September 2013

I campanacci delle mucche

Alcuni campanacciOggi mi rifiuto di parlare di Silvio Berlusconi, penso ad altro, per favore.
Sento, mentre scrivo, il rumore dei campanacci delle mucche di una mandria, impegnata nella "desarpa", la discesa nel fondovalle, per raggiungere le stalle invernali, del bestiame, a chiusura del periodo dell'alpeggio. Scherzosamente potremmo dire che è finita la vacanza, ma in realtà sappiamo bene che per la zootecnica alpina questo salire sempre più in alto nel cuore dell'estate vuol dire sfruttare i prati sino al limitare delle vette rocciose e produrre, nel caso valdostano, la fontina più prelibata.
Le campane al collo delle "vatse" sono un rumore familiare per i valdostani e direi per molti abitanti delle Alpi. Anche se, ormai, molta parte del bestiame in monticazione sale e scende con i camion, per fortuna ci sono ancora allevatori tradizionalisti che scendono a piedi con le proprie bovine. In testa le "reine", quella del latte, la più produttiva, e quella delle corna, la più combattiva. Certo quelli che transitano ancora sulle strade, ci consentono di assistere ad un rito antico, che suona, più di molto altro, come la fine della bella stagione.
Le mucche scendono dalla "montagne", come è detto in francoprovenzale l'alpeggio. Sul dizionario del patois di Aimé Chenal e Raymond Vautherin, ci sono delle frasi che ricordano questo uso. Ad esempio: "Una bouna, euna dzenta montagne" per definire un alpeggio produttive, oppure "Allé in montagne" per chi lavora, o infine "La comba de Biona l'at quatorze montagne" e cioè i quattordici alpeggi del vallone di Bionaz.
A me piace questo termine "montagna" e in fondo penso che sia logico il suo impiego. Per la grandissima parte della popolazione, tranne qualche cacciatore o cercatore di quarzi, la montagna incombente sopra i grandi spazi erbosi era improduttiva, sino a quel secolo dei Lumi, il Settecento, in cui in un misto fra scienza e avventura, la montagna "estrema" venne sdoganata con la nascita dell'alpinismo. Ma mentre le montagne venivano sempre meglio catalogate e scalate, nessuno cancellava l'uso di "montagne" per quelle zone popolate, sin dall'antichità più remota, da quei pastori che avevano addomesticato le razze bovine locali, seguendo poi i loro ritmi naturali alla ricerca del cibo.
Così la "desarpa" è una sopravvivenza, come una lunga radice che collega la Valle d'Aosta di oggi a quella civiltà rurale che un tempo dominava la nostra economia e a cui si deve il segno profondo di questa nostra montagna, coltivata e forgiata, per consentire la vita di un popolo di montagna.

La rivoluzione degli onesti

Viviamo in una dimensione europea che, per le democrazie deboli come quella italiana (devo spiegare il perché?), è rassicurante per evitare che l'Italia vada alla deriva nel Mediterraneo.
Questa logica continentale, antidoto efficace contro millenni di guerre sanguinose, si applica naturalmente anche nell'economia. Chi ragioni oggi in termini nazionalistici perde quella cornice comunitaria, che vuol dire mettere assieme le proprie forze, ciascuno con le proprie capacità.
Chi mi legge, sa quanto sia favorevole alla libertà di mercato, ma questo non significa un ultraliberismo, basato su una concezione della concorrenza spietata e priva di regole e controlli e soprattutto esistono settori nei quali il ruolo del settore pubblico esiste e non va demonizzato.

