March 2013

Le beffe sul nuovo riparto fiscale

Qualche problema sul riparto fiscalePubblico un mio intervento nell'ultimo Consiglio Valle per un'interrogazione sul nuovo riparto fiscale della Valle e il suo svuotamento a causa sia del Governo Berlusconi che, peggio ancora, del Governo Monti.
La risposta fornita da Leonardo La Torre, assessore alle finanze, già Fédération Autonomiste ed oggi "Gruppo misto" e dunque assessore di sé stesso, è stata una breve nota, pure contraddittoria che esprimeva soddisfazione per la prima applicazione nel 2011 delle nuove norme, quando proprio in quell'anno l'attacco al contenuto del rinnovato ordinamento finanziario è partito dal sempiterno Giulio Tremonti.
Stupisce che un assessore non pretenda di avere una buona risposta dai suoi funzionari, ma certo per farlo deve padroneggiare la materia finanziaria, che non è facile.
Tutto parte dai decreti legislativi del 1945, nel corso della prima autonomia, e una certa debolezza nelle certezze finanziarie è presente nello Statuto del 1948 e nella lunga fase che va dal 1948 sino alla celebre legge 690 del 1981 che fissò elementi di certezza e il famoso principio del nove decimi sulle principali tasse e imposte. Importante fu poi - e la seguii di persona - quel fondo compensativo, ottenuto nel 1993, per il venir meno dell'IVA ottenuta coi TIR che sdoganavano all'Autoporto di Pollein. L'ordinamento fu poi "blindato" con il principio dell'intesa pcon norma d'attuazione nel 1994.
Nel 2009 arriva il federalismo fiscale e l'accordo conseguente che portò alla norma d'attuazione 12 del 2011 che seguii come membro della "Commissione Paritetica Stato - Valle d'Aosta".
I famosi dieci decimi (ma con la contemporanea rinuncia a crediti che la Regione aveva accumulato dallo Stato!) compensavano solo in parte i tagli progressivi, sino alla sua scomparsa nel 2017, del fondo compensativo già citato. Ma soprattutto quel che ha pesato sono l'impatto sul nuovo riparto delle manovre finanziarie con lo Stato che trattiene parte della fiscalità indebitamente (lo ha già detto la Corte Costituzionale su un decreto dell'epoca Berlusconi) e con il peggioramento delle norme cogenti derivanti dal patto di stabilità.
Ascoltando credo capirete meglio il problema!

Giuro, anzi no...

Giuramenti...Qualche giorno fa, sono stato testimone in un processo in cui ero parte lesa (l'uso della mia carta di credito prelevata dal portafoglio che avevo perduto) e ho usato in Tribunale la formula di giuramento: «consapevole della responsabilità morale e giuridica che assumo con la mia deposizione mi impegno a dire tutta la verità e a non nascondere nulla di quanto è a mia conoscenza».
Esemplare il "giurare" della "Treccani": "Seguito da proposizione oggettiva, affermare, attestare, promettere con giuramento: giurava di essere innocente; giurami che non lo farai più; te lo giuro!, con riferimento a quanto attestato subito prima: da ora in avanti righerò dritto, te lo giuro; giuro di dire la verità, tutta la verità, nient'altro che la verità, formula di giuramento dei testimoni a un processo. Usato assoluto, prestare giuramento: i soldati hanno giurato davanti al generale; domani i nuovi ministri giureranno nelle mani del presidente della Repubblica. Con varie determinazioni: giuro dinanzi a Dio, nel nome di Dio; giuro sui Vangeli, sulla Bibbia, sull’altare; anteriore, giuro al cielo, giuro a Dio; giuro sul mio onore, sulla testa dei miei figli, sulla memoria di mio padre; ti giuro in coscienza di galantuomo; per le nove radici d’esto legno Vi giuro che già mai non ruppi fede Al mio segnor (Dante)".
Interessante, vero? Penso che questa idea della verità in politica sia fondamentale. Penso alle dichiarazioni altalenanti del presidente dell'Union Valdôtaine, Ego Perron. Due giorni fa - udite, udite - aveva aperto al Partito Democratico, ieri - con i pidiellini imbufaliti che avevano chiesto conto della notizia al vero e solo decisore unionista (al secondo piano di Palazzo Regionale, in piazza Deffeyes ad Aosta) - la rettifica di Perron che ora, dopo la strigliata, detta la linea vera: «Il punto di partenza per la costruzione di una piattaforma politica per le prossime elezioni regionali è costituito dalle forze autonomiste Union Valdôtaine, Stella Alpina e Fédération autonomiste che avranno come primo interlocutore il PdL, che fa parte integrante dell'attuale maggioranza regionale''.
Finalmente! La verità è un bene prezioso per poter leggere con chiarezza anche nella politica valdostana senza dover far ricorso ai fondi del caffè.
Fatemi usare un tono leggero, spero non volgare, di cui mi auguro nessuno si adombri. I pidiellini aspettano da tempo il matrimonio: il flirt ben riuscito era nato con le comunali di Aosta, poi il deludente petting delle europee, infine l'ingresso in maggioranza regionale - anche per tacitare nell'Union Valdôtaine ogni possibile confronto - con un rapporto quasi completo, che è parso sinora minato da una forma di eiaculatio precox e poi con le politiche si è tornati indietro, come un amante che venga nascosto in un armadio, benché importante.
Ora l'amore, via "Ansa", appare netto e chiaro. Baci e bacini e finalmente una parola chiara su cui si potrebbe giurare.
Aspettiamo i fiori d'arancio a maggio, il mese delle spose.

