January 2013

Passione e entusiasmo

Tante pile transistorCapisco che nella fase concitata delle elezioni tutto risulti distorto e i toni usati siano per forza gridati. Fa parte delle regole del gioco della politica quando è ora di contarsi.
Capisco anche che e quanto un'uscita da un movimento sia una ferita sia per chi se ne va sia per chi resta. Lo sto vivendo di persona, anche se sono meccanismi di cui ero stato in altri momenti spettatore.
Per cui il momento contingente va preso per quello che è, sapendo che certi eccessi vanno serenamente sopportati e bisognerebbe avere sempre avere un minimo d'intelligenza per mantenere rapporti civili e urbani. Chi usa toni offensivi o ti guarda in cagnesco andrebbe preso a calci nel sedere.
Ma c'è un "però" e non è per niente una cosa brutta. Conosco il sentimento: si chiama passione. Ho già provato lo stato d'animo: è l'entusiasmo.
In questi giorni, con i compagni d'avventura meno giovani, rievochiamo spesso momenti fantastici di gioia e di partecipazione, cui negli anni appena trascorsi si è sostituito un grigiore tristissimo. La mancanza di dialogo e un clima greve di imposizioni, sospetti e menzogne sono un mix che spegne coscienze e speranze. Un brutto gioco di cui alla fine si diventa tutti vittime e la collaborazione rischia di diventare collaborazionismo. Anche quando - intendiamoci - non si è venduta l'anima al diavolo e ci si sente sereni della propria onestà.
E dunque quando si volta pagina, anche con una discontinuità difficile, si respira a pieni polmoni. E poi, per combinazione, ci si trova all'inizio di una campagna elettorale - con la leggerezza di non essere candidati - ma con la logica di un déjà vu in campagne elettorali passate, difficili come queste politiche, pur in un contesto diverso.
E trovi un gruppo pieno di voglia di fare con tanti giovani che ti trasmettono, come delle pile, la loro energia e la freschezza delle loro idee. Così ti ricarichi e rivedi il mondo a colori e ritrovi valori e idee che sono sempre stati i tuoi.
Non c'e accusa di tradimento o di essere irriconoscenti che mi tocchi. È un gioco al massacro che non mi colpisce. Ho la coscienza a posto e sto bene con me stesso. Anzi in questo clima nascente sto benissimo.

Avanti e indietro nella Storia

L'interno della mitica 'DeLorean' che 'viaggiava' nel tempoTra un mese, come questa mattina, i giornali riporteranno i commenti del giorno dopo sui risultati delle elezioni politiche. A tutt'oggi - mi riferisco alla situazione italiana e guardando i sondaggi - mi pare che ci sia ancora una situazione piuttosto incerta sull'esito delle urne a causa soprattutto della pessima legge elettorale, che non è stata modificata - vogliamo dire la verità? - perché al sistema partitocratico italiano, compresa una buona parte dei "nuovisti", andava benissimo che la scelta degli eletti non fosse fatta dai cittadini ma dai partiti stessi. Un sistema grottesco e le stesse primarie che qualcuno ha fatto sono poi state indicazioni spesso disattese fra eccezioni, paracadutati e ripescati. O si torna a collegi uninominali, come in buona parte era il "Mattarellum" e come da sempre si vota in Valle d'Aosta per le politiche in Valle d'Aosta, oppure i cittadini conteranno sempre poco.
Sarei comunque lieto se qualcuno potesse fornirmi un'autovettura come quella della serie dei film "Ritorno al futuro" per guardare l'esito finale. Poi - se avessi sotto mano la vettura che viaggia nel buco temporale - andrei a vedere l'esito delle elezioni regionali, fissando la data al 27 maggio 2013. Poi sarebbe bene che mi togliessero la macchina dalle mani, perché altrimenti andrei avanti indietro a fisarmonica a vedere varie date in cui ci sono stati avvenimenti storici a cui mi sarebbe piaciuto assistere e sarebbe altrettanto interessante vedere cosa avviene dopo di noi!
La Storia e gli avvenimenti topici, che per fortuna sono raramente coincidenti con la data delle elezioni, sono difficili da capire nel momento in cui li si vive. Ex post andiamo tutti fortissimo, perché, a fatti avvenuti e già ben noti, si possono montare e rimontare e creare reti varie sui rapporti causa - effetto, sul momento - nel presente - è tutto più difficile. Più volte l'ho scritto di quanto abbia ammirato il coraggio di chi ha assunto decisioni difficili in tempi incerti. In Valle d'Aosta andrebbe scolpito nella roccia il coraggio di chi partecipò alla "Jeune Vallée d'Aoste" o di chi aderì, anni dopo, alla Resistenza proprio perché all'epoca non si sapevo come sarebbe finita la partita contro la dittatura fascista e il regime nazista. Varrebbe la pena di ricordarlo quando una parte della destra estrema oggi aderisce a un progetto autonomista: roba da non crederci, degna - se ci si può scherzare sopra senza avere il voltastomaco - dello "strano ma vero" della "Settimana Enigmistica".
Facendoci seri, Antonio Gramsci scriveva: «L'illusione è la gramigna più tenace della coscienza collettiva: la storia insegna, ma non ha scolari». Parole che oggi suonano come un ammonimento contro tutti i totalitarismi, ma Gramsci - come si sa - morì nel 1937 e quindi visse solo un pezzo del "secolo breve".
Ma quelle parole suonano come un ammonimento anche contro i sistemi costruiti da persone autoritarie, che si circondano di "comitati d'affari" e, profittando della penetrabilità dei meccanismi democratici, occupano il potere.
A questo bisogna ribellarsi, perché anche piccole dosi di veleno quotidiano possono fare male.