Come un sacco vuoto

Una criptica installazione di Carl AndréPer chi conosce i luoghi della politica e li ha percorsi per molti anni, gli avvenimenti odierni - dimissioni farlocche a favor di telecamere di un Popolo della Libertà sdegnato, almeno fino al week-end - fanno montare la carogna e ti prudono le mani, tanto da dover scrivere anzitempo, rispetto al ritmo di un post al giorno, degno di una prescrizione medica.
Prendete uno scienziato pazzo, che sia un giusto compromesso fra il noir, la fantascienza e i fumetti, e prendete una Repubblica di un Paese europeo e ditegli di sforzarsi per creare la situazione più complessa da perdere la bussola e ogni riferimento. Dubito che farebbe di meglio/peggio di quanto avviene, in politica, nell'Italia di oggi.
Se avessimo voglia, potremmo imbarcarci in una dotta disamina degli schieramenti politici. Sulla Destra di Silvio Berlusconi cosa dire? E' una sorpresa continua, mutevole come un giorno di primavera, neppure i suoi gli stanno più dietro fra appelli da statista maturo e rugne da bambino dell'asilo. Personaggio degno della commedia umana alla Molière. Al Centro ormai c'è un buco nero: la terza via sembra ridotta come la modernizzazione della "Salerno - Reggio Calabria". Mario Monti è il fantasma del Louvre. A Sinistra non capisco bene: chi vivrà vedrà. A naso direi che dovrebbe spuntare Matteo Renzi, ma è attorniato da trappole come quelle per i castori . E in fondo al tunnel potrebbe esserci persino una scissione. Dei "grillini" francamente non so dire, perché - per mia ignoranza - resta un fenomeno nazionale insondabile e misterioso, che ha già i suoi guai interni e divisioni prossime venture. Della Lega, che sulla litigiosità non ha niente da insegnare a nessuno, non si capisce più niente e direi un onesto "nebbia in Val Padana".
In mezzo a questo mare tempestoso, c'è un vecchio nocchiero, che sperava di svernare in qualche posto, dopo decenni di navigazione nelle perigliose acque della politica: Giorgio Napolitano, che ho sempre ammirato, ma ultimamente non sempre capito. Mi è sembrato che, a fin di bene, avesse un po' allargato il Quirinale, occupando spazi altrui, ma non per smania di potere, ma per supplire alla crescente inconsistenza di larga parte della politica. Ora potrebbe decidere di salire sulla scialuppa di salvataggio e andarsene a riva, lasciando la "nave maledetta" alla deriva.
Questa cronica incertezza, cui non è per nulla immune una Valle d'Aosta, dove si respira sempre più l'aria di una "Ancien Régime", prima di una salutare e pacifica rivoluzione, crea apprensione e sconcerto. Non è questione di elezioni con vecchia o nuova legge, di riforme costituzionali grandi o piccine, di ideologie, ideologismi, idealità, idealismo e le altre, molte varianti.
E' questione che esiste la serietà di comportamenti e l'impegno nelle cose da fare. Oggi - lo dico senza voler essere offensivo per chi se ne intende - mi sento come di fronte a certe opere di arte moderna in cui inizi, per mascherare ignoranza e catatonia, a guardare da diverse prospettive l'"opera". Vai via che non hai capito un tubo e resti con una sorta di vuoto. Oggi mi sento vuoto, come un sacco.

Malgrado non ci debba essere rassegnazione

Giorgio Napolitano commossoPurtroppo tocca farlo, anche se, rispetto ai miei bioritmi che prediligono l'alba, scrivere nel pomeriggio mi turba. Ma lo faccio, a causa della circostanza che, in queste ore, la matassa della politica italiana è ormai inestricabile, come la più fitta delle foreste amazzoniche e qualunque cittadino informato e partecipe si trova in questa situazione.
Ci scherzo sopra, perché meglio non perdere il sorriso, ma lo faccio con la morte nel cuore, perché questo dedalo in cui si vaga non porterà, alla fine, niente di buono. Anche le democrazie, per quanto scalcagnate, possono morire di certo per cause violente, ma anche perché investite dal ridicolo e cosa avverrà dopo, quando si è buttato "il bambino con l'acqua sporca", è meglio non saperlo.
Torna Enrico Letta dagli Stati Uniti, Giorgio Napolitano - prima di riceverlo - si commuove in pubblico perché attonito per la situazione, Forza Italia annuncia una manifestazione per la giornata di riunione della Giunta del Senato in cui arriverà il redde rationem per Silvio Berlusconi e, tuttavia, appaiono in televisione personalità del già Popolo della Libertà che annunciano che il Governo non si tocca, anche se i parlamentari già pidiellini hanno detto che daranno le dimissioni, pur se la modalità scelta è sinora da avanspettacolo.
Non so cosa ci vorrebbe oggi. Mi domando, ogni tanto, se si sia raggiunto il fondo. Per altro, questa situazione d'incertezza non riguarda solo l'Italia. Il Consiglio Valle di ieri, con un'opposizione che mostra il vasto affresco di una situazione difficile e piena di magagne, si è trovata di fronte a risposte che oscillano fra la vaghezza e il muso duro. Una situazione paradossale, come può esserlo un tramonto, quando si allungano le ombre e si sa già che arriverà il buio.
Tutto si può accettare - sia chiaro - ma non la rassegnazione.
Mi è capitato spesso di ricordare come le generazioni come quella di mio padre e dei miei nonni abbiamo vissuto di peggio fra l'Ottocento e il Novecento. Non è consolatorio, ma anche loro ne sono usciti e anche noi, anche per nome e per conto di figli e nipoti, sarà bene che ci mettiamo di buzzo buono.