Attorno ai partiti e all'impegno civile

Un paguro sulla spiaggiaErnesto Rossi, federalista, azionista e radicale scrisse nel dopoguerra sui partiti: «Il paguro (detto volgarmente "Bernardo l'Eremita"), per difendere la sua pancina molle, la ricovera in una conchiglia, dopo essersene pappato il proprietario [...] Quando gli istituti democratici diventano i gusci dei paguri, non sono più organismi vivi, anche se i movimenti dei paguri, che vi si sono accomodati dentro, possano darne l'apparenza».
Questo ci deve far riflettere e ciascuno di noi deve pensare a chi siano i paguri che si sono impadroniti del proprio partito. Io, nel mio piccolo, l'ho fatto e ho reagito - con altri compagni d'avventura - agli avvenimenti e ho voluto costruire una "nostra" conchiglia che sappia evitare che un solo paguro faccia tutto da solo.
Si tratta di una motivazione forte per impegnarsi. Pensavo a che cosa ha scritto l'estate scorsa la politologa Nadia Urbinati sulla rivista di "Italianieuropei": «La demagogia è una forma degenerata della democrazia, la sua periferia interna. I classici la situavano al punto terminale della democrazia costituzionale o "buona", conseguenza di un impoverimento della società e del timore della classe media di vedere indebolito il proprio status e dei meno abbienti di perdere quel poco che a fatica avevano guadagnato. In questo scontento, che contrapponeva i pochi ai molti, poteva emergere un astuto demagogo, che metteva in campo forze nuove, desiderose di farsi largo ed emergere. Oggi, la demagogia usa il linguaggio dell'antipolitica per esprimere opposizione all'attuale classe politica con il prevedibile obiettivo di scalzarla con una nuova. Se, poi, questa classe politica si è macchiata di corruzione, ciò rende l'arringa del demagogo ancor più facile ed efficace. Il Movimento 5 Stelle rientra in questa categorizzazione demagogica. Questo movimento non è però antipolitico nei suoi obiettivi, benché lo sia nella sua propaganda. Esso opera come un partito e se vorrà persistere nel tempo dovrà strutturarsi come tale. Nella democrazia rappresentativa non c’è scampo a questa regola. L'esperienza di Silvio Berlusconi insegna: avere i mezzi finanziari non è sufficiente (...) Un partito nato per vincere soltanto è un partito destinato all'estinzione. La memoria sulla quale ogni compagine si struttura, creando identità collettiva, si consolida anche grazie alle sconfitte, esperienze che uniscono non meno delle vittorie. Quindi il Movimento 5 Stelle, se vuole consolidare la propria presenza nella politica nazionale, deve essere pronto a scendere nell'agone sapendo che può perdere. La prepotenza verbale del suo leader rivela che questa non è ancora la sua condizione. Se sarà un partito di sola vittoria sarà di breve durata".
Penso che sia una considerazione giusta e, essendo stata scritta oltre dieci mesi fa, quasi profetica. Ed è un insegnamento anche per il futuro dell'Union Valdôtaine Progressiste: per restare, dopo la straordinaria fiammata delle elezioni politiche, deve stabilizzarsi e reagire con la forza delle idee, dei valori sostanziati in azioni concrete, con l'equilibrio fra partecipazione e capacità di decidere, equilibrando democrazia rappresentativa e sistemi di confronto nella società. Facile a scrivere, difficile da fare.
Il vecchio partigiano Stéphane Hessel, autore del libro "Indignez-vous!", morto in questi giorni indica una via: «Je vous souhaite à tous, à chacun d'entre vous, d'avoir votre motif d'indignation. C'est précieux. Quand quelque chose vous indigne comme j'ai été indigné par le nazisme, alors on devient militant, fort et engagé. On rejoint ce courant de l'histoire et le grand courant de l'histoire doit se poursuivre grâce à chacun. Et ce courant va vers plus de justice, plus de liberté mais pas cette liberté incontrôlée du renard dans le poulailler».

