January 2013

"Meilleur et plus sage"

Una panoramica di ParigiLa vita è costruita attraverso dei fatti reali e non delle astrazioni. Ogni giorno ci sono delle scelte grandi o piccole da fare e le scelte influenzeranno - nel concatenamento fra causa e effetto - quel che capiterà dopo. Certo non c'è nessun meccanicismo, perché incombono sempre varianti infinite - belle o brutte - che incidono sul risultato finale.
Comunque sia, una strada bisogna pigliarla e dunque una decisione va presa. Chi si chiudesse in un eremo, nella speranza di non farlo, si troverà comunque a scegliere qualcosa, non fosse altro nella selva dei suoi pensieri.
Ci pensavo rispetto ai molti interrogativi che mio figlio Laurent si pone per la scelta che dovrà fare dopo la scuola superiore ed è quanto si proporrà fra un annetto. Una forca caudina mica da ridere ed è bene non far finta di niente.
Sulla Facoltà - fatti salvi gli ostacoli derivanti da dove c'è il numero chiuso - mio figlio oscilla fra diversi gradimenti e questo, come ho avuto modo di osservare, dovrebbe influenzare la scelta dell'Università. A meno che alla fine non incida la voglia di studiare qui in Valle e questo restringerebbe la possibilità di scelta. Variante peggiore è il fatto - ormai spada di Damocle su tutti - che poi, in modo piuttosto cieco, ci sia alla fine in Italia un giovane disoccupato su tre, ma questo è altro tema.
Ma - fossi in lui, ma lui è lui beninteso - io andrei in giro a studiare e non solo per quella meraviglia di "Erasmus" di recente salvata dai tagli europei. Allora mio figlio mi ha chiesto delle miei eventuali opzioni: io metterei per prima Parigi, poi Londra e magari Barcellona.
Ma andrebbe bene qualunque altra scelta. Resterei nel Vecchio Continente, ma conosco anche chi ha attraversato l'Oceano, studiando negli Stati Uniti.
Insomma: muoversi, se possibile. Non è detto che andare via per studiare significhi mai più tornare, anzi.
Sapendo che, con Michel de Montaigne: "Le gain de notre étude, c'est en être devenu meilleur et plus sage".

Nasce UVP

Nuova postazione in Consiglio ValleAlla fine si passa dalle riunioni sul territorio al Consiglio Valle: questo il destino del nuovo gruppo politico di cui sono uno - ormai uno dei tanti - fondatori.
Siamo in tre - Laurent Viérin, Andrea Rosset ed io - e forse avremmo potuto essere di più e un giorno si capirà perché così non è. Niente di nobile.
Ho partecipato, nella prima seduta dell'Assemblea del 2013, al dibattito che si è sviluppato direi in modo interessante, se non fosse che alcuni, pur legittimamente, hanno fatto più campagna elettorale che riflessioni politiche sul punto. Così è in politica e non me ne stupisco affatto.
Propongo qui il mio intervento.

Si scalda il dibattito sulla Rete

Una vignetta in tema trovata sul webEra comprensibile che attorno alla politica valdostana, che è fatta come dappertutto di antagonismi, si sviluppassero, in questo periodo piuttosto caldo e pure in odor di elezioni, atteggiamenti non proprio "urbani" e emergessero anche chiassose tifoserie. L'amplificazione è dovuta ai "social media" che offrono un vasto palcoscenico a certi che prima si limitavano a sentenziare appoggiati al bancone da bar o ad un biliardo nel fuggi fuggi degli avventori.
Chi gestisce un blog da una dozzina d'anni sa che esistono i maleducati e gli stupidi, perché ci ha convissuto nelle epoche pionieristiche, quando il Web era ancora pieno di paranoici in libertà. Neppure formule "soft" di registrazione, come quella qui prevista, inibiscono a qualche "solito noto", ogni tanto, di lasciare un graffito insultante. In genere, se visitatori abitudinari, qualunque travestimento si inventino, mi piacerebbe chiamarli al telefono per dire loro: «guarda, minchione, che so bene che sei tu!». Ma mi piace che si sentano aggressivi e vincenti come dei "Diabolik" in calzamaglia.
Su "Twitter", invece, la tipologia si divide in due grandi famiglie. Ci sono i fans dei tuoi competitori politici che ti insultano, come farebbe un hooligan sbronzo di birra, non solo per il gusto di farlo, ma per far vedere al Capo - che i "tweet" manco li legge - quanto sono cattivi ed efficaci. Ci sono poi, in parte sottoinsieme della categoria precedente, gli anonimi che, con "nickname" ammiccanti, ti picchiano duro forti della maschera che nasconde il loro volto con il medesimi coraggio di chi scrive insulti nelle pareti dei gabinetti pubblici.
Dunque i dialoghi su Internet dimostrano la grande ricchezza dello strumento, se usato con cognizione di causa, educazione e con il coraggio di affrontare le persone senza mediazioni. Mentre dall'altra ci possono essere miserie e bassezze che pian piano verranno superate da regole e prassi che evitino certi aspetti da saloon del Far West che nulla hanno a che fare con la sacrosanta libertà d'espressione.