Tenere salda la memoria

Mio papà Sandro quando venne internatoOggi è la "Giornata della Memoria" e io la coltivo. Sulle tracce di una parte della dolorosa prigionia del nonno Sandro, durata dal settembre 1943 al maggio 1945, ho già portato, anni fa e separatamente per stare loro vicino come "guida", i miei figli grandi ad Auschwitz-Birkenau, oggi Polonia e allora territorio annesso al Reich.
Se il destino me lo consentirà, fra una dozzina d'anni, come già è avvenuto per Laurent ed Eugénie, porterò lì in visita anche Alexis. Ritengo che per un ragazzino sia una vaccinazione a favore della democrazia e non è un caso se da Presidente organizzai viaggi di scolaresche di giovani in quei luoghi tetri e purtroppo esemplari di una delle pagine più atroci della storia contemporanea.
Quei luoghi, terribili e evocatori, sono impregnati dell'orrore dell'Olocausto e ogni libro nuovo che leggo sulla Shoah aggiunge elementi di riflessione per capire l'incomprensibile: come il popolo tedesco consentì, addirittura con l'uso del voto, al nazismo di Adolf Hitler di dispiegare un progetto folle di supremazia mondiale, di cui lo sterminio degli ebrei era parte integrante. Studiare come avvenne la pianificazione e lo svolgimento di questo progetto delirante e orribile accende un faro sulla natura umana, capace di far diventare routine il più terribile dei comportamenti.
Vorrei dire che cosa resti in me di quei luoghi, come evocato dai racconti di vita vissuta di mio padre e anche in un piccolo diario che ho depositato negli archivi dell'Istituto storico per la Resistenza. Rimane lo sconcerto di una gigantesca macchina per uccidere: dai treni in arrivo venivano già scartati quelli inidonei al lavoro e finivano subito nelle camere a gas, tutti spogliati e rasati e infilati nelle loro divise di detenzione diventavano un numero a un certo punto tatuato su di loro, in varia misura - affamati, maltrattati e terrorizzati - dovevano perdere la dignità di esseri umani per poi finire nel ciclo industriale della morte. Prima gassati e poi bruciati nei fornì e in mezzo ci stanno quelle vetrine che si trovano ad Auschwitz: i capelli che servivano per diverse produzioni, gli occhiali e i giocattoli riutilizzati per la popolazione civile, le protesi delle persone disabili e via di questo passo. Sappiamo che sui cadaveri venivano persino rimosse le protesi dentarie in oro.
Tutta una destra estrema ha coltivato la tesi del negazionismo, fino a dire che l'Olocausto non è mai esistito, e mio padre, deportato assieme ad altre decine di soldati valdostani, ne soffriva: un prete polacco da un collinetta sulla Vistola, da cui si vedeva il campo, pochi giorni dopo l'arrivo, gli spiegò che quelli con la divise a strisce - che loro chiamavano la "Juventus" per ridere - venivano eliminati ed erano il fumo che usciva dai camini del campo.
Così, molto privatamente, per me il "Giorno della Memoria" serve a ricordare Sandrino, mio papà poco più che ragazzo che la Storia scagliò lassù. Al ritorno disse a mio nonno che avrebbe lasciato Giurisprudenza, dopo aver visto con i suoi occhi che il Diritto era un'invenzione. Non c'erano soldi per Medicina e scelse Veterinaria. «Meglio gli animali che gli uomini», commentava ogni tanto e sapeva bene il perché.