L'autonomia delle idee e dei valori

Non lo dico per snobismo o presunzione, ma per diretta conoscenza.
Molti di quelli che in queste ore esaltano l'Autonomia speciale ne hanno, in termini storici e giuridici, una conoscenza davvero scarsa.
Non mi riferisco solo a qualche discorso ufficiale scritto da apposito e rispettabile scribacchìno, ma in generale ad un distacco - anche fra molti "addetti ai lavori" - fra l'utilizzo dell'autonomia come orpello retorico simile al prezzemolo e una miseria di conoscenza reale dei suoi contenuti e dei suoi problemi.

La compassione per il rosicatore

Un albero 'rosicato'Il "rosicatore" è sempre esistito: è quello che si rode dentro e si tormenta di rabbia e di invidia.
Internet ed i "social media" sono una prateria per chi coltiva certi sentimenti così negativi e spesso si sfoga, appunto, con la costanza di un roditore, rosicando e rosicchiando attraverso quelle vetrine insperate che il Web offre a chi sarebbe destinato all'anonimato. «In futuro ciascuno avrà quindici minuti di fama», disse nel 1968 l'artista Andy Warhol con quella che è stata letta "ex post" come una sorta di profezia. Oggi c'è chi usa il proprio veleno interiore per mostrarsi, facendo dell'invidia una bandiera.
Capisco che l'occasione è utile per un distinguo: usiamo spesso l'invidia come se fosse un sinonimo di gelosia, ma non è affatto così. Ne scrisse alcuni anni fa il sociologo Francesco Alberoni, imbattibile sul "Corriere della Sera" nelle sue sintesi: «Nella gelosia ci viene sottratto un oggetto d'amore che noi consideravamo nostro. Ma non ci viene portato via, a forza, da un ladro o da un rapitore. Il nostro amato è d'accordo nel farsi portare via, sta dalla parte del rapitore. La gelosia, perciò, ha la forma di un triangolo in cui al vertice ci siamo noi e all'altro lato loro: la persona che amiamo e il rivale, uniti dalla complicità . L'espressione "sono geloso di" si riferisce tanto al primo quanto al secondo. La gelosia non ha un solo oggetto, ne ha sempre due. Invece è assente il pubblico, la folla, la società. Io posso essere geloso anche nella più assoluta solitudine. L'invidia, invece, ha un oggetto solo e, in compenso, ha bisogno di un pubblico. Io sono invidioso di qualcuno che mi ha superato davanti a una collettività, a un'opinione pubblica che applaude lui e non me. Prima eravamo allo stesso livello, avevamo lo stesso valore sociale. Per esempio, io pensavo di essere simpatico e di cantare bene come Fiorello. Invece lui, a un certo punto, ha successo e io no. Lui va in televisione, è ammirato da tutti, e io no. Allora mi domando perché. Che cosa ha in più di me? Che cosa gli fa meritare tutto quel successo? Non c'è una ragione. Vuol dire che il mondo non premia in base ai meriti, alle capacità. Provo un senso di impotenza e di ingiustizia. Mi tormento e cerco di dire a me stesso che gli altri sbagliano. Ma loro continuano ad applaudirlo. Allora cerco di convincerli del contrario, cerco di screditarlo. Lo faccio anche per convincere me stesso. Ma è una lotta impari, nessuno mi crede. Allora anch'io sono preso dal dubbio. E mi vergogno di quello che faccio. Mi vergogno di essere invidioso».
Brutta storia e pessimo sentimento, insomma, che dovrebbe forse farci derubricare la costernazione, per chi è intriso di invidia e ci infastidisce, in compassione umana.
Per altro, meglio fare invidia che pietà.

