June 2013

Pensieri su un vecchio film

Un'immagine da 'Quinto potere'Un'amica di Cogne mi ha mandato un link di un pezzo del film del 1976 di Sidney Lumet "Quinto potere" (in inglese "Network", ma allora il termine inglese non era familiare). È una storia in cui si racconta di un noto giornalista televisivo, in calo di popolarità, che annuncia il proprio imminente suicidio in diretta televisiva. E poi diventa una sorta di predicatore. Una produttrice televisiva cerca di sfruttare con cinismo l'avvenimento, significativo degli alti e bassi degli ascolti, che condizionano il mercato televisivo. Finale tragico. Il film è ormai un classico del cinema, consigliabile per chi non lo avesse mai visto.
Il monologo di Howard Beale, l'attore australiano Peter Finch, è rimasto nella storia del cinema: «Non serve dirvi che le cose vanno male, tutti quanti sanno che vanno male. Abbiamo una crisi. Molti non hanno un lavoro, e chi ce l'ha vive con la paura di perderlo. Il potere d'acquisto del dollaro è zero. Le banche stanno fallendo, i negozianti hanno il fucile nascosto sotto il banco, i teppisti scorrazzano per le strade e non c'è nessuno che sappia cosa fare e non se ne vede la fine.
Sappiamo che l'aria ormai è irrespirabile e che il nostro cibo è immangiabile. Stiamo seduti a guardare la televisione mentre il nostro telecronista locale ci dice che oggi ci sono stati quindici omicidi e sessantatré reati di violenza come se tutto questo fosse normale, sappiamo che le cose vanno male, più che male!
E' la follia! È come se tutto dovunque fosse impazzito così che noi non usciamo più. Ce ne stiamo in casa e lentamente il mondo in cui viviamo diventa più piccolo e diciamo soltanto: "Almeno lasciateci tranquilli nei nostri salotti per piacere! Lasciatemi il mio tostapane, la mia televisione, la mia vecchia bicicletta e io non dirò niente ma... ma lasciatemi tranquillo!".
Beh!, io non vi lascerò tranquilli. Io voglio che voi vi incazziate. Non voglio che protestiate, non voglio che vi ribelliate, non voglio che scriviate al vostro senatore, perché non saprei cosa dirvi di scrivere: io non so cosa fare per combattere la crisi e l'inflazione e i russi e la violenza per le strade. Io so soltanto che prima dovete incazzarvi. Dovete dire: "Sono un essere umano, porca puttana! La mia vita ha un valore!".
Quindi io voglio che ora voi vi alziate. Voglio che tutti voi vi alziate dalle vostre sedie. Voglio che vi alziate proprio adesso, che andiate alla finestra e l'apriate e vi affacciate tutti ed urliate: "Sono incazzato nero e tutto questo non lo accetterò più!".
Voglio che vi alziate in questo istante. Alzatevi, andate alla finestra, apritela, mettete fuori la testa e urlate: "Sono incazzato nero e tutto questo non lo accetterò più!" Le cose devono cambiare, ma prima vi dovete incazzare. Dovete dire: "Sono incazzato nero e tutto questo non lo accetterò più!" Allora penseremo a cosa fare per combattere la crisi e l'inflazione e la crisi energetica, ma Cristo, alzatevi dalle vostre sedie, andate alla finestra, mettete fuori la testa e ditelo, gridatelo: "Sono incazzato nero e tutto questo non lo accetterò più!"»
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Questo suo allucinante e straziante appello ebbe successo in un primo tempo, per poi diventare - con il suo boom immediato, che diventa poi effimero - un esempio grottesco della parodia della televisione, che crea - oggi ancora più di allora - un mondo fatto di specchi deformanti che trasformano la realtà.
Ma quell'appello forte e persino volgare sembra gli strali delle meteore di certi fenomeni politici protestatari odierni, di un giornalismo militante o prezzolato che gonfia e sgonfia le notizie, di una protesta che non sfocia mai in proposta, di un movimentismo del "no" che non offre alternative ai problemi reali.
Quella scena, che mi era passata di mente, mi sembra ora di una tragica e dolente attualità.
Anche in Valle d'Aosta e senza occuparsi della sola cronaca giudiziaria.

