March 2013

La tragedia del Broad Peak

La cima del Broad Peak (da planetmountain.com)La prima notizia è stata quella del 5 marzo scorso e suonava più o meno così: "Gli alpinisti polacchi Maciej Berbeka, Adam Bielecki, Tomasz Kowalski e Artur Malek, oggi, alle 17.30 - 18.00 (ora locale), hanno raggiunto la vetta del Broad Peak (8.051 metri), centrando così la prima salita invernale della dodicesima montagna della terra. Attualmente non ci sono ulteriori notizie, e si presume che i quattro alpinisti polacchi siano ora in discesa verso il loro campo 4 a 7.400 metri".
L'ultima notizia è di ieri sera ed è il drammatico epilogo a tre giorni di distanza: "Krzysztof Wielicki, leader della spedizione invernale polacca della "Polish Mountaineering Association" al Broad Peak, pochi minuti fa sul sito della spedizione ha pubblicato un comunicato in cui dichiara che non c'è più alcuna speranza di ritrovare vivi Maciej Berbeka e Tomasz Kowalski, i due alpinisti dispersi da mercoledì scorso dopo che avevano raggiunto la vetta della dodicesima montagna più alta della terra".
Per la Polonia - come mi ha confermato poche ore fa la mia cara amica polacca Marta - si tratta di un lutto nazionale, visto che proprio i polacchi si sono distinti in questi anni come scalatori fortissimi, specializzati nelle rischiose prime invernali.
Per un certo periodo della mia vita mi ero appassionato alla storia dell'alpinismo e lì, dagli albori agli anni più recenti, c'era nei fatti la conferma di come la gioia e il dolore siano per chi sfida l'alta montagna due facce della stessa medaglia. Il pericolo incombe sempre e comunque e credo che chiunque in Valle d'Aosta abbia perso in montagna qualche amico.
Sul sito planetmountain.com il forte alpinista bergamasco Simone Moro, che in prima invernale ha scalato tre "ottomila" (lo Shisha Pangma nel 2005, il Makalu nel 2009 e il Gasherbrum II nel 2011) ha scritto: «L'alpinismo invernale sulle cime più alte del pianeta rimane sempre e solo una libera scelta, molto più sconveniente di quanto non si pensi, dove si è soli anche se si è in dieci, dove si è lontani da tutti anche se si hanno tutti i telefoni satellitari del mondo, dove si è indifesi anche con tutta la tecnologia ed i materiali più sofisticati. Nessuno può fare nulla, proprio nulla d’inverno e il bel tempo si concede due o tre volte nell'arco dell’intera stagione. Pochi giorni in tre mesi, in cui ci si ritrova prigionieri, per scelta, dei propri sogni. Si è come in un mare in tempesta, con onde alte trenta metri, nel mezzo dell'oceano. Nessuno può fare niente per te e solo tu puoi gestire il peso e le dinamiche della tua scelta, quella che in quel posto ti ci ha portato. Ogni decisione che prendi ricade su di te, solo su di te».
E aggiunge, a difesa della rischiosità di certe imprese di cui lui stesso è stato protagonista: «L'uomo vuol essere laddove il pensiero lo spinge. Sulla luna, su Marte, su Venere, negli oceani, nelle grotte, negli abissi, nei deserti e sulle cime. Ebbene è questo l'alpinismo invernale. Voler essere e andare dove l'uomo non è ancora riuscito, ed è per questo che anche il Nanga Parbat ed anche il K2 verranno tentati ed un giorno saliti d'inverno. Questa pulsione non si muove su dinamiche di convenienza, di utilità o livello di pericolo. Nessuno vuole o pensa di cambiare il mondo scalando d'inverno, esattamente come non lo pensava chi poi, in realtà, il mondo lo ha cambiato veramente».
Al di là del pizzico di retorica che spesso finisce per essere presente negli scritti e nelle parole di molti alpinisti di grande personalità, credo che la verità nuda e cruda emerga. Nessuno ti obbliga a rischiare la vita su quelle vette dove un contrattempo suona come un verdetto di morte, ma la sfida alla montagna contiene - a certi livelli di eccellenza - questo rischio calcolato e bisogna essere rispettosi di certe scelte.
Si chiama libero arbitrio.