Quel pasticciaccio brutto della politica

Stallo durante una partita a scacchiTutti sanno che cosa sia uno "stallo": lo si usa anche nel linguaggio comune, che per fortuna è meno complicato di un vocabolario, visto che a questa voce si legge - e fa impressione per il tecnicismo - la seguente spiegazione: "in un'aerodina, distacco della corrente del fluido dai piani portanti e specifico dall'ala, che si realizza quando si raggiunge l'incidenza critica, con conseguente caduta della portanza dell'ala, aumento della resistenza e, talora, caduta in vite del velivolo".
Cioè in sostanza lo stallo crea una situazione in cui l'aereo o cose simili volanti vengono giù, cadono, se non si risponde a questo stato di emergenza con la manovra giusta da parte dei piloti.
E' la situazione in cui oggi risulta appesa la democrazia italiana con questa sorta di "anatra zoppa", cioè - usando un anglicismo - quella situazione di "dissonanza" fra una maggioranza solida del Partito Democratico alla Camera e la mancanza di una maggioranza equivalente per il PD e la sua coalizione al Senato. In vigenza di un bicameralismo perfetto, cioè il Parlamento è la sommatoria esatta delle due Camere che hanno lo stesso identico peso istituzionale, se un Governo non gode della fiducia di entrambe le Assemblee, casca come una pera. E oggi questa maggioranza non c’è per veti incrociati e per la presenza, esplicitamente di rottura, del Movimento 5 Stelle, scoppiato come una bomba atomica nella politica italiana e non si può far loro una colpa, visto che hanno sempre manifestato con chiarezza una logica globale "antisistema", cui oggi si attengono, seguendo un leader (se preferite lider) maximo di un movimento dichiaratamente personalista.
La "patata bollente" resta nelle mani del vecchio Presidente Giorgio Napolitano, che immagino si trovi nella disgraziata situazione di inventarsi una qualche formula in extremis, visto che la convocazione del Parlamento sarà fra una settimana esatta. La stessa mossa del premier senza voti, l'ex tecnico Mario Monti, di convocare a Palazzo Chigi i leader in vista del Consiglio europeo è un vuoto a perdere e speriamo che non preluda ad un nuovo Governo tecnico che sarebbe l'ennesimo fallimento e sarebbe diabolico perseverare su questa strada, che a conti fatti, è stata un fallimento.
Lo possiamo dire forte noi valdostani, finiti nel mirino prima di un Silvio Berlusconi sedicente amico e poi di un professore insensibile alla specialità e ai suoi diritti. Per cui fanno ridere quelli che, silenti nella sostanza dei fatti allora, oggi lanciano proclami in occasione di quella cerimonia parruccona e antipopolare che è quel che resta della "Festa della Valle d'Aosta".
E' vero - tornando alla politica italiana - che siamo ormai nel "semestre bianco" - cioè nella dirittura d’arrivo del suo mandato al Quirinale e non può sciogliere le Camere e indire subito quelle elezioni che sarebbe la strada più ragionevole, ma non fattibile ora in punta di Costituzione. Soluzione che sarà semmai in mano al suo successore, qualora la matassa non venisse dipanata prima. Così proprio chi verrà dopo Napolitano alla Presidenza della Repubblica potrà sciogliere e si andrà infine e del tutto stremati alle elezioni. In questo caso avremmo avuto la più breve legislatura repubblicana, da mettere tristemente nel Guinness dei primati.
Un bene o un male? Ogni valutazione morale o pensiero ideologico cozza contro la realtà dei numeri e di una situazione bislacca frutto di una cattiva legge elettorale, che certo potrebbe non consentire di nuovo la governabilità in caso di elezioni. La situazione intricata accentua il distacco crescente fra politica e opinione pubblica, visibile nel grande astensionismo della scorsa elezione e nel colpo mortale a certezze in capo al vecchio sistema dei partiti.