I vantaggi del soliloquio

Carlo Perrin ed Augusto Rollandin nel 2006Vien da sorridere a pensare che il sottoscritto sia il "mostro" che cacciò - tutto solo - Carlo Perrin dall'Union Valdôtaine. Così disse Augusto ieri sera al "Conseil Fédéral": il Capo, ferito, attacca su questo e su altro. Lo fa ormai senza il rischio del contraddittorio, perché pian pianino gli sono rimasti a fianco solo i fedelissimi e parlare senza qualcuno che ti ricordi i fatti come si sono svolti davvero è piuttosto facile. Avrebbe potuto dire cose analoghe in Consiglio Valle, due giorni fa, ma qualcuno si sarebbe alzato per smentirlo e si sa che il dibattito non gli piace perché mostra da sempre come la corazza non sia così impenetrabile e che spunti talvolta la lacrima facile.
Ma l'oblio dei fatti è una brutta storia e meriterà un giorno un bel lavoro organico per dargli una rinfrescatina. D'altra parte contare sulla scarsa memoria dell'opinione pubblica e sulla protervia come metodo di confronto fa parte del carattere dell'uomo prima ancora che del politico.
Augusto Rollandin nel 2003 non mi volle Presidente e neppure voleva che io fossi in Giunta, malgrado fossi stato il più votato. Poi, anni dopo, accettò un accordo per un cambio di Presidenza: per fortuna a certi incontri non ero solo, per cui è difficile modificare la realtà.
Ora la mia "colpevolezza", quando lui "manovrava" la maggioranza degli eletti in quella Legislatura, è una storia scritta da solo con unico scopo: sgravarsi di ogni responsabilità in certi passaggi. Anzi qualcuno potrà confermare che a voler mettere al l'angolo Perrin senza vie d'uscita onorevoli fu proprio lui - nella sua logica "usa e getta" delle persone - per poi uscire personalmente sconfitto alle politiche nel 2006 in un drammatico scontro personale in cui fu proprio Perrin a diventare Senatore. E per ottenere "Cva" dal Presidente di allora, che è chi vi scrive, fu molto, molto gentile: nulla a che fare con il rinnovato capopopolo che ora ricostruisce la storia "Cicero pro domo sua". Aggiungerei che al Conseil di ieri la verità la sanno in parecchi ma tacciono per convenienza o paura. Nel "dopo Rollandin" parleranno anche loro, come fecero già in molti quando Rollandin cadde malamente.
Sapete cosa penso? Che un leader normalmente non fa così, anche quando la bugia è ormai diventata il suo motto preferito. Non so quanto ancora durerà il suo "regno", ma ho l'impressione che si accorga - proprio con la nascita dell'UVP - che il pubblico attorno al "ring" si accorge che il pugile non è più lo stesso che assestava un tempo "k.o." micidiali.
Tutto porta a dire che la musica sta cambiando e chi lo conosce - come me - da molti anni si accorge che questo cambio di scenario lo scuote in profondità e lo preoccupa perché, prima della pensione che verrà, deve ancora risolvere una serie di questioni nell'intricata matassa di vicende in cui si trova.