Semplice da dire

Un cartello per l'uscita d'emergenzaSenza dover ricorrere all'anglicismo "exit strategy", ma usando l'espressione equivalente "via d'uscita", ci si chiede questa volta come si supererà l'impasse nella politica italiana.
Sussurri e grida si moltiplicano, dopo che - con mossa inaspettata, forse calcolata o forse frutto di capricciosità - Silvio Berlusconi ha rotto la fragile tregua su cui si reggevano i destini del Governo Letta. Un esecutivo voluto dal Quirinale e dal Presidente, Giorgio Napolitano, confermato alla Presidenza della Repubblica, unico caso sinora, malgré lui, per la difficoltà del Parlamento di esprimere un suo successore senza troppi traumi. E il vecchio Capo dello Stato ha, senza alternative, imposto la coabitazione fra Popolo della Libertà e Partito Democratico, con un paziente lavoro di maieutica.
Ma i guai giudiziari di Silvio Berlusconi hanno spezzato l'incantesimo e il Cavaliere si sente braccato dalla Magistratura, temendo che, alla condanna fatale per il suo seggio di senatore e per la sua candidabilità, seguiranno problemi ancora peggiori, compreso il rischio che aleggia di un vero proprio arresto (ma, per età, finirebbe ai domiciliari). Come un animale ferito e braccato, Berlusconi ha deciso, dopo aver detto il contrario in un messaggio televisivo "istituzionale", di rompere il giocattolo per andare alle elezioni. La posta in gioco è la sua sopravvivenza politica, ma anche del suo "impero" imprenditoriale, che potrebbe non sopravvivere ad un suo tonfo. Penso che si sia reso conto che non avrà, in questa fase, né clemenza né lasciapassare.
Come un pifferaio magico, ha dietro di lui una lunga scia che, vera "corte dei miracoli", lo segue verso il baratro. Ma lo accompagnano, in questo suo ultimo viaggio in politica, anche milioni di italiani, pronti a seguirlo in qualunque avventura, perché stregati dal suo carisma, malgrado le evidenze dei suoi comportamenti pubblici e privati. È un tratto distintivo del carattere italiano, quello dell'innamoramento per un uomo del destino. Certo, se poi cadrà definitivamente, il berlusconismo si scioglierà come neve al sole e tra qualche anno saranno pochi ad ammettere di averlo seguito anche in questa sorta di "via crucis", che infligge alla dissanguata democrazia italiana.
Questa situazione obbliga i valdostani a riflettere per capire quali analogie ci siano fra il loro quadro politico e quello italiano. La prima dimostrazione è che le "larghe intese" non funzionano, se sono - nella facile analogia fra Silvio Berlusconi ed Augusto Rollandin, maneggiando con attenzione le circostanze e le personalità assai diverse - una via d'uscita per consentire a chi è in fase declinante di restare sulla scena. La seconda è che proprio la cocciutaggine di non lasciare la scena finisce per diventare disastrosa per l'interesse generale. Si tratta di un comprensibile tratto umano, specie per chi calchi la scena da tantissimi anni e non si immagina una vita diversa.
Ma non si può pensare che tutto si sfasci per questioni e interessi personali e per le reti di potere. E' naturale che ci sia a un certo punto, anche in politica e anche per chi ha mostrato capacità mista a molte astuzie e equilibrismi, una parola semplice e comprensibile: fine.
Semplice da dire.

Ormai si recita a soggetto

Enrico Letta ed Angelino AlfanoQuella di ieri è stata una giornata convulsa, in cui i boatos sono stati da "Alka Seltzer": prima la proposta di Giorgio Napolitano su amnistia e indulto, che è parsa un'apertura verso Silvio Berlusconi, poi il retroscena che sembrava - specie in vista di un pronunciamento sul punto, la settimana prossima del Consiglio di Stato - di aprire l'ipotesi sul "lodo Violante" e dunque un rinvio e un'attesa sulla decadenza del Cavaliere da parlamentare. Mentre, su tutto questo, la Rete ribolliva... A chiudere i giochi la dimissione dei Ministri del Popolo della Libertà - Forza Italia, come da diktat del Berlusconi furioso.
Cronaca, insomma, di crisi che appare d'improvviso sulla scena della politica italiana, come un fulmine a ciel sereno nel cielo d'autunno e questa saetta appicca un fuoco nella foresta sempre più intricata, che è metafora degli equilibri ormai schizofrenici nei rapporti fra partiti di questa Terza Repubblica, vittima di una crisi di credibilità senza sconti possibili. Una stagione di mezzo - quest'autunno 2013 - che era stata descritta come decisiva per risolvere tanti nodi, ormai al pettine, mentre si è finiti contro un muro a una velocità folle e bisognerà vedere chi nello scontro vivrà o morirà.
Come nella favoletta in cui si gridava per un nonnulla «al lupo, al lupo», rendendo il grido inutile nel vero momento di emergenza, ormai nessuno prendeva più sul serio certe minacce poco credibili. Ed invece il lupo è arrivato: Silvio Berlusconi è passato all'offensiva e, per un ultimo ricatto, giunge - come detto - alle dimissioni vere dei suoi Ministri nel Governo Letta. Si chiude, almeno così pare scontato, la "strana alleanza" fra Popolo della Libertà e Partito Democratico, che ha vivacchiato in questo periodo per fronteggiare la crisi e per riscrivere la legge elettorale. Invece, il solito gioco dei veti incrociati ha creato una paralisi, che si regge sempre sulle decisioni mutevoli e capricciose di Silvio Berlusconi, che in queste ore festeggia i suoi 77 anni.
Sarà il capolinea della Legislatura? E' probabile, ma non certo, perché qui ormai la commedia non ha più un copione e si recita a soggetto e lo scopo è un degrado manifesto della istituzioni. Certo che chi crede nella democrazia e nella politica deve drizzare le antenne. E' ora che i segnali di cambiamento vadano coltivati con grande impegno, perché è un nostro dovere per evitare il peggio.
In Italia, ma anche in Valle d'Aosta.

