April 2013

Come compiacere l'elettore

Un leoncino da proteggereCapisco che trattandosi oggi del 1° aprile - giorno di apertura della pesca per i pesci d'aprile - potrebbe esserci qualche dubbio sulla veridicità dei fatti. Ma ho controllato: il "Cvv - Comitato Valle d'Aosta Vivace" esiste veramente, così come il concorso a premi che ha lanciato in vista delle prossime elezioni regionali.
Si tratta di individuare argomenti o proposte che possano piacere il più possibile agli elettori valdostani. Immaginifico il titolo che ricorda un Mogol-Battisti d'annata «Senza limiti e confini».
Avevo pensato a qualcosa del genere «buoni di benzina per tutti» con una "Carte Vallée gold" o "platinum" per i residenti valdostani, che comprendesse anche manicure, pedicure e massaggi thailandesi presso i distributori di benzina, ma temo che qualcuno ci avesse già pensato.
Mi era poi venuta in mente l’operazione «fibra ottica per tutti e tablet gratis» per consentire al popolo valdostano una connessione illimitata e un utilizzo onnicomprensivo di Internet con collegamento al mattino per un saluto personalizzato con il bar "Villettaz" o, a scelta, con il secondo piano di piazza Deffeyes. Anche questo pare che sia in progettazione. Mi era poi venuta in mente l'operazione "La Cina è vicina", con la sponsorizzazione di "Cva", che poteva andare dall'acquisto di qualunque macchinario "Made in China", dal tosaerba al motorino, dall'involtino primavera al soggiorno studio a Pechino, ma pare che anche su questo terreno il lavoro sia già avanzato e dunque, niente da fare.
Spremendo il poco di meningi che mi rimane, esistono ancora alcuni spazi assai limitati che possono essere riempiti. Provo ad elencare e trascriverò le idee in apposito modulo che invierò al "Cvv" con raccomandata con ricevuta di ritorno.
Il primo è elementare: per aumentare lo spirito identitario dei valdostani potrebbe essere varata l'operazione "Salva il leoncino" con l'adozione di un piccolo felino per ciascuna famiglia valdostana da tenere in giardino o in cantina sino ad età adulta. "Projet Formation" ha previsto anche corsi di formazione, organizzati in collaborazione con Ugo Maria Togni, domatore di leoni della celebre famiglia. Niente male, per incrementare la vendita della "Fontina", è l'altra idea: l'applicazione pratica dello studio già compiuto "Quattro Fontine come antineve", che deriva dalla scoperta di un noto esperto in formaggi - candidato alle elezioni regionali - che ha dimostrato che, montando un treno di "Fontine" al posto delle gomme termiche, la vostra vettura avanza senza alcun pericolo su strade innevate o ghiacciate.
Alternativa alla distribuzione dei già citati tablet è l'operazione "Bimby per tutti": ogni casalinga valdostana o ogni single (per evitare discriminazioni di genere) verrà dotato del celebre elettrodomestico che cucina da solo con l'unica, lieve imposizione dell'uso di prodotti a soli chilometri zero, che restringe purtroppo le scelte per il menu e favorisce nei mesi freddi il rispetto della Quaresima.
Caratteristica di tutte le proposte: sono destinate letteralmente a scomparire il giorno dopo le elezioni regionali, il 27 maggio o il 10 giugno, in caso di ballottaggio.