Anche il marziano scappa via

Una panoramica di Marte scattata dalla sonda 'Curiosity'La situazione politica e quella istituzionale in Italia sono degne della più viva curiosità, peccato che ci si trovi dentro e che - a differenza di quanto mi ha scritto un'amica giorni fa con un lapidario sms: "perché la Valle d'Aosta non chiede l'annessione alla Svizzera?" - qui per ora dobbiamo starci e subire i contraccolpi di un quadro desolato e desolante.
Se domani, usando l'artificio retorico del marziano atterrato a Roma adoperato dal caustico scrittore e giornalista Ennio Flaiano nel 1954, un abitante di qualche remoto pianeta atterrasse nella Capitale probabilmente ripartirebbe in tutta fretta. Penserebbe di essere finito in una gabbia di matti.
Se dovesse, tuttavia, fare un riassunto al rientro in patria penso che potrebbe dire questo: in un periodo drammatico per l'economia italiana a picco per ragioni proprie e congiuntura internazionale, a causa di una sciagurata legge elettorale e di meccanismi costituzionali ornai decotti, l'Italia è di fatto ingovernabile a meno che fieri avversari prima e dopo il voto non si alleino fra di loro nel nome del fumoso principio della solidarietà nazionale. Fino a qui il quadro è già difficile, ma va aggiunto che: l'anziano e forse malato leader della Destra rischia ormai la galera per una serie di processi che arriveranno al dunque dopo decenni, mentre il leader della Sinistra - per aver perso le elezioni - vede minata la sua leadership dal giovane competitore che aveva sconfitto con nettezza alle primarie di pochi mesi fa. Il Centro italiano è ormai liquefatto e sulle macerie svetta un anziano tecnico fattosi malamente politico. Spicca, invece, nello scenario un attempato ex comico, diventato una sorta di predicatore che è stato largamente votato per rottamare l'intero sistema in cui i suoi sono però entrati come parlamentari. Si aggiunga che in questo Stato laico neppure la grandiosa influenza del Vaticano ora conta qualcosa, perché affaccendato a cercare un nuovo Papa, perché quello in carica - autentica novità - è diventato "Emerito".
A cercare di mettere ordine al puzzle, con lentezza dovuta a regole obsolete, uno stanco Presidente della Repubblica che si trova di fronte al compito improbo di incastrare le caselline giuste.
Forse il marziano potrebbe aggiungere, a commento finale, proprio una frase di Flaiano: «Una volta credevo che il contrario di una verità fosse l'errore e il contrario di un errore fosse la verità. Oggi una verità può avere per contrario un'altra verità altrettanto valida, e l'errore un altro errore».
Amen.

Se il Papa venisse dal Québec?

Il cardinale 'papabile' Marc OuelletAver dato all'Università un esame di "Storia della Chiesa" e aver letto alcuni libri di vario genere su temi analoghi (tra cui "Histoire de l'Église d'Aoste" di mio zio, Séverin Caveri, che racconta del particolarismo della Chiesa valdostana) non mi legittimano - se non con i polsi che tremano - ad occuparmi del Conclave che inizierà domani.
Ma il tema non è banale, pensando a due circostanze. La prima, evidente nelle sue implicazioni, è che la Valle d'Aosta è un Paese in larga prevalenza cattolico e dunque quel che capiterà a Roma si rifletterà in modo evidente anche sulla nostra comunità. La seconda è che i casi della Storia hanno fatto sì che gli ultimi due Papi, il polacco Karol Wojtyla e il tedesco Josef Ratzinger, siano stati legati - specie Giovanni Paolo II con ben dieci visite - alla Valle con le loro vacanze e non solo. In passato al massimo qualche Pontefice era transitato per la Valle, ma senza alcun legame con il territorio.
Ora per la Chiesa, dopo la scelta di abbandono di Benedetto XVI e la nascita della bizzarra figura del "Papa Emerito", si apre un passaggio importante, visto che il clima di divisioni e di scandali che avvelena tutto quel che ruota attorno alla Santa Sede.
Chi arriverà dovrà confrontarsi con una modernizzazione necessaria e con riflessioni su argomenti politici e sociali indispensabili.
Da domani nella Cappella Sistina - pensa che posto! - i 115 cardinali dovranno scegliere e in lizza ci sono l'arcivescovo di Milano Angelo Scola (71 anni), candidato dei riformatori non italiani insieme al franco canadese Marc Ouellet (68 anni).
I candidati dei "tradizionalisti", oggi in al governo in Vaticano, sono il brasiliano Odilo Pedro Scherer (63 anni) arcivescovo di San Paolo insieme all'argentino Leonardo Sandri (69 anni) prefetto delle chiese orientali e al singalese Malcolm Ranjith (65) arcivescovo di Colombo.
Certo il québécois Ouellet, pur essendo un conservatore e per questo non sono mancate certe polemiche durante il suo apostolato su problemi di diritti civili, avrebbe un'attenzione alla diversità culturale che altri non potrebbero garantire proprio per "l'eccezione" rappresentata dal Québec e l'ascesa al soglio di Pietro sarebbe un punto a favore per il mondo della francofonia, cui - pur in piccolo - anche i valdostani appartengono.