Le parole del savant

Cartelli stradali ad AostaI nomi dei luoghi - la toponomastica - sono una "macchina del tempo", che consente di capire, nello studiare la semantica delle parole, le stratificazioni culturali succedutesi in un certo posto.
Il "Corriere della Valle" ha pubblicato qualche settimana fa un acuto articolo, intitolato "Quelques observations à propos de la toponymie" di un savant valdostano, noto anche per il suo impegno politico del passato, Joseph-César Perrin, oggi presidente della "Académie Saint-Anselme", antica istituzione culturale valdostana.
Ricordando recenti polemiche, scrive Perrin: "Tout récemment le conseil communal d'Aoste a adopté, à la pluralité des voix (19 favorables: majorité et PD; 7 abstenus: Alpe et Sinistra per la città), la graphie des hameaux et quartiers de la commune, qui devront être officialisés par un décret du Président du Gouvernement régional. Cela a soulevé sur la presse locale et italienne et sur la Toile les récriminations de certains journalistes pour lesquels on assisterait à une «francisation» forcée des toponymes, à des faux historiques, à une volonté d'effacer le francoprovençal et l'italien. Il est donc opportun d'apporter, avec toute la sérénité possible, quelques observations".
Qui Perrin inanella un ragionamento cartesiano: "Le scandale viendrait du fait qu'on a adopté les toponymes "Le-Quartier-de- la-Doire" et "Le Quartier-Cogne", ajouté le z final à certains noms atones, effacé la présence du patois... Tout cela et d'autres choses méritent une analyse sereine et sans parti-pris. Sollicité en 1991 par une interpellation qui demandait d'officialiser les noms des «villages, hameaux et cours d'eau de chaque commune valdôtaine», le Gouvernement a installé en 1996 auprès du Bureau Régional pour l'Ethnographie et la Linguistique une commission consultative pour la toponymie; celle-ci, formée d'experts en linguistique, ethnographie, paléographie, histoire, dialectologie et langue walser, propose pour les communes qui en font la requête la graphie à adopter mais, pour ce faire, elle se penche longuement sur les enquêtes orales conduites par les chercheurs du "Brel" ainsi que sur une recherche historique pour connaître quelle a été l'éventuelle évolution de la graphie de ces toponymes au cours des siècles. Ses propositions sont donc justifiées par l'histoire, par l'usage et par la scientificité. Pour établir la graphie il y avait évidemment deux possibilités: a) adopter le code linguistique italien, celui dont en 1939 s'est servi le fascisme qui nous a donné les Cormaiore, Aimavilla, Alleno, Sant'Eugendo, Ciambava, Camosio, Mongiove, Brussone, Pianboseto, etc., sans parler des Porta Littoria, Sala Dora, Campo Laris...; italianisations qu'en 1945 le premier président du Conseil de la Vallée, le professeur Federico Chabod, s'est empressé d'effacer pour «ripristinare nella forma originaria» nos toponymes; b) une graphie patoise, ce qui aurait pu entraîner des cas d'incompréhension; c) ou bien opter pour le code français, ce qui a été fait à juste raison. En effet, c'est la diglossie patois/français qui de tous temps a régi la graphie des toponymes valdôtains dans lesquels la forme orale francoprovençale a toujours eu son correspondant en français, certainement pas en italien. Il en a été ainsi depuis que nous les rencontrons dans les premiers documents: Mordzé devient Morgex, Dzegnou Gignod, Tsambava Chambave, Tsatillion Châtillon et ainsi de suite; et il en fut de même pour les patronymes: Blantset Blanchet, Dzerballa Gerbelle, Grandze Grange…".