Il re degli animali e dell'araldica

Io insieme ad Alessia Favre, Laurent Viérin ed Andrea Rosset durante la conferenza stampa nella quale abbiamo dato la notiziaQualunque sarà l'esito nelle prossime ore della causa davanti al Tribunale delle Imprese di Torino, competente in materia di marchi, la guerra dichiarata dal leone dell'Union Valdôtaine contro il leone dell'Union Valdôtaine Progressiste - ma, attenzione, anche contro la dizione del neonato movimento - appare ridicola, perché non si fa politica con le carte bollate.
Aggiungo alcune ragioni. Anzitutto sul tema - simbolo politico e denominazione - si è pronunciato già due volte, su richiesta sempre dell'UV, l'Ufficio elettorale regionale, composto da tre magistrati del Tribunale di Aosta. La prima volta nel 1973, in occasione delle elezioni regionali con l'allora UVP e la seconda volta, poche settimane fa, per le elezioni politiche contro il rinato movimento. Esemplare la conclusione dei magistrati in quest'ultima pronuncia, che - con un esame dettagliato - respinge l'idea che un elettore possa confondersi, vista la differenza fra i leoni e considerato il fatto che l'aggettivo "progressiste" consente una chiara distinzione fra le due Union.
Aggiungerei che il nuovo ricorso a Torino, che tenta con un'altra giurisdizione di ottenere quanto già respinto dal giudice naturale ad Aosta, suona come offensivo per gli elettori. Mi riferisco alla tesi, proposta dall'UV, secondo la quale buona parte di quelli che hanno scelto l'UVP, in occasione delle politiche, si sarebbero confusi, sbagliandosi per la somiglianza del simbolo con quello unionista e la stessa cosa, adombra l'UV, capiterebbe con le prossime regionali. Tesi incredibile, che in sostanza considera i cittadini-elettori facili da gabbare e poco intelligenti.
Vi è poi una considerazione, se volete, più simpatica e non giuridica. Si tratta della storia del leone nella simbologia medioevale. Consiglio due libri di del famoso storico Michel Pastoureau: uno, pubblicato con "Einaudi", è "Medioevo simbolico", l'altro, per l'editore "Laterza", si intitola "Bestiari del Medioevo". Chi li leggerà si farà le idee chiare sull'infondatezza delle tesi di chi rivendichi un uso esclusivo del leone.
Pastoureau ricorda che «il leone è la figura più frequente nelle arme medievali». Si parla del quindici per cento e il secondo animale è l'aquila, che non arriva al tre per cento. Spiega l'autore: «Da dove vengono questi leoni pre- e proto-araldici? Più che una influenza delle crociate e a un prestito franco ai danni delle insegne e degli usi emblematici bizantini e musulmani, credo a un ruolo svolto dai tessuti e dagli oggetti d'arte, importati con regolarità dal Vicino e Medio Oriente e sui quali i leoni sono rappresentati di frequente, talvolta in atteggiamenti già quasi araldici».
Tanti leoni, trasferiti in una miriade infinita di marchi, ridicolizzano chi volesse un'esclusiva.

Bande salvagge

Il 'Gollum' del 'Signore degli Anelli', il 'rosicone' per antonomasiaSono molto divertito, essendo costretto a letto da una sorta di "colpo della strega" e "navigare" è una delle poche consolazioni, da questa "nouvelle vague" - ormai fattasi epidemia con l'avvicinarsi delle elezioni regionali - che investe una parte della politica valdostana.
Mi riferisco all'uso sistematico dell'insulto verso chi venga considerato un avversario politico attraverso quegli strumenti, ormai neppure tanto nuovi, che sono i "social media". Su questo terreno, più agevole anche per chi non è molto alfabetizzato e spesso lo si vede, non c'è bisogno di essere giornalista, esponente politico o cittadino interessato alla potenzialità partecipativa di certi media. Se c'è da tirare un cazzotto o vomitare qualcosa in molti, diversamente intelligenti, si sentono in grado di farlo e più è considerato di rango l'avversario che si incontra in Rete e più cresce il desiderio, che spesso gronda di frustrazioni, di "fargliela pagare", come se essere realmente presente su certi strumenti di comunicazione fosse una colpa e non un gesto di democrazia. Dunque non si usa nessun garbo e nessuna educazione, anzi più si è rozzi e maleducati e più ci si sente forti in certi confronti a distanza.
In genere questo avviene con la copertura di un nomignolo che assicura l'anonimato, ma non mancano anche quelli che fanno gli smargiassi a viso aperto, convinti che l'uso dell'ingiuria consentirà loro di guadagnare chissà quale medaglia. Sono dei pavoni dell'improperio.
E' un modo stupido e sbagliato di comportarsi, anche se chi lo fa pensa di essere abile e furbo e si fa certo più forte se fa parte di qualche gruppo a tavolino per triturare il "nemico". A parte che ci vorrebbe un pochino di cautela, perché oltre un certo livello si rischia di finire davanti a un giudice, quel che colpisce è la pochezza degli argomenti e l'utilizzo di modalità che sono più adatte a tifoserie calcistiche che alla politica.
Penso, tuttavia, che a questi ignoti o scarsamente noti si debba essere riconoscenti per la semplice ragione che certi atteggiamenti danneggiano gravemente la parte politica che li utilizza. Dunque, se finite nel mirino di certe "bande selvagge", accantonato il prurito alle mani, dovete lasciar fare e anzi bearvi di certe logiche e porgere graziosamente l'altra guancia.
Il tempo vi darà ragione, come ricordato con secchezza da Arthur Schopenhauer: «La malvagità, si dice, la si sconta nell'altro mondo; ma la stupidità in questo».