Attenti al Capo

Arabi in preghieraPiù studi e vivi la politica e più le cose sembrano complesse e difficili, specie per arginare il crescente disinteresse, che si accompagna a forme le piu varie di antipolitica. Fenomeni da sempre esistenti, ma che ora diventano una patologia non piu acuta, ma persistente, congenita e difficile da debellare. Non si tratta, infatti, solo di diagnosticare queste malattie, ma anche e nel limite del possibile identificare le cure.
Nessuno discute che la politica nel tempo debba essere interpretata da esponenti di spicco, che con le loro capacità sostanziano fisicamente il ruolo di collante della democrazia di movimenti e di partiti politici, che non vivono sulla luna ma nella concretezza della società, che sono chiamati a rappresentare. Diverso è quando ti accorgi che questa "logica buona" - cui sin dalla nascita sin dalla sua nascita si è ispirata l'Union Valdôtaine Progressiste - viene da altri surclassata da livelli di adorazione, che sfiorano il culto della personalità. Questo è un virus assai nocivo, perché si sa dove cominci e non si sa dove finisci.
Un'immagine caratteristica di questa situazione sono state negli anni le manifestazioni "pro- Berlusconi" con l'apoteosi dei parlamentari - come soldatini di piombo - di fronte al Tribunale di Milano per difendere il "Capo" dalla supposta protervia della Giustizia. Ora, in uno scenario diverso, per Beppe Grillo si schierano i suoi con una logica da falange macedone a difesa anche in questo caso del "Capo" per le voci di dissenso interno, che domandano decisioni condivise e non imposte. Idem sui social media stanno facendo i "rollandiniani" di ferro, che per una avviso di garanzia - chiusura delle indagini preliminari per accuse di abuso d'ufficio inneggiano al "Capo" e lo invitano - chissà poi che cosa vorrebbe dire - «a non mollare» e temo che a questo si sia ispirata,sembrando un tetro déjà vu, la rinnovata fiducia dell'UV per la Presidenza in vista dell'avvio della nuova Legislatura regionale.
Questa dimensione carismatica della leadership rischia di essere un accidente per la democrazia, perché in una società complessa l'accentramento del potere e la sudditanza a atteggiamenti fideistici e manichei non portano molto distante. Pensate alla grande speranza per molti dell'avvento nel centro-sinistra di Matteo Renzi, la cui apparizione sulla scena non è già più freschissima, ma è connotata proprio dal rischio che la sua personalità finisca per soffocare ogni logica di squadra in favore proprio del Leader da adorare.
Trovo che, senza misura, senza gli equilibri e i contrappesi di democrazie rodate, per l'Italia ogni personalizzazione eccessiva della politica produca dei mostri.