Prosegue così la spiegazione del metodo scientifico adottato: "Les toponymes adoptés se rapprochent autant que plus possible à l'usage courant, essayent de ne pas trop s'éloigner de la prononciation francoprovençale et respectent les particularités linguistiques de certaines communes (Basse-Vallée en particulier). Rien de nouveau n'a été inventé: ce sont exactement les mêmes critères suivis par la commission qui a officialisé la graphie des noms des communes en 1976. On reproche aussi l'emploi du z final qu'on aurait employé pour rendre certains toponymes semblables au français. C'est exactement le contraire. Le z final est une particularité de toute l'aire francoprovençale et c'est justement pour respecter cette spécificité qu'il est introduit. Sans être linguistes, on sait que tous les mots français sont oxytons (accent sur la dernière syllabe) ce qui souvent n'est pas le cas du francoprovençal. Or dans l'aire linguistique francoprovençale l'ajout du z - qui ne se prononce pas - a justement la fonction de rendre atone la dernière syllabe: La Bioulaz et non La Bioulà, Bondaz et non Bondà, Touscoz et non Touscò, La Riondaz et non La Riondà, etc. À propos de ce dernier toponyme présent à Saint-Martin-de-Corléans, qui au cours des années 60 du siècle dernier avait été transformé en L'Arionda, je signale qu'on le rencontre déjà à la fin du XIIIe siècle quand il apparaît sous la forme latinisée de Rionda et non Arionda: infra clausum de Rionda, res illorum de Rionda, res Roberti de Rionda… (cf. "Liber reddituum capituli Auguste", publié par A.M. Patrone en 1957). Celui-ci n'est qu'un exemple de la persistance de nos toponymes au cours des siècles, continuité à laquelle la commission pour la toponymie s'inspire dans son travail et ses propositions. Un dernier mot reste à dire sur le patois. Il n'a pas été oublié. En effet, la nouvelle loi régionale portant sur la toponymie votée en 2012 et qui avait été démocratiquement discutée avec le "Celva" a accueilli une série de suggestions avancées par cette institution et, entre autres, elle permet aux communes qui le désirent d'ajouter au toponyme officiel en français celui en patois (dont la graphie devra être établie par le "Brel" pour ne pas commettre des fautes grossières). Cela s'est déjà produit pour la commune de Valtournenche qui a proposé la double graphie. D'autres accusations sont ridicules: comment peuvent-ils reprocher l'emploi en français du nom de certaines villes italiennes, lorsqu'euxmêmes emploient Parigi, Lione, Digione ou Marsiglia? Pas besoin de commentaires!".
Eccoci dunque alla conclusione del ragionamento: "Quant aux deux quartiers susdits, qu'on se tranquillise: ce ne sera pas leur «francisation» qui dérangera leurs habitants. Il s'agit, en général, de personnes immigrées qui au Val d'Aoste ont trouvé du travail et du bien-être et ils en sont reconnaissants et, très souvent, plus Valdôtains que certains Valdôtains. Et que les italianisants à outrance se tranquillisent, eux aussi. Le nôtre n'est pas du «sciovinismo», ni une «assurda francesizzazione a tappeto, senza alcuna attenzione alle "ragioni storiche" [quel toupet de la part de qui ne connaît pas notre histoire!] et encore moins un «integralismo francofono da operetta». Ce n'est que l'affirmation d'un droit d'une terre jadis entièrement francophone qui aujourd'hui veut garder ce qui est encore possible de sa personnalité et résister à la volonté d'imposer l'uniformité à tout prix. L'«unità d'Italia» ne sera pas mise en cause si les rues d'Aoste portent aussi la dénomination en français et si les hameaux de la ville ont finalement une graphie correcte et cohérente avec celle des communes".
Il tono pacato invita al dialogo su un tema che non deve assumere coloriture ideologiche e neppure diventare occasione per fare di temi seri una caricatura perenne. Non è un caso se la toponomastica sia una competenza esclusiva della Regione: agli albori dell'autonomia i casi di italianizzazione forzata dei toponimi locali, voluta dal fascismo, erano ancora freschi di misfatto. In fondo che oggi se ne discuta vivacemente, anche se al contrario, è comunque frutto dell'autonomia speciale.