L'honnêteté coûte des soins

Lana vergine certificataMi ha scritto, giorni fa, un anonimo su "Twitter" un messaggio più o meno di questo tenore: «è inutile che cerchi di rifarti una verginità».
Immagino che dovesse trattarsi di un terribile insulto e invece - mi spiace per l'autore del tweet anonimo - se considero questa sua presunta provocazione utile per parlare di me e di come mi inserisca nel progetto politico dell'Union Valdôtaine Progressiste.
La premessa è una frase dell'economista Luigi Zingales: «Non c'è persona più fedele del buono a nulla, perché non ha alternative». L'ha usata per spiegare la "peggiocrazia", vale a dire perché i partiti, che una volta cercavano i migliori, ora cerchino molto spesso i peggiori. L'UVP dovrà sempre fare il contrario.
Chi ragiona con la propria testa, infatti, non accetta logiche fideistiche con un'adesione incondizionata e acritica, costi quel che costi. La fedeltà si incrina quando ci si accorge che le cose non vanno e lo dico con mestizia. Nel mio caso, a minare la mia precedente esperienza, è stata la trasformazione irreversibile dell'Union Valdôtaine in un partito personalista. A nulla vale mascherare la realtà con regole statutarie o, come di recente, con un simulacro di "primarie" per dimostrare che la democrazia c'è. La realtà è l'esatto contrario, non dico del federalismo ma della democrazia basica. Capisco e rispetto chi ama avere un capo unico e infallibile che decida per lui, che è stata - sia chiaro - una deriva generale nel sistema dei partiti in Italia e non solo. A me il sistema non piace, perché il "culto della personalità" non mi appartiene.
Ammoniva, un secolo fa, lo studioso dei partiti Roberto Michels, poi diventato fascista, con un linguaggio che oggi suona come desueto: «Nelle masse vi è un profondo impulso a venerare chi sta in alto. Nel loro primitivo idealismo, esse hanno bisogno di divinità terrestri».
Vergine non sono vergine e chissà se l'anonimo che scrive lo è, visto che offre lezioni gratuite. Ma credo che il termine giusto da usare sia un altro, che per me sta diventando il grande discrimine nella valutazione del mondo, vale a dire "onestà", parola che viene da "onore". Ed onore ha una duplice lettura: integrità rispetto a principi morali e buon nome che significa dignità personale.
Nessun moralismo e nessuna autoassoluzione: voglio solo dire che la politica non è una zona franca dove certe questioni non siano importanti. Per cui non rivendico verginità, ma l'onestà sì.
Charles Perrault la raccomandava nelle sue fiabe:
«L'honnêteté coûte des soins, Et veut un peu de complaisance, Mais tôt ou tard elle a sa récompense, Et souvent dans le temps qu'on y pense le moins».
Sul tema non tornerò più.