L'UVP in pista

Il sottoscritto mentre presenta la candidatura alla Camera di Laurent ViérinNasce ufficialmente l'Union Valdôtaine Progressiste, dopo alcune settimane di incubazione.
Il caso vuole che l'approvazione dello Statuto e la scelta della Presidente - un volto nuovo, Alessia Favre, che svolgerà gratuitamente il suo ruolo e non si candiderà alle regionali - sia stata in contemporanea con il lancio della candidatura di Laurent Viérin per la Camera dei Deputati.
In un clima vivace e partecipativo, il lungo pomeriggio ad Aymavilles ha dimostrato l'impronta di novità che il Movimento impone nella politica valdostana. Certo è l'inizio di un cammino in un clima non facile nella cappa antidemocratica che, malgrado tanti bla bla e dichiarazioni propagandistiche, è calata sulla Regione e lo dico con mestizia ma con la serenità di chi ha deciso di reagire.
Intanto vi propongo il mio intervento di ieri.

I sermoni alla Savonarola

Le 'Iene' Filippo Roma il 'moralizzatore' ed Andrea Agresti il 'supermenestrello'L'attività politica, piena di difetti e che - come sui pacchetti di sigarette "nuoce gravemente alla salute" - ha qualche pregio, come quello di accentuare, nella frequentazione di molta e varia umanità, lo spirito d'osservazione.
Girolamo Savonarola, predicatore del Quattrocento, morto sul rogo, è rimasto proverbiale come la figura plastica del moralista che fa la lezione agli altri, animato da un fuoco sacro che incute pure un pizzico di timore.
Anche la politica valdostana ha i suoi "Savonarola". Ne ho visti passare tanti e sono insopportabili non per un fatto personale - ci mancherebbe, anch'io sono pieno di difetti - ma perché passano il tempo ad esaltare la propria figura in eccessi narcisistici contro "gli altri". Loro capiscono i poveri, sono solidali con quelli in difficoltà, sono imbevuti di sociale, hanno il Welfare che scorre nelle vene e se bevono un caffè dev'essere equo e solidale. In poche parole: sono i primi della classe e tutti gli altri sono da mettere nel banco in fondo con il cappello da asino. Aspirano al Consiglio Valle e quando lo raggiungono talvolta scambiano la dialettica democratica con i sermoni. In fondo un po' li invidio, roso come sono da mille dubbi e dalle mie inadeguatezze, mentre loro sono come crociati votati - se non hanno in contemporanea un impegno per una marcia o una petizione - al martirio.
In questo esiste la particolare figura, che ho incontrato molte volte, del "cattocomunista": insomma due Chiese in un colpo solo e compatibilità non molto chiara, perché almeno per ragioni storiche stridono come se la parola composta fosse un ossimoro.
Non che una parte della sinistra e cattolicesimo non possano avere fra di loro un ponte, come dimostrato in tempi lontani - era il 1961 - in un pamphlet di mio zio Sevérin Caveri, all'epoca deputato valdostano a Roma, intitolato "Christianisme et socialisme". Ma il comunismo è altra storia e chi lo evoca in modo diretto o in modo sornione oggi deve fare i conti con l'esito della storia e l'infrangersi, una ad una, delle speranze che l'utopia alla fine si realizzasse in qualche modo e da qualche parte. Invece la radice totalitaria sovrasta e annulla il bagaglio di speranze, come i federalisti hanno ben capito, professando una naturale repulsione verso ogni forma totalitaria, senza troppi e tattici distinguo e soprattutto senza fare i predicatori con annessa lezioncina morale.

Su Mussolini e il fascismo

In senso astratto una frase del genere «Benito Mussolini fece anche cose buone» potrebbe anche non sconvolgere, visto che i tempi della Storia raffreddano le circostanze.
Ma bisogna vedere chi e in quali momenti una frase del genere sia stata pronunciata.
Se lo si fa in una discussione a tavola fra amici, allora la battuta - nella dialettica di una discussione ad alta voce - non mi scandalizzerebbe. Mille volte mi sono trovato con amici di estrema destra, perché l'amicizia non ha colori, che mi hanno attaccato la solfa del "Mussolini buono".
Ogni volta, per quel che potevo fare, smontavo il loro giocattolo e la questione restava fra di noi.