Il viaggio

La classica Tour EiffelSono a Parigi con i miei due ragazzi grandi. Potrebbe essere definito un viaggio per la promozione a scuola, ma in verità era una richiesta di Eugénie - che c'era stata tanti anni fa e ne aveva una memoria vaga - cui il fratello Laurent, pur borbottando come suo costume (c'è stato di recente in gita scolastica), ha partecipato. Preciso che, cuore di padre, li avrei portati anche se rimandati.
Devo dire a questo proposito - prima di venire al punto - che mio padre, Sandro, mi diede a quattordici anni una lezione di vita. Il patto stipulato per l'anno scolastico 1972-1973 era: «ti compro il motorino se non vieni rimandato». Ma quell'anno, al "Ginnasio", venni rimandato e mi rassegnai silente, perché avevo sbagliato e mi toccava pagare, anche se il motorino significava un balzo in avanti nella conquista della mia libertà. Agevolato, per altro, dal fatto che a mio fratello, alla mia stessa età, il motorino era stato negato, ma avendogli comprato la "125" a sedici anni, la strada per me secondogenito era spianata. Ma mi ero fatto rimandare...
Ricordo che, dopo un bel pranzo in osteria con i compagni di classe, tornai a casa nel pomeriggio e - abbagliato e stranito - vidi di fronte a casa un motorino rosso nuovo di trinca. Era un "Beta 50", che avevo studiato sulle riviste di moto, comprato dall'officina "Deval" ad Arnad (uno era quel Luciano, che oggi mi spara a tutto spiano sui "social media"). Se non morii d'infarto dalla gioia, poco ci mancò e mio papà mi catechizzò e la lezione, cioè come l'amore di un genitore può servirti nella severità ma anche nella generosità, mi è servita tante volte.
Chissà che fine ha fatto quel motorino, che fu poi un pochino modificato per renderlo più "grintoso". So che era, ancora alcuni anni fa, usato in una casa di campagna vicino al lago di Viverone, ma penso che sia ormai nel Paradiso delle moto...
Torno a bomba su Parigi e l'"uscita" con i due adolescenti, con cui condividerò una "tre giorni" faticosa, perché a quell'età sono piuttosto "puntuti". Spero di essere riuscito a trasferir loro la curiosità della conoscenza, che passa anche con un ragionevole desiderio di conoscere il mondo.
Ho degli amici - e ho anche avuto dei colleghi politici - che fanno del fatto di restare sempre in Valle d'Aosta un motivo d'orgoglio. Per carità, ognuno è libero di fare le cose che preferisce.
Mi piace, per contro, pensare che il viaggio ci apra la mente e possa essere sempre scoperta e stupore, come scriveva quattrocento anni fa quella straordinaria personalità che fu Michel de Montaigne: «Je réponds ordinairement à ceux qui me demandent raison de mes voyages: que je sais bien ce que je fuis, mais non pas ce que je cherche».

Non ci sono "omissis"

Il procuratore capo di Aosta, Marilinda MinecciaDell'inchiesta della Magistratura aostana sul parcheggio pluripiano, che ha coinvolto - ed è il punto più delicato - il presidente della Regione Augusto Rollandin, si hanno solo il comunicato ufficiale della Procura e gli atti sinora conosciuti a mezzo stampa e le tesi difensive immediate dello stesso Presidente, espresse con diverse modalità.
Confesso di avere avuto una qualche difficoltà a scriverne, perché "a caldo" bisogna sempre essere cauti e l'ho imparato quando mi sono dovuto occupare, in un lontano passato, di vicende giudiziarie come cronista. Ma non vorrei neppure che la cautela potesse essere considerata come omissione e gli "omissis" non mi sono mai piaciuti. Così come non mi appartengono forme di timore reverenziale.
Non spetta a me giudicare gli aspetti giudiziari, innescati dalla chiusura delle indagini: perché ci sono procedure precise che consentono alle parti un confronto che garantisce tutti. Tuttavia, pensare che si tratti solo di quisquilie interpretative delle leggi, di errori dei sistemi informatici o cose di questo genere rischia di allontanare dalle questioni politiche.
Questa inchiesta affonda le sue radici in una vicenda processuale da cui si desume una grave infiltrazione della 'ndrangheta in Valle d'Aosta, su cui si tende a minimizzare. Questa inchiesta dimostra, comunque vada, i limiti di una gestione di potere verticistica e solitaria. Questa inchiesta dimostra come le società di scopo si prestino con facilità ai rischi di traffici di vario genere. Questa inchiesta è un caso esemplare di come certa politica decisionista, al dunque, metta in mezzo "gli uffici".
La nuova Legislatura nasce dunque in un clima difficile per la Valle e fare finta di niente sarebbe sbagliato. Lo dico per questa storia, come per altri dossier delicati su cui i conti non tornano. Non si tratta di essere aggressivi o di strumentalizzare gli eventi. Ma neppure di essere ipocriti, utilizzando il termine "fiducia" come il prezzemolo, sia verso la Giustizia sia verso chi viene sospettato. Rischia di essere null'altro che il famoso "un colpo al cerchio ed uno alla botte".