Libri a Champoluc

La copertina del libro di Antonio ManziniEra dai tempi del grande romanziere d'avventura, l'americano Robert Ludlum, con il libro "Il treno di Salonicco (The Gemini Contenders)", uscito nel 1976, che non trovavo più una storia "gialla" ambientata - in quel caso in parte - a Champoluc. Confesso che non so dove sia finito quel libro, che mi aveva segnalato proprio il libraio di allora di Champoluc, il rimpianto Pino Crespi, che da notaio - per i casi della vita - si trovò proprietario di una libreria per tornare ad essere, sul limitare della vita, di nuovo notaio.
Il libro era una complicata e avventurosa storia, che a un certo punto, in un giro del mondo all'inseguimento di un documento che avrebbe cambiato la storia, approdava sulle Alpi e l'autore aveva immaginato - penso solo guardando la cartina in quelle ricerche che si fanno per scrivere un libro del genere - l'esistenza di un trenino fra la Val d'Ayas e Zermatt. Realizzazione che teoricamente si sarebbe potuta fare davvero e ricordo uno studio attorno al futuro del Monte Rosa di tanti anni fa in cui l'idea era pure stata abbozzata.
Questa volta Champoluc ospita, invece, un romanzo giallo all'italiana, "Pista nera" di Antonio Manzini, edito da "Sellerio".
«Rocco Schiavone era stato assegnato ad Aosta da settembre, dal commissariato Cristoforo Colombo di Roma. E dopo quattro mesi tutto quello che conosceva del territorio di Aosta e provincia era casa sua, la Questura, la Procura e l'Osteria degli artisti».
Questa è la sintetica descrizione dell'arrivo in Valle del personaggio principale del libro, chiamato a risolvere un delitto avvenuto sulle piste di sci, a due passi dal villaggio del Crest.
Ecco la biografia dell'autore, nato a Roma nel 1964: "attore e sceneggiatore, romano (allievo di Andrea Camilleri all'Accademia Nazionale d'Arte Drammatica), ha esordito nella narrativa con il racconto scritto in collaborazione con Niccolò Ammaniti per l'antologia "Crimini". Del 2005 il suo primo romanzo, "Sangue marcio" ("Fazi"). Con "Einaudi Stile libero" ha pubblicato "La giostra dei criceti" (2007). Un suo racconto è uscito nell'antologia "Capodanno in giallo" ("Sellerio" 2012). Del 2013, sempre per "Sellerio", ha pubblicato il romanzo giallo "Pista Nera", con protagonista il vicequestore Rocco Schiavone".
La trama del giallo è divertente e si ritrova, con qualche evidente ingenuità e cliché, il nostro ambiente di montagna come sfondo al dipanarsi della storia e alcune descrizioni, per chi conosca bene la zona, risultano azzeccate. Naturalmente in un crescendo di tensione, come da poliziesco che si rispetti, ma con la giusta dose di ironia (che all'arguto Questore di Aosta, Maurizio Celia, non dispiacerà affatto) e qualche paradosso, alla fine si scopriranno gli assassini e le ragioni del delitto.
Al vecchio Pino sarebbe piaciuto e lo avrebbe consigliato ai suoi amici-clienti.

Una battaglia per la speranza

Gianluca Nicoletti ed il figlio TommasoSeguo da molti anni, apprezzandone l'arguzia e lo spirito caustico, il giornalista e scrittore Gianluca Nicoletti, cui si deve in particolare una capacità anticipatrice dell'attuale logica multimediale, espressa in noti programmi radiofonici da una trentina d'anni. Il suo essere fuori dal coro ha sempre dimostrato quel che conta per un giornalista: carattere e originalità e, se esiste ed è il caso, anche uno spirito anticonformista senza compiacimenti.
Ho letto in queste ore il libro "Una notte ho segnato che parlavi", uscito poco tempo fa per "Mondadori", e dedicato ad un'esperienza personale, quella di avere un figlio autistico, Tommaso, di quattordici anni. E' un racconto senza fronzoli di una storia che sta diventando comune, visto che ad un bimbo su cento oggi viene riscontrata - forse per un miglioramento della diagnostica - una forma più o meno grave di autismo. Io ho in mente qualche caso che conosco in Valle e ho letto alcuni altri libri sul tema e capisco come per dei genitori questa malattia, dai tratti ancora piuttosto misteriosi, irrompa con violenza nella quotidianità e anche nella preoccupazione per il futuro per creature che, nella maggior parte dei casi, non sono autosufficienti con il problema grave del "dopo di noi".
Consiglio la lettura del libro, dove si parla delle cose con concretezza e con molto amore, e questo svela anche il vero volto di un Nicoletti che al microfono gioca spesso sul suo cinismo personale, mentre qui afferra le questioni con forza, senza rinunciare alla sua ironia e talvolta al sarcasmo.
Lo ha fatto, in questo caso, non solo scrivendo un libro, ma con un una proposta finale che appare come una sorta di utopia nella slabbrata e agonizzante società italiana, in cui tutto sembra giocare verso un taglio ai servizi per tutti quelli che sono in difficoltà. Nicoletti adombra il rischio di un'eugenetica di tutti i giorni, fatta di sciatteria e di disinteresse del settore pubblico verso problemi seri come l'autismo su cui in più si aggirano, come avvoltoi, leggende metropolitane e molti profittatori. Chi si trova a vivere questa situazione, la famiglia con la persona malata, finisce per essere - per usare un'espressione del libro - tutta avvolta nello stesso bozzolo di dolore, di paure e spesso di solitudine.
Ma Nicoletti non demorde e rilancia con il libro e con il sito miofiglioautistico.it: «vorremmo creare un centro pilota dove sia possibile progettare e realizzare un'esistenza felice e dignitosa a persone "speciali", che dall'adolescenza in poi diventano un problema che grava quasi unicamente sulle spalle delle loro famiglie. Restituire alla società l'efficienza e la serenità di intere famiglie che spesso sono distrutte dall'eccessivo onere della gestione di un figlio con handicap. "Inventare" un habitat stimolante, gioioso e in sicurezza dove sia possibile svolgere attività formative e terapeutiche mirate al benessere e alla massima possibilità di espressione delle abilità dei ragazzi".
Raro caso italiano in cui, come vedrete nel sito e nel percorso proposto, non ci si limita a raccontare e a denunciare, ma appare nitida una proposta che si staglia nel quadro difficile, fatto da quell'impasto di gioia e dolore per un "figlio diverso", di cui tuttavia si spiano le potenzialità in un mondo fatto a sua misura. Nicoletti descrive quest'idea in modo impareggiabile.
In fondo, nient'altro che una speranza da realizzare, perché un'umanità senza solidarietà sarebbe uno schifo.