La "Foire" alle porte

Via Sant'Anselmo pronta per la 1013^ FoireChe la "Sant'Orso", da domani sulla scena, sia benvenuta e che ognuno ne approfitti come preferisce. La Fiera millenaria - questo è il label che offre il senso della profondità storica - suona come un classico di stagione: un "punto a capo" classico nella vita di un valdostano medio. Non so dire a questo proposito quale sia l'appeal verso i giovani, che pure godono ormai di giorni di vacanza da scuola.
Ognuno ha le sue preferenze. Io vi dico le mie in vista della due giorni che inizia domani. A me piace il momento dell'inaugurazione - che io feci arretrare al 30 perché era illogico farlo il 31, quando ormai la Fiera era in discesa, dopo la notte della Veillà - che si svolge a ridosso dell'antiche Porta Prætoria, una miniera d'oro per recenti scoperte archeologiche. Il Vescovo della Diocesi benedice la "Foire" ed i Vigili urbani di Aosta pongono su via Sant'Anselmo la vecchia bandiera che sancisce il "via".
Poi mi piacciono le prime ore, quando - specie quando non c'è di mezzo un sabato o una domenica - si può respirare, mentre poi nel "pigia pigia" mi piglia una vaga agorafobia. Anche perché diventa una specie di flusso irregimentato, che non ti consente nessun vero e proprio movimento.
Sulla "Veillà" confesso esperienze assai diverse: serate memorabili in una logica, sempre più complessa, di nomadismo o nottate simpatiche, in modo statico, nella cantina giusta o anche serate più mosce in giro o nella crotta sbagliata.
Gli espositori: al centro trovi i "big" dell'artigianato-artistico, definizione nata come se artigianato da solo fosse quasi un limite, cui aggiungere "arte" come rafforzativo. Penso che sia stata una preoccupazione d'impreziosire alla fine piuttosto infondata, visto che l'etimologia della parola - dal latino "ars" - è già la stessa! Ma non bisogna essere snob: nella parte più periferica della Fiera si trovano spesso delle autentiche chicche, che magari hanno poco a che fare con la tradizione più stretta e sancita dalle regole canoniche, ma anche il nuovo ci sta e segno che le cose si evolvono, come avvenuto da sempre.
Alla fine il bello della Fiera sta nel fatto che assomiglia ai "temi" che ci venivano assegnati alle medie. Dopo l'incipit, "Svolgimento", ognuno l'interpreta come vuole.

Quei comizi solo qui

Io insieme a Claudio Brédy ed a Laurent Viérin durante la presentazione della sua candidatura alla CameraI fatti sono fatti. Il famoso sistema elettorale vigente in Italia è noto come "porcellum" - definizione in latino maccheronico che viene da "porco" - proprio perché il suo autore considerava il meccanismo di voto una schifezza. Per la cronaca si tratta di quel Roberto Calderoli, esponente leghista, noto alle cronache per non essere proprio un "magister elegantiarum" per i suoi modi e comportamenti. Nella sua veste di ministro per la Semplificazione amministrativa - Ministero inutile come si evince dalla grottesca dizione - è stato considerato il principale referente dai big unionisti che firmarono con il sangue l'accordo con Silvio Berlusconi a Palazzo Grazioli (residenza privata del Berlusca, una delle sedi del "bunga bunga"), proprio perché il leghista bergamasco sarebbe dovuto essere un garante. Ma questo "statista" (definizione data del Calderoli da uno dei big che aveva le traveggole) non ha rispettato un bel niente e l'asse UV-PdL-Lega si è dimostrato per il nulla di fatto una "sola", come si dice a Roma, cioè una fregatura. Doveva essere una pioggia di denaro, ma la slot machine berlusconiana non ha funzionato.
Ma torniamo alla legge, che pure l'appena citato papà ha disconosciuto sin dalla nascita: si tratta - come ho scritto più volte - di un orrore che consente ai partiti di scegliere i propri candidati mettendoli in liste bloccate che non consentono nessuna scelta ai cittadini elettori. Così l'elezione o meno dipende dalle Segreterie dei partiti e non dalla volontà popolare che si trova a firmare una cambiale in bianco su chi sarà il parlamentare eletto nella zona dove deposita le schede elettorali nell'urna.
Ecco perché i comizi diventano, per i candidati, un'inutile optional: il piatto è già stato preconfezionato al momento della presentazione delle liste e ogni sforzo per emergere negli incontri pubblici non serve a nulla e l'ago della bilancia non sono i problemi di ciascun territorio ma l'esito delle esibizioni televisive dei leader che pesano sul risultato totale del partito e della coalizione. Insomma l'elettore non sceglie davvero chi lo rappresenterà: una legge elettorale che i costituzionalisti di tutto il mondo citano per quanto faccia schifo e chi l'ha scritta ride e la chiama lui stesso "porcellum".
Da noi, invece, il collegio uninominale anima il dibattito e mi fa piacere scrivere come, dai primi comizi del lungo elenco di incontri da qui alle elezioni del 24 e 25 febbraio, la risposta è positiva e l'interesse è palpabile per una sfida elettorale assai complessa e di cui è difficile prevedere gli esiti definitivi.
Una "mosca bianca" questa campagna elettorale valdostana che mantiene intatta la caratteristica di una competizione che consente agli elettori di scegliere e questo in Italia - dove i partiti sono i veri Re - non è per nulla banale.