Il cambiamento climatico incombe

Gli orsi polari di Seguo da fuori gli avvenimenti meteo in Valle sul Web e attraverso degli amici. Si ripetono le ormai periodiche preoccupazioni per l'ennesima pioggia torrenziale, mista allo zero termico ad alta quota, con scioglimento della neve ancora presente sulle cime. Il caso vuole sia stato nelle stesse ore alla "Géode" a Parigi, alla "Città della Scienza", per vedere un film sugli orsi polari ("Arctique" dell'americano Greg MacGillivray) con quella straordinaria tecnologia (formato "Imax") che consente una visione panoramica senza uguali delle immagini. Tutto il mondo artico rischia grosso - come raccontano gli eschimesi che ne sono testimoni e gli scienziati che se ne occupano a vario titolo - proprio per le conseguenze dello scioglimento dei ghiacci, che rischiano di sparire del tutto entro il 2050.
Negli stessi anni in Valle dovrebbero essere scomparsi tutti i ghiacciai, tipo Pirenei, mentre i cambiamenti che innescano il fenomeno di riscaldamento globale picchieranno duro sul nostro territorio e sulla nostra vita di abitanti.
Capisco quanto sono noioso e ripetitivo con questa storia, ma trovo che nulla dev'essere lasciato al caso anche in realtà piccole come la nostra, concorrenti in scala del disastro planetario. Per questo dobbiamo sforzarci nel nostro piccolo e avere in testa misure coordinate e coerenti, che oggi vedo contraddette - penso all'uso in incremento dei combustibili fossili come il metano o alla mancata azione di risparmio energetico negli edifici pubblici - da politiche lente e contraddittorie.
Esiste anche in questo campo una grave incoerenza fra le affermazioni programmatiche e le passerelle convegnistiche e la realtà. Questo è diventato un atteggiamento insopportabile: una logica di approssimazione e di business che sembra come una cappa che grava in modo generalizzato su tenti temi, cui si affianca invece un'azione schizofrenica che tende a dimostrare attività mirabolanti in settori, invece, negletti.
Ma il clima in mutamento pesa come un macigno e sulle Alpi, più che altrove, fa paura e cambia abitudini e certezze, oltreché inciderà sull'economia, sulla flora e fauna e pure sulla nostra salute. Insomma: occupiamoci di più di questo tema, senza farne una religione integralista, ma sapendo che una comunità può decidere di condividere una strategia, che poi avanza con le gambe di ciascuno di noi.

Grande Vespa!