Ricordando Enzo Jannacci

Io penso che Enzo Jannacci sia stato un simbolo per tutti quelli della mia generazione. In un'Italia passata dal bel canto alla canzonetta era un cantautore (anche se sapeva essere interprete) - e questo era già una novità - ma soprattutto era un essere stralunato e fuori dalle righe, che tra l'altro pareva dalla lettura dei settimanali dell'epoca (a casa mia, oltre a "L'Espresso", c'erano i popolari "Gente" ed "Oggi") che fosse un tipo schizofrenico: medico nella vita e cantante-musicista nella vita parallela.
Poi, in un'epoca in cui la mia compagnia della montagna era piena di milanesi, lui era un milanese che sdoganava il dialetto meneghino contro lo strapotere di una canzone napoletana e romana che invadeva tutto e costringeva a una resistenza contro certi stereotipi sudisti che a chi vive al Nord vanno stretti e non per ragioni politiche ma culturali.
Infine era un campione di una canzone "di sinistra", ma che non era né ideologica, né inascoltabile, né pallosa, anzi divertente, ironica e talvolta pensosa e malinconica.
In fondo quello Iannacci era arruffato, talvolta biascicante, "sballato" e direi con una musicalità che definirei - privo come sono di competenze musicale - disarmonica ma gradevolissima nel suo essere "borderline" rispetto ai rischi di stonatura.
Ma quel che contava era il suo desiderio di essere controcorrente, non convenzionale, fuori da quel desiderio di piacere, ma interprete - come un funambolo in equilibrio sul filo - di "nonsense", di giochi di parole per sprofondare infine nell'abisso di un mondo di persone dolenti.

L'autonomista camaleonte

Randall, il geco 'invisibile' di 'Monsters & co.'Le mode, anche in politica, vanno e vengono. Pensate agli ultimi vent'anni, senza andare troppo distante, e a quante "parole d'ordine" si siano succedute e a come molte di queste abbiano finito per infrangersi, come le onde sul bagnasciuga, sino ai confini della Valle d'Aosta, penetrando - com'è ovvio che sia - nel dibattito politico locale. Questo è avvenuto anche con il frenetico avvicendarsi di formazioni politiche, nel periodo post "Tangentopoli", quando la partitocrazia italiana è andata in fibrillazione e da allora lo scenario è spesso mutato con rapidità. Alla sostanziale stabilità, durata un po' meno di mezzo secolo nella storia repubblicana, si è succeduto un "movimentismo liquido".
Oggi gli slogan sono facilmente riassumibili: "costi della politica", "rottamazione", "no grandi opere", "legalità" e "diminuzione delle tasse". Li cito alla rinfusa e ognuno potrebbe aggiungerne qualcuno. Sono il segnale, come le bandiere sui pennoni, dell'epoca che viviamo.
Trovo che sia naturale che ciò avvenga e che ognuno segua filoni che si ritengono redditizi in termini di consenso e di partecipazione. Il mondo delle idee è sempre stato così ed è normale che, in certi frangenti, su certi temi si accentri l'attenzione e ci sia un'osmosi che attraversa i diversi schieramenti.
Il caso di scuola in Valle d'Aosta è il termine "autonomia", ormai trasformato in una sorta di tavolozza di un pittore. Per dire che la stessa cosa viene rappresentata con tali e tante diversità da aver creato la situazione paradossale che, con il semplice dirsi autonomisti, non si dice nulla di preciso e circostanziato. Avviene cioè una svuotamento della parola, come può capitare per l'uso della parola "formaggio", cui bisogna aggiungere necessariamente la specificazione di quale prodotto si tratti, vista la varietà possibile.
Sin qui niente di male. Quel che manca, spesso, è proprio - nella politica rossonera - questo secondo passaggio. Si usa, come slogan, la dizione "autonomia" senza poi dire quale sia e quale, soprattutto, dovrebbe essere, perché la visione dell'avvenire è quella che determina la scelta di un elettore.
Per questo spero che questo tema del "Quale autonomia?" sarà al centro della scena delle prossime elezioni regionali per aiutare a capire e non per far credere che tutti si sia autonomisti allo stesso modo. Le differenze ci sono e sono grandi e bisogna contrastare la formula ritenuta vincente del mimetismo politico, che si fa forte delle apparenze per nascondere la sostanza.
Insomma, la figura dell'autonomista camaleonte.