Un esercito europeo

Un sommergibile della Marina italianaNon ho fatto il militare - per via di un ginocchio all'epoca infortunato di fresco - ma ho sempre guardato alle Forze Armate con curiosità. Alimentato in questo da due interessi: il primo, sotto il profilo storico, per le guerre di tutte le epoche con predilezione, nel presente, per le testimonianze scritte o meglio di persona - cosa sempre più rara per la seconda guerra mondiale - degli ex combattenti; il secondo: un lavoro parlamentare, a suo tempo a favore degli Alpini, specialità dell'Esercito legata da un antico sodalizio con la Valle d'Aosta.
Poi, ovviamente, seguo le notizie e di tanto in tanto mi colpiscono, come penso tutti, i costi folli degli armamenti. In questi giorni i riflettori sono puntati su due sommergibili che costano carissimi, mesi fa l'attenzione era per una commessa miliardaria di cacciabombardieri. Poi leggi del numero dei Generali in Italia e ti monta egualmente la carogna.
In quest'epoca di vacche magre, resto convinto che gli Stati, in questo Vecchio Continente, dovrebbero su questo dare un segnale. Non ci vuole un pallottoliere per capire che, almeno come economie di scala di fronte a centinaia di miliardi di euro come somma delle spese dei 27 membri dell'Unione europea, immaginarsi delle Forze Armate a livello europeo non sarebbe un'idea peregrina.
Se ne parlò già negli anni Cinquanta con la "Comunità Europea di Difesa", che purtroppo fallì e da allora ci si balocca periodicamente con l'idea di un esercito europeo e i passi fatti sono stati infinitesimali.
Peccato perché penso che ogni Paese europeo potrebbe dare il meglio delle proprie truppe. In questo caso come non pensare proprio agli Alpini. Magari trovando incentivi per avere di nuovo quei montanari di fatto perduti con la fine della leva obbligatoria e con l'esercito professionale che spesso è scelto per necessità e non per vocazione. Bisogna però trovare meccanismi di maggior stanzialità nella residenza - se lo desidera - per chi vuole far carriera.
Ormai l'Europa ha, più che un impiego militare al proprio interno, una presenza importante sui teatri di guerra in tutto il mondo e gli ultimi anni mostrano una cosa ben nota. Molti degli scenari bellici sono in zone montane e dunque bisogna sapersi muovere con la necessaria conoscenza delle caratteristiche ricorrenti dei territori montani. E questo sta già dando un ruolo importante agli Alpini e lo darebbe anche nel quadro di un esercito europeo.

