June 2013

Destini paralleli

Gigi Rizzi con Brigitte BardotL'incrocio delle vite e dei destini è una strana cosa e ognuno ci legge quel che vuole in tante varianti, che vanno dal disegno imperscrutabile alla totale casualità.
Ci pensavo leggendo alcuni necrologi sui giornali. Operazione che mi ha sempre interessato: scopri dalla lettura di certi piccoli ricordi funebri un pozzo di saggezza, tanta tenerezza, logiche burocratiche e tanti altri aspetti. La versione elettronica dei giornali priva di questa curiosità, che oltretutto più si invecchia - lo ricordo in mio padre e nei suoi commenti - e più l'annuncio di morte è un sospiro di sollievo, come un colpo sbagliato alla "battaglia navale".
Il pensiero nasceva perché sulla stessa colonna ho visto, beffa postuma, accomunati il politico Emilio Colombo e l'attore-imprenditore (per me, come per tanti, un "playboy") Gigi Rizzi.
E così i destini incrociati diventano quasi burleschi: Colombo, nato a Potenza novantatré anni fa e morto a Roma, dove aveva sempre vissuto, era un politico democristiano di lunghissimo corso con un curriculum incredibile, sino a diventare Senatore a vita, presiedendo ancora con autorevolezza la prima seduta della "Camera alta" nella recente nuova Legislatura, perché il più anziano.
Gigi Rizzi era più giovane di quasi venticinque anni, nato a Piacenza e morto nel luogo dove era diventato famoso per le estati torride alla fine degli anni Sessanta, vale a dire Saint-Tropez, dove conobbe e amò Brigitte Bardot. Dopo gli anni della "dolcevita" emigrò in Argentina, dove aprì una fazenda.
La morte li ha uniti in uno sberleffo. Se Rizzi, con storie sui giornali di cronaca rosa, era un bello e brillante un po' maudit, di cui si occupò - senza suo coinvolgimento vero - anche la cronaca nera con un caso dell'inizio degli anni Settanta di cocaina rinvenuta nella discoteca romana "Number One", da lui fondata, nel caso di Colombo era un uomo dalle due personalità, visto che alla figura un po' cardinalizia si affiancava una storia di gay - in contraddizione con l'immagine pubblica e per questo la segnalo - cui si aggiunse pochi anni fa una storia di uso di cocaina (lui disse «ad uso terapeutico»).
Insomma muoiono nelle stesse ore e si scopre che le rette parallele di due vite apparentemente distanti si sono incrociate, forse perché già prima fra il bello da faccia da schiaffi e il costituente in doppiopetto c'erano più affinità di quanto si potesse pensare. Che riposino in pace.

I nodi al pettine

Non spiegherò più perché non mi sono candidato alle elezioni regionali.
L'ho scritto e riscritto troppe volte.
Colgo, però, l'occasione di lasciare il seggio di piazza Deffeyes - ed è quanto avverrà il 1° luglio - per ringraziare quanti in queste settimane mi hanno avvicinato o scritto per esprimere la loro stima e simpatia e qualcuno era pure arrabbiato per le mie scelte. Poiché nella politica c'è una componente di vanità, confesso che tanti attestati di considerazione mi hanno fatto piacere, specie quando espressi da persone semplici, che lo fanno con il cuore in mano e non per chissà quale tornaconto.
La politica è e resta una passione, che ho sempre cercato di interpretare con correttezza e impegno in tutti i ruoli che ho ricoperto in tanti anni di "carriera".
Non ho alcuna intenzione di vivere di ricordi, per quanto consentano nel rievocarli di far tornare alla memoria tanti episodi della mia vita. Dico spesso che non si può vivere, in politica come in tutto il resto, guardando nello specchietto retrovisore: il passato è passato e mai tornerà nelle medesime circostanze e con le stesse caratteristiche. C'è sempre un prima e un poi.
E soprattutto, in questo moto continuo, bisogna darsi da fare dove ti portano le circostanze, in parte scelte e in parte no, della tua esistenza.