Quelle morti che pesano

I funerale dei tre marchigiani vittime della crisiI tre suicidi nelle Marche, una coppia di coniugi e il fratello di lei, sono stati al centro dell'attenzione in queste ore. Nessun dubbio che la chiave del gesto sia stata la disperazione per uno stato inaspettato di povertà, che ha scosso le loro esistenze, in un periodo in cui il cinismo impera.
Viene naturale per chi abiti in Valle d'Aosta sapere che occasioni del genere sono per la nostra comunità come un coltello nella piaga, visto che - pur prendendo le opportune misure rispetto alla particolarità del campione - siamo da tempo al vertice delle statistiche dei suicidi in Italia.
Ammonisce Stefano Marchetti dell'Istat: «Le statistiche sui suicidi vanno analizzate tenendo presente alcune importanti avvertenze.
Le statistiche prodotte a livello internazionale sui suicidi possono sottostimare il fenomeno a causa, in primo luogo, della difficoltà a individuare il suicidio come causa di morte. In base alla letteratura internazionale, però, tale difficoltà non agisce in maniera selettiva sui diversi gruppi di popolazione e, quindi, non compromette l'utilizzabilità di queste statistiche, con le opportune cautele, per confronti nel tempo e nello spazio.
In secondo luogo, è estremamente difficile individuare i motivi che inducono il singolo individuo a togliersi la vita, a causa della natura multidimensionale del fenomeno»
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E' lo stesso studioso che ha spiegato, dati alla mano, come un certo tam tam di questi mesi e di queste ore sia da prendere con cautela: «E' difficile affermare, a oggi, che vi sia un aumento statisticamente significativo dei suicidi dovuto alla crisi economica. Temo che si stiamo facendo affermazioni forti, senza robuste evidenze scientifiche».
Ma il fatto che si sia diffusa l'idea che questo sia avvenuto consente di capire la portata delle percezione e delle preoccupazioni popolari.
Insomma su chi decide di uccidersi ci vogliono, sempre e comunque, misura e circospezione nei giudizi, ma è facile appunto anche, uscendo dai numeri della statistica, avvertire da noi la gravità di un fenomeno che ha toccato o sfiorato ciascuno di noi nella propria sfera familiare o nelle proprie amicizie.
Ha scritto il grande scrittore francese Albert Camus: «Uccidersi, in un certo senso, è confessare: confessare che si è superati dalla vita o che non la si è compresa; confessare che non vale la pena. Vivere, naturalmente, non è mai facile. Si continua a fare i gesti che l'esistenza comanda, per molte ragioni, la prima delle quali è l'abitudine. Morire volontariamente presuppone che si sia riconosciuto, anche istintivamente, il carattere inconsistente di tale abitudine, la mancanza di ogni profonda ragione di vivere».
Si tratta di un problema, benché resti per molti versi insondabile, specie in Valle, dove antiche logiche culturali accompagnavano il gesto estremo, che ci impegna sempre tutti, in una comunità piccola come la nostra, dove lo Stato sociale dovrebbe avere una chiave di lettura suppletiva, quella di un federalismo dal volto umano.