Radio: ieri, oggi e domani

Il sottoscritto ai suoi esordi alla 'Rai' valdostanaLa Radio è molto cambiata dal punto di vista tecnologico. Se devo fare uno sforzo di memoria, penso che il primo studio radiofonico che ho visto sia stato nel 1974 o giù di lì quando - giovane studente ginnasiale - partecipai, con altri pendolari, ad una protesta per i cronici ritardi dei treni con un blocco alla stazione di Châtillon. Una piccola delegazione andò alla "Rai", dove incontrammo il giornalista Daniele Amedeo, che intervistò alcuni di noi nello studio radiofonico di via Chambéry ad Aosta. Sei anni dopo, ci entrai come praticante giornalista. Ma, nel frattempo, mi ero fatto lo ossa in quella sorta di happening, che fu "Radio Saint-Vincent", con studi alla buona ma una grande vitalità e avevo lavorato dal 1978 nella frizzante "Radio Reporter 93" di Torino in un ambiente haut de gamme. In quest'ultima avevo visto studi più professionali, giradischi mirabolanti e registratori a cassetta.
In "Rai", invece, era il regno di studi felpati, dove il silenzio era immacolato per la perfetta sonorizzazione, e il trionfo del nastro: ogni sospiro era un pezzo di plastica magnetizzata di una bobina e il montaggio lo faceva il tecnico con un taglio e lo "scotch". Fui tra i primi giornalisti a uscire da solo con il registratore a bobina "Nagra" e a fare, sempre da solo, i collegamenti via radio con il trasmettitore della "Pastega".
Al mio ritorno in "Rai" (più o meno 22 anni dopo il mio primo mandato da deputato), a parte lo spostamento da Aosta a Sant-Christophe della sede e la nuova responsabilità ai Programmi, lasciando il posto che avevo conservato in redazione, mi sono trovato con sistemi di registrazioni e montaggio digitalizzati, con voce e musica che possono essere montati attraverso la trasformazione in un sghiribizzo, che compare su di un monitor e che si taglia direttamente sul suono, senza più un supporto fisico vero e proprio. Gli studi non sono cambiati molto e i monumentali microfoni sono stati sostituiti da cuffie con annesso il microfono, che ti fanno somigliare a Topolino.
Quest'estate ho fatto quattro settimane di radio regionale in sei giorni su sette e da settembre mi sono ritagliato una ventina di puntate ogni martedì in una trasmissione, assieme ad Elena Meynet, dedicata ai "Colori". Ho fatto "verde" e "blu" e sono pronto, domani, per il "giallo". La radio è racconto, affabulazione, dialogo con gli ospiti, scelta delle musiche. Un tempo esistevano solo i dischi e passavo molto tempo nella scelta, oggi la musica la trovi ovunque, anche se la "Rai" ha sistemi di ricerca piuttosto sofisticati.
Insomma: il ritorno ad un vecchio amore, tenuto vivo con appuntamenti fittissimi nella vecchia "Radio Monte Rosa", quando era radio valdostana con gli studi sopra le Poste ad Issogne e poi negli studi vicino al "mulino Pavetto" di "Top Italia Radio" ad Aosta.
Quando penso alla mia vecchiaia, a quando lascerò il lavoro, mi piace pensare di diventare una voce che fa compagnia, magari di prima mattina, su di una radio valdostana, raccontando storie del passato e del presente. Chissà con diavolerie tecnologiche arriveranno anche per la ricezione, visto che dalla vecchia modulazione di frequenza (FM) si passerà alla radio digitale (DAB), ma intanto trovi radio sul Web in streaming e in podcast. La Radio galoppa e io vorrei restare in sella.
Intanto, ogni martedì, mi occupo di "Colori": dalle 12.30 su "Radio1", la radio pubblica regionale.

Registrazione Tribunale di Aosta n.2/2018 | Direttore responsabile Mara Ghidinelli | © 2008-2021 Luciano Caveri