"Sla" e doping

Cesare Prandelli e Stefano BorgonovoUna definizione standard di doping, termine inglese derivato da "dope" (droga) passato all'italiano, può essere così riassunta: "insieme delle pratiche mediche, biologiche o farmacologiche, non giustificate da condizioni patologiche, allo scopo di migliorare le prestazioni sportive di un atleta".
Se leggi alcune spiegazioni, sembra un problema recente, ma scavi più o fondo e scopri quanto l'uso di sostanze per migliorare le proprie prestazioni fisiche sia vecchio come il cucco, mentre è più recente la lotta fra guardie e ladri, fra chi individua pratiche proibite e chi ne cerca di nuove, sempre più performanti e non individuabili.
In mezzo ci stanno gli sportivi, più o meno consapevoli, con gli apprendisti stregoni che propongono (o impongono) loro patti luciferini. Le conoscenze di ognuno dimostrano. purtroppo, che non solo agli alti livelli si usano sostanze e pratiche illecite e dannose, ma che questo avviene anche a livelli amatoriali e si cercano a tutte le età degli "aiutini" più o meno sofisticati. Ho sentito racconti da brivido da parte di chi conosce bene il mondo dello sport, compreso chi ha abbandonato certe attività agonistiche, perché era stufo di dover subire la presa in giro di competere con chi si faceva aiutare senza seguire le regole sanitarie e morali.
Per questo non mi stupisce, ma mi indigna, la morte di Stefano Borgonovo, l'ex calciatore del Milan, della Fiorentina e della Nazionale, che da tempo lottava contro la "Sla - Sclerosi laterale amiotrofica". E' una malattia che porta progressivamente alla morte e che da tempo viene definita "la malattia dei calciatori".
Ricordo come il pubblico ministero torinese Raffaele Guariniello abbia fatto esaminare un campione di 24mila calciatori italiani di serie A, B e C, osservando un'incidenza di malattia sette-otto volte maggiore - ma ho letto dati ancora peggiori - rispetto alla popolazione generale.
Una strage silenziosa, fatta di uno stillicidio che sembra colpire a distanza di molti anni chi ha adoperato delle sostanze che in qualche modo sarebbero all'origine delle percentuali più elevate di incidenza della malattia.
Resta sul tema una forte omertà e anche una grande dose di ipocrisia, come dimostrato dalla Nazionale italiana, che ha giocato con il lutto al braccio contro la Spagna. Forse - ma capisco la rete d'interessi sottesi - sarebbe bene fare chiarezza, piuttosto che esprimere lutto e cordoglio, che presi da soli sono rispettabilissimi, ma puzzano di ambiguità perché troppi sanno e tacciono.

Da Imperia al "Med"

Il mare di ImperiaSarà sbagliato ed incomprensibile, in particolare per chi ami vivere guardando al passato, ma raramente torno nei luoghi di divertimento della mia giovinezza. Per il mare questo significa per me Imperia, la città della "Riviera di Ponente" dove è nata mia madre, che è la sommatoria, voluta da Benito Mussolini, di due cittadine piuttosto diverse, Oneglia che era piena d'industrie e con un porto commerciale e quel tipico borgo marinaresco, che è Porto Maurizio con una bella spiaggia sabbiosa.
Ho passato, da neonato sino ai vent'anni, delle lunghe e indimenticabili estati, così belle da convincermi che fugaci ritorni, per vacanze brevi come quelle consentite dal lavoro, mi sarebbero andati stretti con il rischio, invecchiando, di un triste "come eravamo". Mentre io il "come eravamo" ce l'ho scolpito in ogni istante nella mia memoria, pronto per essere riesumato per farmi compagnia.
Questo vale anche per alcune vacanze degli anni Ottanta, in diversi "Club Méditerranée", quando il "Med" (come si accorciava con evidente gusto francese e la lingua ufficiale era proprio il francese) era una marca associata a gran divertimento e a un anticonformismo nel binomio fra "G.O." ("Gentils Organisateurs", cioè gli animatori) e i "G.M." ("Gentils Membres", cioè i clienti). Sarà il clima di quegli anni, i ricordi di quell'età, la voglia di vivere, ma si creava davvero una magia straordinaria e si ripartiva dai soggiorni con amicizie, promesse d'amore e i lucciconi.
Quest'anno, ma mi era già capitato in un recente passato, sono stato di nuovo in un "Med", l'unico estivo rimasto aperto in Italia, in Sicilia. Ricordo in pillole che dal grande patron Gilbert Trigano, con la nascita negli anni Cinquanta, si passò alla famiglia Agnelli e da parlamentare europeo conobbi l'amministratore delegato dell'epoca Henri Giscard d'Estaing, che diversificò il Gruppo, poi acquisito dalla multinazionale "Accor".
Oggi - fatto la tara dell'età e delle esigenze diverse - non si può che constatare che tutto è cambiato e chi dovesse ricercare tracce del "dna" del vecchio e glorioso Club andrebbe deluso, perché tutto è standardizzato e senza quel "certo non so che", marchio di fabbrica che consentiva di scegliere il "Med" per quanto riusciva ad esprimere di diverso rispetto al turismo di massa. Così non è più, dimostrazione che non bisogna mai tornare sul "luogo del delitto", riferendosi scherzosamente ai propri luoghi di vacanza del tempo che fu.
Cambiare è necessario e rimpiangere un esercizio ozioso.