La mia mitica 'Vespa'Mi capita spesso di misurare, nella vita quotidiana, come quante cose cambino nel corso della nostra esistenza: siamo generazioni che vivono sempre di corsa a causa di mutamenti così repentini e onnicomprensivi, che tocca sempre essere all'inseguimento e non bisogna distrarsi nelle cose grandi, come nelle cose piccole e oggi - visto che sono giorni che sono un po' troppo serio - consentitemi di annotarne una minuscola e autobiografica.
Come diavolo è possibile - mi chiedo - che la mia generazione guidasse serenamente la moto senza casco? Ricordo che l'obbligo fu sancito per legge solo nel 1986 ed era previsto per conducenti e passeggeri di moto e scooter sopra i 50 centimetri cubici. Nel caso dei cosiddetti motorini l'obbligo era limitato solo ai minorenni, ma poi dal febbraio del 2000 anche quelli al di sopra dei diciotto anni dovettero dotarsi di casco. Quando io ero ragazzo - pensa che fessi eravamo - consideravamo i rarissimi che indossavano il casco, per moto di piccola cilindrata come le nostre, degli autentici sfigati.
Ci penso ora che, piuttosto raramente, salgo sulla "Vespa Primavera 125", ormai usucapita da mio figlio Laurent, ovviamente mettendomi il casco in testa, vezzosamente griffato Vespa. Si tratta della mia Vespa del 1975, rimessa a nuovo e meno taroccata di quanto fosse quella di allora tra sellino e marmitta.
Quando ero ragazzo, appunto senza casco, mentre andavo, alla fine della scuola, a prendere la morosa dell'epoca - lungo una strada da Ivrea verso il lago Sirio - la gomma davanti finì in in un buco e capitombolai sino ad un guardrail, ancora oggi una maledizione per chi va in moto per la sua pericolosità. Finì tutto con gran botte e un certo rimbambimento e ricovero all'ospedale di Ivrea, dove - casi della vita - i miei genitori erano lì per una visita e li avvisarono dal "Pronto Soccorso" del figlio ricoverato. Si pensò chissà quale lesione, perché reagivo stranamente nel corso della visita, ma per fortuna - me hanno raccontato perché io ho un vuoto totale degli avvenimenti - dovevo solo fare la pipì!
Probabilmente con il casco non mi sarei fatto niente.
Oggi quando faccio qualche giretto sono prudentissimo e penso a chissà quale Santo ci proteggesse, quando - specie salendo in montagna - facevano i tornanti al pelo e qualcuno toccava leggermente la scocca della Vespa per fare delle lievi scintille. "Zingarate" da stupidi.

Sulla 'ndrangheta in Valle

Cesare Lenti, tenente colonnello dei Carabinieri di Aosta mentre mostra uno degli incendiEssere vigilanti vuol dire, con senso della misura, avere paura. Quest'ultima vicenda di 'ndrangheta, che investe la Valle d'Aosta - in un misto fra delinquenza, ignoranza e stupidità - colpisce. Così come toccano nel vivo le parole serie e pacate degli ufficiali al vertice dei Carabinieri in Valle, che hanno denunciato i pericoli incombenti da non sottostimare.
Chi - singoli e peggio ancora "famiglie" - ha trasferito in Valle d'Aosta tratti caratteristici della cultura mafiosa, in un asse con la Calabria che inquieta, va colpito senza pietà. Non sono accettabili connivenze o mollezze di nessun genere, pure quando riguardano piccole faide che investono immigrati più o meno recenti, che si allargano poi a macchia d'olio nei gangli della società ospitante, piegandola a metodi, usi e costumi che corrompono e possono diventare come un incendio scaturito da poche scintille.
L'asse con la politica non è una variante ma una componente. Ricordo quando mi ritrovai, giovane deputato, a Bova Marina per un convegno sulla minoranza linguistica grecanica: per me, che la connection mafia-politica l'avevo letta sui libri o visto nei film, fu stupefacente quella full immersion con parecchi giovani e fu molto istruttiva. Capii come quel cancro mafie-politica fosse così radicato e diffuso, come poi capii poi e ancor meglio negli anni in Parlamento, parlando con colleghi del Sud "puliti" e anche con parlamentari collusi in tutta evidenza. Con la sgradevole sensazione che chi era sporco minimizzava oppure, peggio ancora, esprimeva un sospetto zelo antimafia, che serviva come "copertura".
Anche da noi c'è chi gioca con il fuoco, facendo discorsi forti, ma poi vantando frequentazioni e legami imbarazzanti, specie in chiave elettorale. Chi ha letto in passato, come mi è capitato di fare in nelle mie funzioni istituzionali, delle note sul tema, constata come le cose siano peggiorate. Per questo - oltre al ruolo di contrasto della magistratura e delle Forze dell'ordine - sono necessari: la discussione in politica, la trasparenza amministrativa, il senso morale e quello del dovere, sapendo che idee e valori sono nel patrimonio storico e culturale della Valle d'Aosta e non c'è bisogno - nel rispetto di ogni insegnamento utile - di scopiazzare troppo regole cui ci si debba attenere.
Bisogna, senza drammatizzazioni inutili ma in modo rigoroso, che funzionino tutti gli anticorpi contro una vera e propria malattia infettiva.