Un solo uomo al comando

I parlamentari del PdL durante la manifestazione al Tribunale di MilanoE' strano come in queste settimane dopo le elezioni si sia parlato moltissimo del Partito Democratico e di Movimento 5 Stelle e poco del Popolo della Libertà. Ora il Centrodestra irrompe nuovamente sulla scena per la stessa identica ragione che vale ormai da vent'anni: il "fattore B.", cioè la figura unica e ormai ingombrante di Silvio Berlusconi.
Il leader "tornato in campo", dopo molti tentennamenti, ha dimostrato - con un recupero incredibile alle ultime elezioni - di essere un fenomeno elettorale, che come un gatto ha ogni volta sette vite e soprattutto una platea di elettori disponibili a seguirlo, malgré lui...
Ora lo scenario è riassumile in questi 150 deputati che ieri hanno manifestato di fronte al Tribunale di Milano - sua "bestia nera", secondo il Cavaliere - per il "capo" che ormai, una storia dietro l'altra, rischia davvero la galera (i domiciliari, vista l'età) per l'imbuto nel quale stanno confluendo - sentenza dopo sentenza - i vari processi e altre vicende penali, come la "compravendita di parlamentari" ai tempi di Romano Prodi, appaiono sulla scena con conseguenze drammatiche sull'epilogo della vicenda berlusconiana. Berlusconi si sente braccato e butta tutto in politica e i suoi lo seguono, facendo delle sue vicende un caso politico, come se "Berlusca" fosse una sorta di moderno Alfred Dreyfus, vittima esclusivamente di macchinazioni giudiziarie.
Una vicenda che apparirebbe solo grottesca se non avvenisse nel cuore di una crisi istituzionale - di acuta impossibilità di avere una stabilità politica a causa di uno Stato che non funziona e non solo per lo "spezzatino" della rappresentanza parlamentare - che mette paura, perché certi chiari di luna in una democrazia balbettante come quella italiana possono preludere a chissà quale bruttura. La famosa svolta autoritaria non è un'ipotesi da barzelletta e, comunque sia, bisogna cambiare le istituzioni della Repubblica prima che sia troppo tardi.
Sarà interessante vedere se nel PdL emergeranno quelle voci, oggi silenti, che commentarono il ritiro dello stesso Berlusconi con malcelata soddisfazione, prima che tornasse sulla scena come un mattatore ormai anziano di una tragedia al suo culmine.
Questo "fattore B." continua dunque a pesare e resta un problema davvero ingombrante che mostra con chiarezza il destino di partiti nati o trasformatisi in partiti personalisti, legati cioè indissolubilmente ai destini di una sola persona.
Il PdL valdostano pare seguire silente questo scenario romano: sono più concentrati sul "fattore R." e cioè sulla chiusura dell'accordo con Augusto Rollandin per le elezioni regionali. Si tratta di un'attrazione fatale che spinge il Centrodestra ad essere inglobato, come un satellite, ad una Union Valdôtaine, ormai indubitabilmente diventata - come si vede dalla millimetrica regia delle sedicenti "primarie" con candidature finali preconfezionate - un partito con un solo uomo al comando.

Perché difendere i maestri di sci

Un maestro di sci all'operaHo seguito per anni, prima in Italia e poi in Europa, i destini della professione di maestro di sci in ossequio, come base di partenza, a quella competenza primaria che il nostro Statuto d'autonomia prevede alla lettera "u" dell'articolo 2 della nostra "Costituzione regionale" in materia di "ordinamento delle guide, scuole di sci e dei portatori alpini".
Argomento sempre caldo nei rapporti con Roma, oggi come in passato, per il desiderio da sempre esistente dal centro di rosicchiarci poteri e competenze. Chi è curioso su certi antefatti storici vada sul sito della Corte Costituzionale a leggersi la sentenza numero 13 del 17 marzo del 1961, a conferma che la difesa dell'autonomia speciale ha caratterizzato tutti i decenni che ci precedono sin dai primi atti del 1945 dell'autonomia contemporanea. Un'autonomia dinamica, fatta di alti e bassi, che obbliga a tenere la barra dritta contro ogni tentativo di invadere i confini del nostro particolare ordinamento giuridico.
Roma oggi tenta, spesso a vanvera, di giocare a questa "logica invasiva", come di recente avvenuto con la decisione - che spiego nel mio intervento in Consiglio qui sotto - di impugnare una legge regionale appunto sui maestri di sci.
Si tratta di un esempio emblematico della complessità di porre la nostra legislazione regionale in rapporto alla normativa comunitaria e a quella nazionale. Un esercizio di equilibrismo cui non si può venir meno per non darla vinta a chi vorrebbe che capitolassimo dalle nostre prerogative, accettando di trasformare la nostra specialità in una fotocopiatrice di normative scritte altrove.
A questa prospettiva, cui hanno ceduto anche certi autonomisti, io non credo che si dovrà mai cedere.