Montagne e mari

Il piccolo Alexis in spiaggiaRicordo, quando nacque il "Comitato italiano per l'Anno Internazionale della Montagna", quanto insistetti per sostituire il singolare con il plurale "Montagne". Mi sembrava più rispettoso delle diverse caratteristiche della montagna italiana, sapendo che la montagna diventa ancora più varia se ci allarghiamo al resto d'Europa e poi al mondo intero. Sulle montagne dei pianeti del nostro sistema solare non mi pronuncio...
Giorni fa mi lambiccavo - ma toccherà fare una ricerca - sulla desuetudine in cui è caduto il termine "monte", che indicava un tempo una certa vetta, mentre il termine montagna sembrava avere un'accezione generalista. Ma poi basta pensare al Monte Rosa, che è un insieme sinfonico fatto da diverse cime, per essere smentito, mentre Monte Cervino sarebbe favorevole alla tesi della singolarità del "monte".
Più chiaro, mi sembra, il termine "mare", che non ha doppioni. Amo il mare e anche in questo caso propendo per l'uso del plurale "mari". Il Mar Rosso non è il Mar Baltico, l'Oceano Indiano non è l'Oceano Atlantico. Se si pensa, inoltre, alle caratteristiche dei mari italiani non si può che verificare come il Tirreno non sia l'Adriatico, ma poi - se scendi nel dettaglio - ti accorgi che in un'isola come Lampedusa, attorniata sempre dallo stesso mare, tutto cambia a seconda delle coste, come ben sanno i frequentatori del mare domestico dei valdostani, quello della Liguria, che muta da Levante a Ponente.
Ricordavo, ieri, di Imperia e delle spiagge di sabbia di Porto Maurizio, che assumono colori caraibici in certi giorni, mentre ad Oneglia ci sono spiagge di sassolini - come la "Galeazza" - dove il mare non degrada lentamente, ma diventa subito profondo. Una grande diversità a poca distanza. Cambia persino il rumore dell'onda che si abbatte sulla sabbia della riva con un suono armonico rispetto a quella che crea un rotolamento dei ciottoli sulla battigia con uno sciabordio inconfondibile.
Non ho mai avuto paura del mare: da ragazzino con maschera e pinne mi spingevo distantissimo dalla riva con fondali sabbiosi che erano sempre più profondi. Da adulto ho avuto la fortuna, con le bombole, di vedere fondali ricchissimi, come quelli delle Maldive e del Mar Rosso. Qualche paura, per dire la verità, me la sono presa per certe correnti in Brasile o all'isola della Réunion, dove il rischio squalo è in cartelli esposti sulla spiaggia.
Ma sono sempre stati più i pro dei contro e come non evocare la frase ne "I Malavoglia" di Giovanni Verga: "Il mare non ha paese nemmeno lui, ed è di tutti quelli che lo sanno ascoltare".
Come le montagne.

La politica e la comunità

Saponi artigianali, profumo di pulitoPer ragioni di famiglia, ho sempre respirato l'odore della politica. Oggi, dopo tanti anni di pratica nell'ambiente per vita vissuta, posso dire che la politica e i politici che l'incarnano (dal greco politikós, "che riguarda i cittadini") possono essere rappresentati da una grande varietà di profumi o anche incarnati da terribili olezzi.
Chi abbia letto il libro - tragico e a tratti grottesco - pieno di sottintesi e sottigliezze, "Il profumo" di Patrick Suskind, sa bene a che cosa mi riferisca. Per gli altri valga la constatazione che il mondo della politica è una rappresentazione in scala, attraverso il suffragio universale, dei pregi e dei difetti della società che esprime gli eletti. Conosco degli inetti e dei mascalzoni, dei capaci e dei galantuomini in varianti che potrebbero riempire la pagina: tutti egualmente frutto della stessa democrazia e delle scelte fatte dai cittadini elettori.
In occasione del primo giorno del Consiglio Valle della quattordicesima Legislatura, che suona per me come una volontaria scelta operosa di non essere nelle istituzioni, dopo tanti anni di presenze varie, penso che, in fondo, il punto sia proprio questo.
In un'epoca di grandi contrapposizioni in Valle d'Aosta, nel solco di una lotta politica sempre vivace sin dagli esordi balbettanti delle prime forme di parlamentarismo, bisogna non solo guardare ai politici - buoni o cattivi, secondo i gusti ma anche con molte buone ragioni per un giudizio il più oggettivo possibile - ma alla comunità che li esprime con l'esito delle urne o che, per la parte che non vota, accetta di prendere quel che hanno scelto gli altri.
Capisco che coloro che si astengono non lo facciano solo per delegare altri in vece loro, ma anche perché - e bisogna essere rispettosi con chi lo pensi in questo modo - ritengono che non ci sia nell'offerta di partiti e movimenti una scarpa adatta per il loro piede.
Comunque sia, oggi bisogna concentrarsi sulla comunità, ancora prima che sulla politica, che ne è lo specchio. Una comunità che è vivente, anche se erede naturale di tutto quanto è successo prima di noi.
Che cosa vogliono i valdostani per il loro futuro? Questa famosa autonomia speciale è un punto di arrivo o di partenza? La sua eventuale messa in discussione varrebbe una reazione popolare? Questa amministrazione, costruita dalla politica, è al passo coi tempi?
Ognuno - a proprio piacere - potrebbe aggiungere interrogativi ad interrogativi. Spero che ci sia la capacità su questo - e non sulla "politichetta usa e getta" - di cercare strade nuove e coraggiose.

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