Più che buoni... erano cattivi

Pompe per il rifornimento di carburante"@ARollandin: In attesa di risposte sui trasporti chiediamo a Roma la riattivazione dei buoni benzina". Con questo "tweet" del 22 febbraio - a poche ore dalle elezioni - il presidente della Regione, Augusto Rollandin, sganciò l'arma letale in vista delle elezioni. Come solleticare i valdostani prima del voto se non sbandierando i "buoni carburante"?
Ci sarebbe da ridere, se non si dovesse tenere conto del fatto che il presidente è certo un esponente di partito, ma ha un ruolo istituzionale che dovrebbe farlo volare alto e non pensare di colpire l'eventuale credulità popolare, specie in un periodo in cui la crisi economica fa rimpiangere i "buoni" come non mai.
Qui sotto propongo la registrazione del "botta e risposta", che dimostra che nessuna novità vera ci fosse sul dossier. Un dossier delicato che il Governo Rollandin dal 2008 in poi ha seguito con manifesto disinteresse sino alla soppressione "unilaterale", nel senso che abbiamo abrogato noi le norme locali della legge nazionale del 1949, quando al limite si doveva fare il contrario.
Avevo ragione sulla "sparata" dunque nel mio "tweet" di allora: "Prima delle elezioni politiche viene fatta risuscitare una questione sepolta, malgrado le sollecitazioni e ora oplà!".
Ascoltate e constaterete che ero stato buon profeta di un fuoco d'artificio. Lo dico con tristezza perché speravo che nel cilindro ci fosse davvero un coniglio...

Riprendersi la primavera

Piccoli segnali dell'arrivo della primaveraVorrei parlare della primavera, di cui in questi giorni abbiamo avuto qualche avvisaglia.
Le giornate si sono allungate, al mattino gli uccelli ormai "scongelati" fischiettano, il calore del sole - quando appare - è già diverso. La nostra "parte animale", sepolta dalle mille sovrastrutture della nostra umanità, la sente arrivare, anche se - meravigliosa banalità da conversazione - prima o poi, in barba al fatto che dovremmo essere creature pensanti, ci sentiremo scappare di bocca che «non ci sono più le mezze stagioni» e la primavera annunciata lo è.
Aggiungo solo che la stagione che verrà è anche quella che maggiormente esalta l'altimetria impressionante della nostra Valle, che dal fondovalle risale sino alle cime, come se l'inverno morisse lentamente in alto e più in basso nascesse la bella stagione.
Ma non riesco a scrivere, e non è il crampo dello scrivano o la circostanza che oggi piove, è uno stato d'animo che mi rode e che riguarda questi giorni come concentrato di questi mesi e direi di questi anni. Oggi ho incontrato una persona che conosco da tanto tempo e che ho sempre visto sorridente sotto i suoi baffi e mi diceva, sconsolata, come non vedesse nessuna luce apparire per ora in fondo al tunnel. Lo diceva con una luce d'improvviso spenta negli occhi.
La crisi di questi tempi è come una piovra con tanti tentacoli: è in crisi l'economia con a cascata conseguenze per le persone, le famiglie, le imprese e si riverbera, per diverse ragioni, sulla spesa pubblica che stringe i cordoni della borsa e pesa sui servizi erogati dello Stato Sociale cui siamo ben abituati, specie in Valle d'Aosta; è una crisi della politica e delle istituzioni democratiche, di cui è esempio lampante la confusione che regna a Roma nel disastroso post elezioni e pure in Europa dove il processo d'integrazione brancola nel buio; è una crisi morale, di fiducia, di partecipazione che accentua i problemi, le divisioni e in sostanza scoraggia.
In Valle i tre aspetti hanno una connotazione originale, ma il mix di crisi agisce con forza e non siamo fuori da questa sensazione generalizzata di smarrimento e nessuno può far finta di niente.
Io ho ripreso un cammino deciso in politica perché penso che la reazione sia un dovere di tutti, senza alcuna distinzione, ma senza neppure essere ipocriti con chi queste crisi le vede e le palpa, ma la cui reazione massima è qualche espressione retorica e verbale. Come se il potere evocatore delle parole fosse una panacea buona per guarire i mali, come se si confidasse in un effetto placebo, sostitutivo di un farmaco, ma che non ottiene invece nulla di concreto, proprio perché in realtà privo di quelle sostanze indispensabili per la guarigione.
Riprendiamoci in qualche modo la primavera. Lo dobbiamo a noi stessi, a chi amiamo, alla nostra comunità e a tutto il resto. Io non voglio che la tristezza e le paure ammorbino le nostre vite. Il mondo è bello perché è a colori e non possiamo accettare che una patina di grigiore incomba sulle nostre vite e l'unica speranza è quella di una generale ripartenza. Almeno per quello che ci compete, come si direbbe con un linguaggio da verbale.