Tutelare il sistema delle autonomie locali

Non è un caso se la prima proposta di legge del gruppo dell'Union Valdôtaine Progressiste in Consiglio Valle, in quest'ultima parte della Legislatura regionale, è dedicata al sistema degli Enti locali.
Questo argomento è, infatti, una delle ragion d'essere del nuovo Movimento a fronte di un'evidente dietrofront centralistico deciso dal Governo Rollandin in contraddizione con l'azione politica degli ultimi vent'anni. Ricordo infatti che nel 1993 ottenemmo - e l'ho sempre considerata una mia vittoria politica da deputato della Valle d'Aosta - la competenza esclusiva sul nostro sistema autonomistico: un passo avanti decisivo rispetto al disegno dello Statuto del 1948, che aveva lasciato un cordone ombelicale con Roma in un settore cruciale per l'ordinamento valdostano e per avere una democrazia locale davvero forte e originale.
Non a caso la legislazione regionale disciplinò negli anni successivi, punto per punto, un disegno di tutela e valorizzazione dei nostri Comuni in una condivisibile logica federalista.

Un nuovo Papa

Papa Francesco durante il suo primo discorsoAnni fa, parlando con una giovane e brillante diplomatica valdostana, Alessandra Tognonato, che era reduce dal ruolo di console italiano di Buenos Aires, ebbi la conferma di quanti fossero gli argentini di origine valdostana. Erano in più gli anni della grave crisi e molti cercavano le proprie origini nella speranza di rientrare in Italia.
Parlo di conferma perché anni prima, durante una visita in Argentina, l'amico Senatore Cesare Dujany rimase stupefatto nel vedere - sulla guida telefonica di Buenos Aires - quanti cognomi ci fossero di origine della nostra Valle.
Quel flusso di emigrazione nelle Americhe è lo stesso, ma dal Piemonte, da cui discende il nuovo Papa, Jorge Mario Bergoglio. Interessante questa storia di emigrazione che ha segnato la sua famiglia e chissà se oltre al suo italiano con accento spagnolo sappia qualche parola in piemontese, visto appunto che la famiglia viene da Portacomaro d'Asti...
Il Cardinale di Buenos Aires, ora Pontefice, non è certo giovanissimo con i suoi 76 anni. Ma spesso sono stati Pontefici anziani ad aver avuto il coraggio di innovare e va notata questa sera in Piazza San Pietro la sua spontaneità nel dialogo con la folla, pur ammutolita all'annuncio inaspettato, e il passaggio immediato alle due preghiere più note: il Padre Nostro e l'Ave Maria.
Il nome scelto, Francesco, è altrettanto simbolico per il riferimento al Santo povero e umile, che mai nessuno aveva osato evocare nella scelta del proprio nome al momento di guidare la Chiesa cattolica.
Vedremo cosa farà questo nuovo Papa: tutti sembrano d'accordo sulla necessità di "fare pulizia" e forse per questo si è scelto questo Papa sudamericano, certamente esperto e che in Vaticano si potrà muovere con gran libertà.
Speriamo che gli piaccia la montagna: lo chalet di Les Combes di Introd in Valle d'Aosta potrebbe ospitare il terzo Papa consecutivo.