L'émigration à Paris et dans le monde

Il sito dell'Union Valdôtaine de ParisSono stato all'Arbre de Noël dell'émigration valdôtaine e lo faccio ormai da ormai venticinque anni. Ad ospitare le diverse comunità valdostane francesi in un teatro della banlieu parisienne è l'antica "Union Valdôtaine de Paris", che nulla ha a che fare con il partito politico, essendo ben precedente e nata come "société mutuelle". Una rete solidaristica e assicurativa per la grande e un tempo coesa comunità valdostana nella Capitale francese.
Nel sito dell'Union Valdôtaine de Paris si racconta così la lunga storia: "Lors de la sortie du Bulletin numéro 2 de l'Union Valdôtaine et Mont Cervin réunies, un historique signé Frédéric Saluard remettait en mémoire les buts de ces sociétés ainsi que l’origine de leur création. C'est le 3 juin 1897 que l'Union Valdôtaine de Paris (UVP) a vu le jour et fut approuvée par la Préfecture de Police le 29 septembre 1897 sous le n° 1.140 et ensuite par le ministère de l'Intérieur le 7 mai 1903. A l'époque, les Valdôtains de Paris étaient déjà rassemblés sous la forme d’une société d’amusements qui avait pour nom "I Buontemponi", dont les buts consistaient en des sorties champêtres, des bals, des soirées récréatives. Pantaléon Luboz en était le président. Mais tout en s'amusant, ces gens de cœur voyaient la maladie et peu à peu la misère s'installer dans les foyers amis. C'est ce qui fit germer en eux l'idée de la mutualité afin de leurs venir en aide. Une organisation se mit en place. Chaque sociétaire malade, mais surtout devant arrêter son travail, recevait la visite d'un sociétaire qui remplissait un document attestant la situation et aussitôt une contribution lui était allouée. Au cours de la phase d'industrialisation du XIXe siècle, vont se développer, non sans débats et hésitations, les sociétés de secours mutuels (succédant aux corporations de l'Ancien Régime abolies en 1791, fondées sur la prévoyance collective volontaire et limitées à quelques activités ou entreprises, reconnues légalement en 1835, qui obtiendront une entière liberté de création et les encouragements des pouvoirs publics par le loi du 1er avril 1898) et un système d’aide sociale (subordonnée à condition de ressources de l'individu ou de sa famille qui perdure encore aujourd'hui et dont les prestations, en nature ou en espèces, sont récupérables sur les débiteurs alimentaires et les successions ou les revenus de l'assisté revenu à meilleure fortune). Les mutuelles, basées sur le volontariat, et l'aide sociale, droit à appréciation subjective et spécialisée, n'ont bénéficié qu'à une frange limitée de la population. Aussi dès le début du XXe siècle, apparaissent des tentatives en faveur de l'assurance obligatoire de certains risques sociaux. Le rôle de l'Union Valdôtaine de Paris a été prépondérant durant plusieurs décennies par l'aide apportée aux foyers de travailleurs valdôtains ou encore en récompensant les enfants lors de l'obtention d'une distinction scolaire. Cette entraide bénéficia aussi aux Valdôtains restés au Pays lors de catastrophes climatiques ainsi qu'aux écoles par la fourniture de livres. Suite aux ordonnances des 4 et 19 octobre 1945 qui instituèrent le système de sécurité sociale en France et assurèrent la reconnaissance du rôle complémentaire des mutuelles, les membres de l'UVP, employeurs ou employés se tournèrent par obligation vers ces nouvelles formules complémentaires à la sécurité sociale sans pour autant quitter l'UVP. Bien que, de ce fait, le rôle de cette dernière se trouva diminué, elle poursuivit des actions à caractère social et, lors de catastrophes naturelles au Pays, elle a maintenu sa tradition de solidarité financière. Modestement, l'UVP alloue encore chaque année une contribution à des organismes comme le "Secours Populaire" ou les "Restos du Cœur". Elle est membre de La "Mutualité Française" et de la "Presse Mutualiste". Enfin, elle perpétue les valeurs que ses aînés ont léguées et qui figure sur son Bulletin trimestriel: mutualisme et régionalisme".
Ora, pian piano, questa presenza parigina si sta spegnendo e questo comporta, anno dopo anno, un contrarsi delle partecipazioni per un progressivo invecchiamento per la scomparsa dei soci, cui non sopravvengono più figli e nipoti "francesizzati".
Ma il fatto che il sito parigino sia visitato al sessanta per cento da persone residenti negli Stati Uniti è assai illuminante di come tantissime persone di origine valdostana, disperse negli States, cerchino le loro radici in buona parte perdute. E lo stesso potrebbe anche valere per i tanti valdostani in Francia senza più consapevolezza, ma anche per gli eredi dei valdostani emigrati in Canada e Argentina.
Una sorta di diaspora di cui qualcuno dovrebbe riprendere il filo per dipanare la matassa.

Il mio amico liberale

Guido Crosetto, Giorgia Meloni ed Ignazio La RussaIncontro un amico che da tempo immemorabile si dichiara, direi con un certo vezzo, "liberale". Parola quasi scomparsa - nella sua dizione solitaria - e semmai di moda nella versione anglofona, ben diversa, che è "liberal", o nella definizione più lunga e complessa di "liberaldemocratico" o di "liberalsocialista".
Insomma: un galantuomo moderato, imprenditore da sempre, mai avvezzo a svolazzi retorici e saldamente coi piedi per terra. Mi dice, stupendomi: «Bene! I nostri predecessori si sono sacrificati per sbattere via dalla Valle nazisti e fascisti e poi alcuni di loro ce li siamo ritrovati compagni di governo anche in Valle d'Aosta».
Considerazione secca, di quelle che non consentono i distinguo che si potrebbero pure fare, per correttezza, fra neofascisti di un tempo e conservatori di destra attuali.
Quel che conta è la sostanza di uno stato d'animo e un'"impronta storica" sulla Valle d'Aosta che non si può cancellare nella logica di quanto sia trascorso da allora ad oggi. E' importante ricordarlo oggi, quando l'autonomismo valdostano che ha lì una parte delle sue radici diventa un prêt-à-porter indossato anche da chi viene da esperienze incompatibili. Ma, per fortuna, l'abito non fa il monaco e certe conversioni suonano come sospette.
Certo il quadro è complesso in uno sparigliamento della Destra: Silvio Berlusconi è e resta il Popolo della Libertà e la Lega, nel seguire "il pifferaio magico", dimostra quanto il suo federalismo sia solo verbale; Gianfranco Fini, da leader missino diventa partner centrista di Mario Monti e il suo democristianesimo liberista, più a destra si posiziona, infine, il trio tricolore La Russa-Meloni-Crosetto e cosa c'entri in questo quadro il parlamentare cuneese è un mistero. Lascio perdere i vari ed eventuali.
Semmai incuriosisce l'attesa per il soggetto autonomista di destra, annunciato in Valle dai leader pidiellini locali per una caratterizzazione regionalistica del berlusconismo in salsa valdostana, viatico - immagino - per un accordo elettorale per le regionali con l'Union Valdôtaine. Per questo l'attuale "desistenza" alle politiche è l'ennesimo agreement verso Augusto Rollandin, "sdoganatore" di Berlusconi in Valle e creatore di quella "cabina di regia" antistatutaria e dunque incostituzionale.
A me l'ammonimento dell'amico liberale convince e dimostra che chi critica l'autonomismo che scivola a destra non è "in odor di comunismo" (la "patacca" che Berlusconi vende dall'inizio degli Novanta, come scriveva ieri Eugenio Scalfari), ma è solo rispettoso di un'identità politica che non è in saldo e di conseguenza non è - in un ambiente in cui vige la regola "ognuno è comprabile" e lo si è anche visto in singoli casi - una questione di prezzo e dunque di "consigli per gli acquisti".