Farsi da soli la "zona franca"

La dogana svizzeraLeggi una cosa così e ti stupisci: "E' passata sotto tono la notizia che dal 24 giugno prossimo la regione Sardegna, comprese le isole minori, diverrà "zona franca". Non si capisce bene perché i vari telegiornali e le maggiori testate giornalistiche abbiano sottaciuto una notizia così importante. In ogni caso c'è da dire che questo evento per la seconda isola più grande d'Italia riveste un'importanza fondamentale sia per i residenti che per il resto degli italiani".
Poi ne leggi un'altra così e passi dal dubbio allo sghignazzo: "Dal prossimo 24 giugno andare a vivere in Sardegna oppure andare semplicemente a trascorrerci le vacanze potrebbe risultare davvero conveniente. Si apprende infatti da una delibera del Consiglio regionale risalente allo scorso 12 febbraio che la Regione Autonoma della Sardegna ha stabilito l'attivazione di un regime doganale di "zona franca" esteso a tutto il territorio regionale. L'isola andrebbe dunque ad affiancare le città di Livigno, Campione d'Italia, Messina e Livorno, i porti franchi di Trieste, Venezia ed Ancona e la Regione Val d'Aosta, che godono di questo particolare trattamento".
Ovvio che chi scrive quest'ultimo articolo non sa che è vero che lo Statuto valdostano prevedeva la "zona franca", ma mai è stata applicata e dunque il fatto non è vero. La deliberazione per il "caso sardo" è, invece, verissima e pure le iniziative di spinta politica annunciate dal presidente dell'Isola, Ugo Cappellacci, ma siamo di fronte ad una castronata. Mai Roma e men che meno Bruxelles potrebbero accettare nulla di simile in questa fase storica. Sembra di sentire chi in Valle d'Aosta propone buoni benzina a gogò, tablet per tutti, dice che il Casinò va bene e che "Cva" non assume gente "amica" e che le turbine cinesi per le centrali funzionano come degli orologi svizzeri.
Per altro - scusate la digressione e torno al punto - mentre lo Statuto valdostano è chiarissimo sin dal 1948 - articolo 14: "Il territorio della Valle d'Aosta è posto fuori della linea doganale e costituisce zona franca. Le modalità d'attuazione della zona franca saranno concordate con la Regione e stabilite con legge dello Stato" - quello sardo è debolissimo con una frasettina smilza all'articolo 12: "Saranno istituiti nella Regione punti franchi".
Pochino per una zona franca integrale, oltretutto auto-statuita, non si sa sulla base di quali poteri e competenze. Insomma non se ne parla della questione - e lo dico con dispiacere per gli amici sardi, cui ci legano l'autonomia speciale e il fatto che il grande Emilio Lussu sia stato relatore del nostro Statuto - per la semplice ragione che è un'iniziativa destinata a giacere su di un binario morto.
Le strade sono più complesse che un atto come quello su cui si dovrebbe basare la rivoluzione e sfugge come si possa conciliare con un ordinamento fiscale basato su una compartecipazione ad una fiscalità che crollerebbe.
Mentre spero che le nostre elezioni regionali consentano di ragionare sulla "nostra" zona franca e le sue eventuali e realistiche possibilità di farne ancora qualcosa. Ma non con una delibera puramente dimostrativa.

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