cosa voglia dire essere i titolari dell'esercizio e, volendo, proprietari della linea, dopo aver chiarito la questione fondamentale della quota dei finanziamenti statali per far viaggiare i treni e per ammodernare la linea. Si tratta di sciogliere questioni importanti, come l'elettrificazione, i raddoppi selettivi dei binari, gli interventi, specie nel tratto canavesano, sui passaggi a livello.
Invece, si comincia coi treni, nel buio pesto dei rapporti con lo Stato e con le Ferrovie, che da sempre sono interlocutori sfuggenti, che godono di un sistema di finanziamento paradossale: la Regione paga fior di milioni alle Ferrovie tramite lo Stato (che poi sono la stessa cosa...), ma i rapporti sono gestiti dal lontano e ineffabile Ministero dei trasporti.
Nel dibattito, che ho seguito con attenzione, manca un elemento importante: torna, per la sua oggettiva utilità per un trasporto su gomma privato sempre più caro per carburanti e autostrada, l'idea dell'uso metropolitano della "Pont-Saint-Martin - Aosta" (la linea sino a Pré-Saint-Didier vale un discorso a parte). L'idea è stata studiata e ha elementi interessanti, ma sia chiaro che questo renderebbe difficile conciliare i treni di percorrenza più lunga verso Torino.
Lancio lì la questione e vedremo, intanto - come temo - l'acquisto dei treni siffatto si trasformerà in un impantanarsi nelle sabbie mobili. Chissà, tra l'altro, se sarà stata rispettata quel comma 7 dell'articolo 2 della norma di attuazione che si occupa anche del materiale rotabile e che dice: "La Regione, l'impresa ferroviaria e il gestore dell'infrastruttura stipulano specifici accordi di programma disciplinanti gli interventi da attivare, ivi incluso il rinnovo del parco rotabile, per garantire l'adeguatezza, sotto il profilo qualitativo e quantitativo, dei servizi ferroviari trasferiti, nonche' gli oneri necessari alla loro realizzazione".

Non solo reines

Il titolo sul sito Web del 'Nouvelliste'Mi sono molto divertito a seguire le "combat de l'Espace Mont-Blanc", alla sua seconda edizione, questa volta nell'arena della Croix-Noire. I vallesani, come da lettura sul quotidiano romando "Le Nouvelliste", rosicano per la vittoria della valdostana "Canaille" di Aurelio Crétier, proprietario che ha bissato il successo sul suolo svizzero dello scorso anno (stasera ore 20 su RaiVd'A). Speravano di pareggiare, ma non ce l'hanno fatta e hanno attraversato il tunnel del Gran San Bernardo con le pive nel sacco.
Mi è piaciuto il mix fra l'eliminatoria diretta "alla valdostana", con logica da calendario calcistico con quaranta bovine in partenza (sedici per Valle d'Aosta e Valais ed otto per i Pays de Savoie) e la fenomenale formula decisiva "à la mode valaisanne" con dieci finaliste. Le mucche vengono poste tutte insieme in un cerchio transennato, con eliminatorie, una dietro l'altra, sino a che - classificate le altre da decima a terza - restano le ultime due contendenti, corna contro corna, per il bosquet. C'è stato un momento, colto con euforia dal pubblico, in cui le cinque coppie di bovine - autentici colossi - si battevano in contemporanea in un fazzoletto di terra dell'arena: uno spettacolo dantesco o forse degno di un "Orlando furioso".
A me questa storia della sfida transfrontaliera o meglio di prossimità territoriale interessa, anche per le implicazioni politiche ed economiche. Quelle politiche sono ben note e appaiono sin dal pensiero di Émile Chanoux, che immaginava l'utopia di una République du Mont-Blanc, che desse una veste istituzionale agli antichi rapporti che - sin dal neolitico - accomunano, malgrado quelle frontiere che nel frattempo sono andate via via irrigidendosi, le tre zone che ruotano attorno al massiccio del Bianco con somiglianze e affinità ovvie. In barba agli Stati nazionali e ai confini, che nei secoli sono diventati le ferite della Storia e sono destinati a rimarginarsi.
L'Espace Mont-Blanc è un'istanza nata per contrastare l'idea di venticinque anni fa, quando in Italia si parlava di un Parco nazionale, lato italiano, con estensione internazionale sul Massiccio in una tappa successiva, anche se restava indeterminata la base giuridica su cui fondarlo. All'epoca bastava e avanzava il "Parco nazionale del Gran Paradiso" e in quel tempo - prima che, come oggi, si mettesse la sordina ai problemi di riconoscimento di funzioni e competenze della nostra Regione dentro la porzione valdostana del Parco - il tema era ancora molto caldo. Non si voleva un doppione del problema.
Così l'Espace, che in fondo ricalcava la speranza del vecchio "Triangle de l'Amitié" del dopoguerra e le istanze di cooperazione transfrontaliera nelle sue diverse forme, è stato lo spontaneo riferimento per la passione comune per le reines e questo non è stato frutto artificiale della politica, ma uno dei molti spunti a fronte di radici comuni e problemi identici da risolvere, derivanti dalle similitudini territoriali, sociali e culturali in questa parte di Arco alpino.
Penso che questa messa in comune dell'entusiasmo per le mucche combattenti sia un caso che potrebbe essere moltiplicato nell'economia e ci sono già in alcuni settori - mobilifici, artigiani, commercianti, grafici - persone che stanno facendo da battistrada alla ricerca di scambi economici più forti con Vallese e Savoia, interessanti mercati di vicinanza.
E' una possibilità che ho sempre considerato promettente e bisogna rimuovere quel blocco psicologico, derivante dalla vecchia logica delle frontiere.

