Sono passati dieci anni da quell'"Anno internazionale delle Montagne", voluto dalle "Nazioni Unite", e all'epoca ebbi l’onore di presiedere il Comitato italiano attraverso un lungo lavoro preparatorio e poi ci furono mesi intensi e ricchi di manifestazioni che caratterizzarono l'intero 2002.
Tutto sommato una bella esperienza che mi permise ancora meglio di capire, nel fallimento di tutte le "Internazionali" di vario genere, di come l'"Internazionale della montagna" - o meglio, al plurale, "delle montagne" proprio per la ricchezza intrinseca nelle molte varianti - abbia un senso reale per un'affinità di fondo che attraversa le numerose popolazioni montane del mondo attraverso i differenti Continenti. Ovvio che esistono altimetrie varie, culture assai eterogenee, gradi di sviluppo diversificati, ma la montagna forgia delle identità che finiscono per avere - almeno è quanto ho avuto modo di verificare - delle assonanze straordinarie a fronte di tanti problemi concreti del tutto analoghi.
Quell'Anno internazionale, che cementò tante amicizie e la scoperta di una parte molte utile del lavoro della "FAO" (Organizzazione per l'alimentazione e l'agricoltura con sede a Roma) che fu capofila delle diverse iniziative, gemmò - a partire dal 2003 - una giornata internazionale, quest'anno dedicata alle foreste montane come radici del nostro futuro.
Un caso di scuola, in questo caso, di una grande differenza fra Nord e Sud del mondo, la prima vittima di un fenomeno di crescente sviluppo delle foreste per il contrarsi delle attività agricole tradizionali, la seconda vittima, invece, della deforestazione, spesso autentica rapina di una risorsa straordinaria. Nel caso valdostano, con alcune mostre e convegni per l'occasione, siamo appunto nel solco di un bosco che si espande sempre di più per la crisi crescente di quella che fu un tempo la prevalente civiltà rurale, che aveva, anche per ragioni di autosussistenza, un controllo della parte colturale vera e propria del bosco, compresa quella gestione collettiva di queste ricchezze. Lo dimostrano le Consorterie ancora sopravvissute e non a caso persino citate nel nostro Statuto d'autonomia come parte originale dell'antico ordinamento valdostano. Un caso straordinario in cui la tradizione giuridica sapeva corrispondere alle esigenze prioritarie della comunità autoctona.
Oggi, anche se spiace doverlo scrivere, a tutti i livelli il dibattito sui problemi delle montagne e di una politica specifica sembra essersi incartato e, per chi se ne occupa da anni, credo sia una legittima preoccupazione.
Troppi "decisori", espressi dalle popolazioni montane, preferiscono occuparsi d'altro.