Le dimissioni di Louvin

Robert Louvin in Consiglio ValleLe dimissioni sono sempre e anzitutto un fatto personale e spetta a chi le ha date - se vuole - spiegarne le ragioni. Così è anche per la scelta di Robert Louvin di lasciare il Consiglio Valle. Trovo insopportabile chi si fa interprete del pensiero altrui e spiega in queste ore la nobiltà del gesto, specie quando questo serve per sparare nel sedere ad altri. In italiano di chiama "strumentalizzazione" e non è un granché per chi la adoperi.
Conosco Robert da una vita, le nostre vite, visto che è un po' più giovane di me e ci incrociammo ai tempi della scuola, dei primi vagiti in politica e poi negli anni successivi, quando eravamo due "cavallini di razza" nello scenario locale. In fondo siamo invecchiati ognuno con la sua storia istituzionale e professionale e - facendo le corna - credo che siamo ancora piuttosto giovani per dovere fare i reduci e vivere di soli ricordi. Specie quando in Italia e in Valle d'Aosta sono i sessantenni e i settantenni a cavalcare il rinnovamento, come dimostrato dall'ultima star del firmamento politico italiano, Mario Monti.
Louvin ha vissuto due vite parallele: la carriera politica con molti successi e qualche amarezza e quella forense e accademica, che lo ha portato a dar lustro alla Valle d'Aosta nel campo - così utile per noi - del diritto costituzionale. In passato - e me ne dolgo - l'ho un po' sfottuto sulla sede universitaria di Cosenza, dove insegna, ma mi ha sempre reso, con la sua oratoria fuori dal comune, pan per focaccia. Ma incrociare dialetticamente le spade è sempre stato un piacere e sono certo che le occasioni non finiranno qui, qualunque sarà il luogo del nostro futuro conversare.
Comunque la si pensi e la si veda, resta chiaro che la qualità personale e lo spessore culturale in politica non possono essere considerate un optional di cui si può fare a meno in un'ipocrita logica popolaresca che non dovrebbe operare distinzioni nel nome di un egualitarismo che è la versione farlocca dell'eguaglianza.
Invece ci sono, eccome! E risulterebbe più snob chi facesse finta di niente, come se il politico non fosse un mestiere, pur temporaneo, che prevede competenze e conoscenze.