Il primo giorno di una Legislatura già kaput

Il 'transatlantico' a MontecitorioUna volta in politica - con le dovute eccezioni - esistevano forme di bon ton, che non era corporativismo, ma educazione per evitare un eccesso di veleni. Personalmente mi attengo a certe regole, pur avendo riscontrato che c'è chi invece ama, anche in Valle, forme di cattiveria. Ma certi atteggiamenti prima o poi tornano indietro come i boomerang.
Attenendomi al galateo, con simpatia e spirito cavalleresco, pensavo stamani ai due neofiti parlamentari valdostani, Albert Lanièce e Rudi Marguerettaz, che oggi entrano rispettivamente al Senato e alla Camera, in occasione della prima seduta del Parlamento. Capisco, avendola vissuta, la grande emozione e l'evidente onore di avere il privilegio di ricoprire questo ruolo.
È indubbio come questa XVIIesima Legislatura nasca sotto una cattiva stella e già il numero non è dei preferiti, pensando che in Italia sugli aerei - in una par condicio per superstiziosi - non ci sono sedili né al "13" né al "17".
Ricordo perché in Italia è nefasto in un articoletto su "La Stampa", che così spiegava: "Sulle tombe dei defunti era comune la scritta «VIXI» («ho vissuto», cioè ora «sono morto»): durante il Medioevo le popolazioni italiane che avevano abbandonato il latino in favore dei dialetti e che attraversavano un periodo storico caratterizzato da analfabetismo, confusero tale iscrizione con il numero 17 (rappresentato da XVII nel sistema numerico romano)".
In effetti come vitalità l'attuale Legislatura non brilla e c'è un bel da dire che la colpa è della legge elettorale e dello spezzatino uscito dalle urne. Io penso che ci sia una crisi profonda dello Stato, che rischia di minare la democrazia. Ognuno può trovare mille ragioni da addurre: io mi limito a pensare che siamo di fronte al fallimento senza dubbio della partitocrazia rinata con periodicità dalle proprie ceneri, ma anche della forma di Stato di questa Repubblica che si sta lentamente allontanando dall'Europa e chi ne gioisce non coglie il senso della tragedia se diventassimo un Paese escluso dall'Unione.
L'Italia delle autonomie, incerta e balbettante, ha avuto una crisi profonda con il centralismo berlusconiano, diventato pernicioso con Mario Monti. A questo picco centralista ha corrisposto un attacco concentrico contro il sistema regionale e comunale, in particolare con una messa in stato d'accusa delle autonomie speciali del Nord con tagli finanziari e invasioni di campo dello Stato sul terreno del rispetto degli Statuti d'autonomia. Questa resa dei conti ha avuto risposte deboli anche in Valle d'Aosta, dove troppo spesso si è chinato il capo obbedienti a certi diktat romani e ho molti esempi concreti pronti per gli eventuali scettici.
La "rivoluzione federalista" - e non certo l'idea balzana che una confusa democrazia digitale si possa sostituire alla realtà in carne e ossa - resta l'unica praticabile come alternativa al degrado per modificare la Repubblica. Penso che ci si debba davvero ribellare a certe logiche di rassegnazione.

Per raccogliere i frutti

Raccolta delle meleChiunque può fare politica: si tratta di un assunto imprescindibile in democrazia.
L'articolo 49 della vigente Costituzione indica la strada: "Tutti i cittadini hanno diritto di associarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale".
Bello quel "liberamente" e quel "metodo democratico", che pesano come un macigno in caso di sbandamento e che derivano - nelle menti dei costituenti - dal freddo polare del ventennio fascista, quando un partito fu incarnazione di un regime e di un dittatore. Questo è passato remoto ma certe circostanze storiche, mutatis mutandis e cioè tenendo conto dei momenti e dei contesti, possono riapparire all'orizzonte per il carattere mutevole ma talvolta ripetitivo della Storia.
Quest'attuale libertà significa anche godere dell'elettorato attivo (votare) e di quello passivo (essere votati).
Fin qui non ci piove, ma resta da chiedersi quali caratteristiche debba avere chi entra, come eletto, nei diversi livelli istituzionali. Teoricamente nessuno: la mia frequentazione di assemblee di vario genere, dal livello regionale a quello europeo attraverso l'esperienza nazionale, mi confermano di come personalità molto diverse, dotate di background assai differenti, con età e livello culturale molti diversificati e provenienti da schieramenti variegati possono essere unite dal destino di essere colleghi.
Ma c'è un "però". Questo "liberi tutti" che abbatte barriere e steccati nel nome di quel principio nobile e impegnativo che è l'eguaglianza, in cui si bilanciano - perché questa è la forza della convivenza civile e delle sue regole - diritti e doveri, significa infatti padroneggiare alcuni principi.
Le istituzioni sono di tutti, così come i valori costituzionali e dunque chiunque ci entri deve farlo con rispetto di sé e degli altri. Questo vuol dire che ogni polemica politica e ogni contrapposizione fra idee si basa sul confronto fra persone che si rispettano, per quanto diverse possano essere storie e posizioni. Altrimenti si passa dal confronto democratico e dalla dialettica politica alla violenza e all'eversione.
Ma vi è un altro elemento: la politica e l'amministrazione, che spesso convivono in un eletto, costano studio, lavoro, costanza e doti sia di ascolto che di parola. Come in tutte le attività umane e qualunque sia lo schieramento cui si appartiene tutti devono avere l'umiltà di capire norme, regolamenti, prassi che sovrintendono le istituzioni anche per chi entra per cambiarle in profondità.
Qualunque neofita - ed ogni esperto di oggi lo è stato quando cominciò ad occuparsi di politica - deve avere l'umiltà di imparare e non pensare, come si dice scherzosamente, di essere "studiato".
Scriveva don Luigi Sturzo: «Nella politica, come in tutte le sfere dell'attività umana, occorre il tempo, la pazienza, l'attesa del sole e della pioggia, il lungo preparare, il persistente lavorio, per poi, infine, arrivare a raccoglierne i frutti».
Da meditare.