Ciao, Europa

Io con l'amico e collega Sergio Soave in una delle riunioni del 'Comitato delle Regioni'Nella vita bisogna accettare i cambiamenti. Dopo circa tredici anni lascio le Istituzioni europee. Lo faccio per coerenza con la scelta "di rottura" che mi ha portato ad essere socio fondatore dell'Union Valdôtaine Progressiste.
Vista l'accusa di essere "poltronista" - in fondo leggera rispetto a certi insulti che si sono beccati altri - non sarò più al "Comitato delle Regioni" a Bruxelles, dov'ero dal 2003, dopo aver lasciato il Parlamento europeo, e dove ricoprivo da qualche tempo il ruolo di capo della delegazione italiana.
Questa mattina spiegherò il perché ai miei colleghi: dal 2008 ero stato indicato dalla Valle d'Aosta, candidatura confermata dalla "Conferenza dei Presidenti" e approvata dal Consiglio europeo. La nomina valeva sino al 2015 e lo stesso periodo riguardava anche il secondo incarico europeo, quello a Strasburgo nella "Camera delle Regioni" del Consiglio d'Europa: ma ora è serio che me ne vada non condividendo più la linea del Governo regionale e avendo esaurito la pazienza.
Certo che mi spiace, perché si chiude un lungo ciclo molto interessante e che mi ha consentito di imparare tante cose che non sapevo. Oggi posso dire di conoscere bene il diritto comunitario e i meandri di Bruxelles e, pur avendo un'attività meno intensa, lo stesso vale per quel perimetro molto più vasto rappresentato dal Consiglio d'Europa.
Ricordo ancora quel 2000, quando mi ritrovai - per la rinuncia al seggio di Massimo Cacciari e grazie all'apparentamento con i "Democratici" di Romano Prodi - a fare l'europarlamentare: un apprendistato di una materia nuova a contatto con colleghi di diversi Paesi in un ambiente cosmopolita straordinario. La Presidenza di una Commissione prestigiosa - Politica regionale, Trasporti e Turismo - consentì di seguire da una posizione di primo piano dossier di grande importanza. Dopo tanti anni a Roma era qualche cosa che mi consentiva di acquisire strumenti nuovi e di capire più a fondo determinati meccanismi.
Questo bagaglio, dal 2003 sino ad oggi, l'ho ulteriormente aumentato grazie a questa Camera di secondo piano che è il "Comitato delle Regioni": dove il sistema autonomistico europeo crea una possibilità di confronto che consente di capire ancor meglio la vastità di esperienza di democrazia locale quale espressione più genuina della sussidiarietà. La gigantesca Unione Europa confrontata alla prossimità dei diversi modi di concepire la democrazia regionale e quella comunale. Un'Europa ancora diversa da quella del Parlamento europeo, mentre il Consiglio d'Europa "sfora" ben oltre i ventisette "comunitari" e dà il senso pieno della politica internazionale in chiave parlamentare.
Spero che la nuova esperienza politica qui in Valle, con tante persone entusiaste, mi consentirà una cosa che mi è stata in parte impossibile nel recente passato, specie quando sono finito nel "libro nero" di quelli da colpire perché non "yes man", cioè quel trasferimento ad altri - specie ai giovani - delle cose imparate e viste in questi anni.
Ciao, Europa, ti continuerò a tenere nel mio cuore: un valdostano è credibile se mette assieme l'amore per il suo Pays con una dimensione europea che ci apra al confronto.

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