La montagna e i suoi pericoli

Il monte Zebru'Il tema doveva essere "Montagna, nome femminile di luogo", ma lo scrittore Erri De Luca a Valsavarenche - che ho intervistato, se così si può dire, perché il soggetto è difficile - si è espresso anche sull'attualità che domina i giornali di oggi.
Mi riferisco ai sei alpinisti, divisi in due cordate da tre, morti ieri - per sfortunata combinazione - sulla stessa montagna, il Gran Zebrù, in tedesco Königsspitze, che significa "Cima del Re", che segna il confine regionale fra Alto Adige-SüdTirol e la Lombardia.
Il commento di De Luca non ha avuto nulla di tecnico, ma ha segnalato come andare in montagna sia un piacere e un divertimento, con molti rischi connessi, e che il vero dramma - lo ha detto con quella sua conversazione asciutta che non è fatta per piacere - sono gli incidenti sul lavoro, parola di uno che ha fatto l'operaio edile prima di diventare scrittore.
Può suonare sgradevole o no, ma è la cruda verità: nessuno ti obbliga a raggiungere le alte cime. Se ci vai è una sfida con te stesso, con le tue capacità e con l'imponderabile, che in montagna può essere un sasso che ti casca in testa, un seracco che si stacca e ti massacra, due notti all'addiaccio e muori congelato e via di questo passo, compreso l'errore fatale di un compagno di cordata. Ha ragione De Luca, alpinista per i casi della vita, perché il papà fu un napoletano incorporato negli Alpino in guerra in Albania (e ricordava il "Montagnes Valdôtaines" dei nostri), quando dice che nessuno in montagna - professionista o amatore che sia - è risparmiato dai possibili pericoli.
Ora ai rischi si aggiunge un nuovo rischio, in qualche zona dell'Himalaya, come emerge la notizia di ieri da Islamabad: "In Pakistan è stato rivendicato nelle scorse ore il tragico e incomprensibile attacco terroristico sulle montagne del Pakistan nel quale stanotte almeno nove alpinisti, con la loro guida pakistana, sono rimasti uccisi al campo base del Nanga Parbat, nella zona di Fairy Meadows sul versante Diamir. A rivendicarlo sono stati sia i Talebani che un gruppo minore di militanti estremisti chiamato Jundullah".
Notizia grave, che cambierà in profondità - lo abbiamo commentato con De Luca - il costosissimo turismo alpinistico, per i diritti esosi chiesti dai diversi Paesi di quella catena montuosa,che separa India, Pakistan, Nepal e Bhutan dalla Cina, per ottenere i permessi. Da oggi i Talebani hanno trovato un modo nuovo per spargere sangue e paura.