L'invasione delle cicche

Un portacenere pieno di mozziconiDieci anni fa, quando entrò in vigore - differita del periodo necessario per permettere l'adeguamento - la cosiddetta "legge Sirchia" nessuno avrebbe scommesso un bottone su di una buona applicazione in Italia. Il provvedimento, dopo anni di discussioni sul tema, sanciva il divieto di fumo in bar, ristoranti, uffici e tutti gli altri luoghi aperti al pubblico.
Ricordo - con il giubilo del non fumatore che aveva respirato fumo suo malgrado - le discussioni anche qui in Valle, specie da parte di chi riteneva che ci sarebbe stato una chiusura dei bar di paese per il crollo di frequentazione dei fumatori incalliti. Ed invece anche da noi il tabagista esce dai locali pubblici e si fuma la sua sigaretta (non apro qui la polemica sul fumo libero nei déhors estivi perché l'ho già fatta e mi incarognisce).
Ho trovato dati vecchiotti sul fumo in Valle, così riassunti: Nel 2008 in Valle la percentuale di fumatori era scesa al 17,4 per cento della popolazione regionale "over 14", contro una media nazionale del 22,2 per cento. La maggior parte dei valdostani, il 55 per cento della popolazione è costituito da non fumatori (in Italia sono il 52,9 per cento). Gli ex fumatori hanno raggiunto quota 25,7 per cento (22,9 per cento valore italiano).
A sensazione aggiungerei che, malgrado i divieti, le scritte sempre più terroristiche sulle sigarette, il costo a pacchetto e le campagne salutiste, il "fumo" ha tenuto abbastanza e notiamo tutti - quando si fanno cene con amici - che le donne, che si alzano ed escono all'aperto, sono ormai diventate le fumatrici più accanite.
Credo che oggi andrebbe avviata, specie in una realtà turistica come la nostra, una campagna di "moral suasion" contro un'abitudine generalizzata di una buona parte dei fumatori. Spengono la loro sigaretta, ridotta ormai nel mozzicone, per terra anche nei luoghi più belli, storici o incontaminati. Oggi date un'occhiata in giro: si tratta di un'autentica invasione delle cicche.
Tempo fa a Roma si è fatto un apposito incontro. Dalla breve sintesi del problema giudicate voi: "Accendere una sigaretta significa immettere in ambiente più di quattromila sostanze chimiche ad azione irritante, nociva, tossica, mutagena e cancerogena. Una parte di queste sostanze chimiche resta nel filtro e va a contaminare quella parte di sigaretta non fumata che comunemente chiamiamo cicca o mozzicone. Nelle cicche, quindi, è possibile trovare moltissimi inquinanti: nicotina, benzene, gas tossici quali ammoniaca e acido cianidrico, composti radioattivi come polonio-210, e acetato di cellulosa, la materia plastica di cui è costituito il filtro".
Insomma, una vera schifezza.

La cucina tracima in televisione

La squadra rossa e la squadra blu in gara a 'Masterchef'Confesso le mie colpe: guardo "MasterChef" su "Sky".
Capisco la futilità della scelta di seguire questo "talent show" fra aspiranti chef, vittime di prove di cucina e di angherie varie di tre famosi cuochi Bruno Barbieri, Carlo Cracco e Joe Bastianich. Sono loro i giudici assoluti e arroganti, che sovrintendono un sistema a eliminazione piuttosto sadico e per questo avvincente, che andò in onda per la prima volta sulla "Bbc" nel 1990 e che ha avuto da allora versioni nazionali in molti Paesi del mondo. Forse la chiave del successo è che, fra pentole e piatti da ristorante stellato, si susseguono emozioni e colpi di scena che animano la trasmissione e spingono a seguire l'intera serie sino al vincitore finale.
Questo filone televisivo di cuochi, ricette e manicaretti sta diventando inesauribile e la circostanza un po' stupisce in una società dalla "pancia piena", specie perché ogni rete s'inventa i programmi più fantasiosi con ingredienti piuttosto analoghi. Ci sono cuochi, ci sono concorrenti, si incrociano sfide o semplicemente si presentano piatti e l'inflazione della scelta che talvolta cade nel ridicolo, quando vedi spadellare pure nella programmazione del primo mattino. Non hai ancora bevuto il caffè e sullo schermo ti propongono le cozze gratinate.
Ma quel che colpisce è: perché?
Siamo, come detto una società opulenta che nel cibo spende e spande e ormai la cucina si insinua in tutte le trasmissioni in "palinsesto", una parola colta, che indicava le successive riscrittura sulla stessa pergamena, che gli addetti ai lavori in televisione usano per indicare la "griglia" dei programmi con giorni e ora della loro messa in onda.
Io penso che questo boom del culinario, nelle sue diverse possibilità espressive, mostra due aspetti: il primo è che il cibo catodico distrae dal resto e dunque rassicura e fa ascolto, il secondo è la scarsa fantasia degli autori televisivi che finiscono per scopiazzarsi l'un l'altro e sfruttare ogni filone che sembra avere il gradimento del pubblico.
Non oso pensare quando l'evoluzione tecnologica riprodurrà pure gli odori e i profumi anche attraverso la televisione...

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