Se la Protezione Civile è distante

I danni provocati dall'alluvione del 2000La notizia ha suscitato interesse: solamente 48 persone (tredici di Charvensod e trentacinque di Pollein), su di un potenziale di seicento cittadini, hanno partecipato giovedì scorso all'annuale esercitazione per la frana della "Becca di Nona", una delle montagne simbolo degli aostani, purtroppo così friabile da rendere pericolosa la vita a chi abiti lì sotto.
Sono passati ormai tredici anni dalla morte di sette persone per una colata detritica, nel corso delle terribili pioggie e conseguenti inondazioni e smottamenti dell'ottobre 2000, che precipitò a valle lungo quello che viene chiamato un "conoide alluvionale". Ricordo di persona quelle immagini, indelebili nella memoria, per aver percorso a piedi quei luoghi, poco dopo la tragedia, nel dolore immediato per fatti che crearono angoscia e dolore in tutta la comunità. Per anni, oltre ai lutti, ci sono stato segni indelebili in quella zona e in altre, come le "zampate" sulle montagne poco sopra Fénis o certe parti distrutte a Nus, così come seguirono importanti e diffusi lavori per bonifiche, ripristini e opere di contenimento.
Perché le persone non hanno partecipato? Certo più si affievolisce la memoria e meno funziona la leva della preoccupazione. Poi sono stati fatti lavori importanti per evitare che, in circostanze analoghe, possa capitare qualche cosa di simile e dunque la popolazione è meno spaventata e perciò meno partecipativa.
Ma c'è dell'altro. Ho l'impressione che, negli anni successivi a quegli eventi spaventosi, la Protezione Civile - io almeno rispondo per gli anni in cui me ne occupai - vivesse in clima di grande operosità, seguendo un pensiero. La mia idea era ed è che va benissimo il ruolo dei professionisti che ruotano attorno alle emergenze, grazie al potere di coordinamento che da noi viene svolto dal presidente della Regione, che esercita in Valle anche le funzioni prefettizie. In più va anche molto bene lavorare e collaborare con il vasto e eterogeneo esercito del volontariato, che crea un reticolo di protezione umano, indispensabile in montagna accanto alle colossali opere infrastrutturali di protezione.
Ma, in una comunità piccola come la nostra, con rischio di molte situazioni di isolamento in casi estremi, tutta la popolazione deve essere componente della Protezione Civile. Per questo ci deve essere organizzazione capillare, formazione diffusa, consapevolezza su chi deve far cosa e come agire in caso di situazione di emergenza.
Mi pare che su questo coinvolgimento complessivo non ci siamo affatto. Io, come cittadino, nel mio Comune di residenza, che è Saint-Vincent, pur pensando di possedere un grado di conoscenza piuttosto elevato, io non so assolutamente che cosa dovrei fare di fronte a diversi scenari emergenziali e purtroppo è una mancanza diffusa.
La Protezione Civile è un'entità considerata distante e burocratica. Trovo che sia un peccato e il caso recente dovrebbe suonare come un campanello d'allarme per il fossato che si è creato fra decisori e popolazione "normale", cioè non inquadrata in qualche logica associazionistica di supporto.
In quest'epoca di cambiamento climatico, i rischi aumentano e si moltiplicano e ogni valdostano dovrebbe poter portare il suo contributo, quando e laddove necessario. Anche per evitare drammi.