Su Berlusconi

Silvio BerlusconiTroppo spesso mi capita di avere una qual certa repulsione verso la trattazione della "politique politicienne". Espressione in francese, che è così riassumibile in senso peggiorativo: "Attitude des hommes politiques consistant à se préoccuper des questions de pouvoir entre politiciens et partis politiques davantage que de la politique au sens étymologique du terme, c'est-à-dire des affaires de la cité".
Vorrei poter scrivere che, in questo senso e in fondo, di Silvio Berlusconi e delle sue vicende passate e presenti non me frega niente, che poi penso che - specularmente - sia il suo sentimento verso la Valle d'Aosta. Mai, come politico, è venuto da noi, neppure l'ultima volta, quando ha ripiegato su di una telefonata, quando tutti i simpatizzanti locali erano già emozionati per il suo arrivo. Ma non era poi venuto, spiegando che dopo un comizio a Brescia non voleva prestarsi a proteste strumentali di piazza. A me, che sono malizioso, resta l'idea che non volesse compartecipare alla débâcle del Popolo della Libertà locale.
Ora è stato abbattuto da una sentenza della Corte Costituzionale, che gli ha negato un legittimo impedimento e poi - micidiale botta - la sentenza di ieri su Ruby e dintorni con una decisione di primo grado con condanna di ben sette anni per entrambi i reati contestati, concussione per costrizione e prostituzione minorile e con un'interdizione perpetua dai pubblici uffici. E' vero che ci saranno due gradi ulteriori, ma intanto la "figura di merda" (scusate l'espressione, ma ci sta), è stata fatta in mondovisione e tra breve su questi schermi ci sarà la probabile condanna in Cassazione per il processo "Mediaset" con immediata interdizione dai pubblici uffici. Amen, insomma.
Anche se con il Cavaliere mai dire mai: ha una tempra di combattente, che non è solo un tratto caratteriale, ma una ragione di sopravvivenza del suo "impero" economico. Brutta storia il rapporto fra affari e politica, quando gli interessi personali finiscono per intrecciarsi con la cosa pubblica e i confini diventano incerti ed ogni atto politico o amministrativo alimenta dubbi.

Telefonini in aereo

L'indicazione che chiede di spegnere tutti i dispositivi elettroniciHo spesso ricordato che mai nessuna generazione ha vissuto dei cambiamenti tecnologici come è capitato a noi generazione del secondo dopoguerra. Nel corso di una vita, abbiamo assistito a tante di quelle invenzioni da esserne stupefatti e anche un po' sbalestrati di fronte all'impossibilità di affezionarsi a qualcosa, perché arriva qualche cosa di nuovo ad occupare quello stesso spazio. Le abitudini che una volta duravano lunghissimo tempo, oggi fanno la fine della capocchia del vecchio cerino.
Così pare che tra breve l'unica zona franca senza Internet sarà violata dalla tecnologia. Mi riferisco agli aerei e a collegamenti wi-fi che romperanno il silenzio tecnologico che oggi incombe sui voli lunghi o corti che siano. Non mi stupisco che questo avvenga e penso che non sia neanche così complicato, visto che su certe tratte medio-lunghe già esistevano telefoni satellitari a pagamento, che consentivano di chiamare in tutto il mondo. Per altro, visto che le compagnie aeree e quelle low cost, sono ormai voraci fornitrici di servizi a pagamento, sono certo che garantire in qualche modo il segnale sarà pure una scelta redditizia.
Gli aerei sono pieni di tecnologie sofisticate e le poche volte che mi e capitato di volare nelle cabine di pilotaggio ho verificato di persona, pur non avendo competenze specifiche, quanto i piloti possano godere di aiuti assai sofisticati durante la navigazione. Per questo trovo ancora più ridicola l'ammonizione persistente del divieto di uso di telefoni cellulari sugli aerei, specie - con divieto draconiano di uso pur staccati dalla rete telefonica voce e dati - in fase di decollo e atterraggio. Se ho ben capito, i segnali radio potrebbero interferire con i sistemi elettronici dei velivolo con la possibilità di gravi incidenti conseguenti.
Ora, a parte il fatto che posso testimoniare che per dimenticanza o incapacità, di telefoni accesi in queste fasi ci sono sempre, in barba ai divieti e spesso squillano quando meno dovrebbero, resta la circostanza che se il pericolo fosse davvero così grave sarebbe un obbligo delle compagnie aeree prevedere o un sistema che verifichi l'avvenuto spegnimento o un metodo di schermatura che crei la mancata ricezione del segnale o infine l'apparecchio dovrebbe essere dotato di sistemi di sicurezza che impediscano le interferenze dovute ai telefoni eventualmente rimasti accesi sugli apparati di bordo.
Sarà banale, ma colpisce che sia più facile applicare il divieto fasullo.

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