Il Re è nudo!

Un'immagine tratta dalla favola"I vestiti nuovi dell'imperatore" è una celebre fiaba di Hans Christian Andersen.
Si racconta di un re che amava i vestiti e cadde in una trappola così raccontata: "Una volta arrivarono due impostori: si fecero passare per tessitori e sostennero di saper tessere la stoffa più bella che mai si potesse immaginare. Non solo i colori e il disegno erano straordinariamente belli, ma i vestiti che si facevano con quella stoffa avevano lo strano potere di diventare invisibili agli uomini che non erano all'altezza della loro carica e a quelli molto stupidi".
Penso che tutti ricordiate dove si va a parare: i truffatori finsero di lavorare sui tessuti, ovviamente inesistenti, ma nessuno osò denunciare la truffa in atto proprio per quel meccanismo che prevedeva che a non vedere i tessuti fossero gli incapaci e gli stupidi.
L'epilogo è noto: il re viene vestito con i vestiti inesistenti e sfila per la città come mamma lo ha fatto: "E così l'imperatore aprì il corteo sotto il bel baldacchino e la gente che era per strada o alla finestra diceva: «Che meraviglia i nuovi vestiti dell'imperatore! Che splendido strascico porta! Come gli stanno bene!». Nessuno voleva far capire che non vedeva niente, perché altrimenti avrebbe dimostrato di essere stupido o di non essere all'altezza del suo incarico. Nessuno dei vestiti dell'imperatore aveva mai avuto una tale successo.
«Ma non ha niente addosso!» disse un bambino. «Signore, sentite la voce dell'innocenza!» replicò il padre, e ognuno sussurrava all'altro quel che il bambino aveva detto.
«Non ha niente addosso! C'è un bambino che dice che non ha niente addosso!»
«Non ha proprio niente addosso!» gridava alla fine tutta la gente. E l'imperatore, rabbrividì perché sapeva che avevano ragione, ma pensò: «Ormai devo restare fino alla fine». E così si raddrizzò ancora più fiero e i ciambellani lo seguirono reggendo lo strascico che non c'era"
.
La frase sintetica, diventata un modo di dire, è il "Re è nudo" contro l'arroganza del potere e il "leccaculismo" (ma purtroppo può anche essere la paura) di chi vuole compiacere il re. E' un fenomeno insito nelle diverse forme di autoritarismo, da quella più flebile sino all'orrore delle dittature, che contengono tutte - con diverso grado di perniciosità - lo stesso germe antidemocratico. Ma le dittature hanno quella componente volontaria e dunque ancora peggiore che il pensatore cinquecentesco Étienne de La Boétie (1530-1563) riassunse nell'espressione di "servitude volontaire".
E così descrive la caduta di chi ti imprigiona e il pensiero attraversa i secoli con limpidezza e modernità: «Soyez résolus à ne plus servir, et vous voilà libres. Je ne vous demande pas de le pousser, de l’ébranler, mais seulement de ne plus le soutenir, et vous le verrez, tel un grand colosse dont on a brisé la base, fondre sous son poids et se rompre».
Un bel viatico oggi e dovunque, anche in Valle d'Aosta, dove - come nella fiaba - c'è un imperatore e molti che negherebbero qualunque cosa pur di fronte all'evidenza.

Registrazione Tribunale di Aosta n.2/2018 | Direttore responsabile Mara Ghidinelli | © 2008-2021 Luciano Caveri