Uno sguardo a Trento e a Bolzano

Le urne ed i kit per gli scrutatori della Provincia di BolzanoLa prossima domenica si voterà in Trentino-Alto Adige o, per meglio dire, nelle Province autonome di Trento e di Bolzano/Bozen, essendo ormai la Regione una sopravvivenza, che sta in piedi senza nessun reale ruolo politico e amministrativo. A differenza nostra, che consideriamo la "Provincia d'Aosta" di epoca fascista come una scelta sbagliata per dilavare i valdostani con un pezzo di Canavese, per loro la Provincia autonoma è, al contrario, il cuore dell'autonomia speciale.
Per noi valdostani è sempre interessante seguire gli esiti elettorali in queste due realtà alpine che, con gli opportuni distinguo e le differenze esistenti, hanno comunque un percorso parallelo al nostro. Potremmo risalire all'interesse che nel dibattito politico valdostano si ebbe, dopo la Prima Guerra mondiale, per la consapevolezza che la grande minoranza austriaca del Tirolo del Sud avrebbe giocoforza obbligato l'Italia di allora a dotarsi di un politica in favore delle minoranze linguistiche, utile anche per i valdostani. Ma sarebbe forse più interessante seguire certi filoni del dialogo dal dopo Liberazione in poi, che hanno avuto anche nel comune lavoro parlamentare punte d'eccellenza sui temi della specialità, ma anche su argomenti come la montagna, il federalismo, l'europeismo. Oggi, purtroppo, un brusco punto a capo, comunque la si voglia raccontare, è venuto dalla scelta - di cui un giorno capiremo le ragioni tattiche scelte dal presidente Augusto Rollandin - di far iscrivere lo stelluto Rudi Marguerettaz al Gruppo della Lega e non, come di solito alla Camera per gli autonomisti, al Gruppo Misto con i sudtirolesi. Vi è poi la forte autoreferenzialità dell'attuale Governo regionale, che segue la linea fissata dal Presidente più interessato a fatti locali, se non localistici, come dimostrato dalle rare puntate a Roma e dal totale disinteresse per la politica europea.
Queste elezioni segnano la fine della lunghissima "monarchia illuminata" a Bolzano di Luis Durnwalder, il "presidentissimo" per eccellenza, che si ritira a vita privata, e cede, in casa Südtiroler Volkspartei, il testimone ad un quarantenne, Arno Kompatscher. Le liste in Tirolo del Sud saranno quattordici. Erano inizialmente sedici, ma due di esse (Fratelli d'Italia ed Italia dei Valori) sono state escluse per problemi nella raccolta delle dl firme per la presentazione. Sono 424 candidati che corrono per i 35 seggi con un sistema di voto proporzionale e la scelta del Presidente, come in Valle d'Aosta, avviene in Consiglio.
A Trento, dopo il regno di Lorenzo Dellai, ormai occupato in difficili questioni romane, dopo essere inspiegabilmente - per un autonomista - approdato (ma forse andrà altrove) a Mario Monti, bestia nera delle Speciali, la situazione è caotica. Le liste sono ventitré con 784 candidati per il ruolo di consigliere e con undici candidati per l'elezione diretta per il presidente della Provincia. Il candidato del centrosinistra è Ugo Rossi del "PATT - Partito Autonomista Trentino Tirolese", che conosco.
Interessante seguire gli esiti e bisogna con queste "autonomie cugine" ricostruire l'asse, oggi gravemente indebolito.

Ciao, Alberto

Alberto CapiettoNon so dove sia ora il mio amico Alberto Capietto, ma qualche idea ce l'ho e lo dirò alla fine, con cui ho condiviso - da quando eravamo ragazzi, sino ad oggi - momenti di gran divertimento, ma anche di chiacchiere serie. Come molte persone aveva un carattere "double face": "compagnon" instancabile con una grande verve e poi gli cadevano sulla testa momenti di tristezza, più intimisti, in un mondo che per lui ogni tanto diventava agro.
Lo ricordo in azione, nella mescita del vino e nella presentazione dei prodotti valdostani, nella splendida sala del Palazzo Reale di Bruxelles, dove si sono svolsero in passato degli "Arbre del Noël" della nostra Regione per le istituzioni europee. Mi faceva morir dal ridere, nel suo francese suggestivo, quando si metteva a descrivere con tono aulico i profumi dei nostri vini e sembrava, con la sua chiacchiera, di far materializzare, in mezzo agli stucchi e agli affreschi, le nostre vigne eroiche, che risalgono le nostre montagne. Ogni tanto, come un gag fra di noi, mi facevo ripetere la sua magistrale interpretazione, a favore soprattutto di giornalisti e funzionari europei, del maiale valdostano in alpeggio, in mezzo alle praterie fiorite, che porgeva il suo capino al coltellaccio del contadino, felice di trasformarsi nel prelibato "Prosciutto di Bosses". Dovevo pensare a cose luttuose, in circostanze ufficiali, quando si infilava in questa storia, per evitare di ridere a crepapelle.
Con me aveva un rapporto di lunga data, direi affettuoso, come può essere fra amici che si perdono e si ritrovano e bastano poche battute per tornare ragazzi e sodali.
Da qualche anno lavorava per la commercializzazione dei vini della "Kiuva" di Arnad: lo faceva con entusiasmo e impegno. L'ultima volta, poco tempo fa, mi raccontava di come, al di là di tutta una retorica, bisognasse remare molto per commercializzare il vino in un periodo di crisi economica.
Ora si starà occupando di Vin Santo su qualche nuvoletta: lo farà con ironia e sarcasmo e, guardando giù, un ultimo sorriso son certo che me lo riserverà.
Ciao, Alberto.

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