Ucronia

Il libro di Mauro Caniggia e Luca Poggiantig"Ucronia" è un termine poco adoperato e misterioso ai più. Per cui ve ne offro subito una definizione: "Dal greco au- ("non", come negazione) e chronos ("tempo"); ovvero, "non-tempo, tempo ipotetico". Questo termine indica la ricostruzione della storia o di un evento del passato sulla base di ciò che sarebbe potuto accadere o di fatti ipotetici e fittizi invece dei fatti realmente accaduti. L'ucronia è quindi una forma di "fanta-storia", una ricostruzione ipotetica di eventi ipotetici. Il termine fu utilizzato da Carl Renouvier per un romanzo che intendeva ricostruire la storia europea "quale avrebbe potuto essere e non è stata" (Uchronie, l'utopie dans l'histoire, 1876)".
Ci pensavo rispetto alla pubblicazione - "La Questione Valdostana - Una nazione senza Stato" del 2011, che ho visto oggi "animata" da numerose conferenze dai due autori, Mauro Caniggia Nicolotti e Luca Poggianti.
Sono loro, rispettivamente nel ruolo di Direttore e di Presidente, i principali animatori del "Centro Studi Jean-Baptiste de Tillier", che così si presenta nel loro sito: "Costituito l’8 novembre 1989, è un’associazione senza scopo di lucro che ha come fine quello di raggiungere risultati nel campo della ricerca e dello studio delle particolarità storiche, culturali e linguistiche della Valle d’Aosta".
Il "Centro Studi" è dedicato a Jean-Baptiste de Tillier (1678-1744), per 44 anni Segretario degli Stati e del Conseil des Commis (parlamento) del Ducato di Aosta. Primo grande storico locale, a De Tillier si devono numerose opere, veri pilastri della storia valdostana.
Uno dei temi "forti" del Centro è da sempre la valorizzazione della figura di Innocenzo Manzetti (Aosta, 1826-1877), il vero inventore del telefono"
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Nel loro sintetico volumetto, in una settantina di pagine, i due autori propongono una rapida carrellata sulla Valle d'Aosta dagli albori ad oggi e si identificano dei passaggi in un cui si inserirebbe, in modo suggestivo, una ricostruzione ucronica.
Qualche esempio: se nel nell'undicesimo secolo la Valle non fosse finita sotto l'influenza dei Savoia, che ci accompagnarono poi sino alle soglie della Repubblica nel giugno del 1946, quale percorso avrebbe preso la nostra storia locale?
Se nel febbraio 1536 gli "Stati Generali" avessero scelto che la Valle diventasse protestante, lasciando il cattolicesimo, saremmo davvero un cantone svizzero?
Se nel 1860 la Valle fosse stata attratta dell'annessionismo francese come avvenne allora per la Savoia?
Se nel secondo dopoguerra i francesi avessero spinto sino in fondo per un plebiscito saremmo oggi con la Francia?
O se i Savoia avessero chiesto un Principato per i propri erediti nella situazione tempestosa seguente al referendum del 2 giugno 1946?
Se la Valle avesse ottenuto negli anni dopo l'emanazione dello Statuto del 1948 di essere "zona franca", fuori dalla linea doganale italiana, quali sarebbero state le ripercussioni politiche?
Cosa ne sarebbe stato della nostra autonomia speciale se nel 2001 la riforma costituzionale avesse abolito le "speciali" o se, in quegli stessi anni, avesse vinto, invece, per la prima volta la sinora perdente opzione per un'Italia federale?
Sono certo degli esercizi di stile, ma utili a capire che non esistono strade obbligate e percorsi certi, che portino ineluttabilmente dal "punto A" al "punto B". E l'attenzione, rispetto all'autonomia speciale di oggi, benché imperfetta, sta proprio nel fatto che bisogna avere, nel limite del possibile, la percezione del bivio e capire dove condurranno le diverse strade.
Certo fa riflettere un brano di Jorge Luis Borges, in cui scrive "Schopenhauer diceva che cercare un senso nella storia è come cercare nelle nuvole forme di leoni o di montagne. Uno le trova, quando le cerca, però sono arbitrarie. Vi faccio una confidenza: io vedo la storia come un lungo sogno, un lungo sogno arbitrario e, quello che forse è più strano, è che è un sogno che sogna se stesso. Un sogno senza sognatore".

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