October 2012

Risparmiare nel rispetto dello Statuto

Si auspicano risparmi più significativiNon me la sento di infilarmi e di infilare i lettori in un dedalo di norme giuridiche in materia di enti locali, che in Valle significano Comuni e Comunità montane (si potrebbe anche citare il "Conseil de la Plaine" che comprende Aosta e i paesi viciniori).
Quando ho cominciato a far politica, mi ero ripromesso di evitare il "politichese", anche nella sua variante di "giuridichese", ma ogni tanto mi accorgo di come questo impegno non l'abbia sempre mantenuto, perché la spiegazione di questioni complesse non è sempre agevole e si rischia il tecnicismo.
Ecco perché il ragionamento che vi propongo è puramente politico e spero chiaro. I Comuni sono nella nostra zona montana il radicamento democratico più forte, che affonda le sue radici nella storia più profonda della Valle. Il fascismo ridusse il loro numero e non a caso il ritorno alla democrazia portò fra i primi atti alla rinascita del sistema comunale e alla morte di quella "Provincia d'Aosta" allargata al Canavese con la nascita della circoscrizione autonoma poi Regione autonoma a cavallo fra il 1945 e il 1948. Nello Statuto d'autonomia il potere reale della legislazione regionale verso i Comuni era debolissimo e manteneva un assurdo e forte cordone ombelicale fra le nostre autonomie locali e Roma. Nel 1993 - conscio di questo "buco" per completare un disegno di autogoverno - la nostra autonomia speciale si è rinforzata proprio con l'ottenimento della competenza esclusiva sull'ordinamento degli Enti locali con modifica dello Statuto. Questa novità ha consentito una significativa legislazione federalistica a favore dei Comuni (e Comunità montane come erogatrici di servizi associati) sia sotto il profilo finanziario che ordinamentale. Ben prima delle riforma costituzionale del 2001, che precisò in tutta Italia il ruolo costituzionale dei Comuni come "rete" di democrazia diffusa, i valdostani erano andati su quella strada. Siamo stati anche i primi ad applicare in modo generale sistemi di controllo sulla spesa dei Comuni e lo abbiamo fatto in modo efficace e condiviso con i sindaci.
Intanto Roma dava e continua a dare i numeri, sovrapponendo in questa materia normative una dopo l'altra con orrore degli esperti e degli amministratori e questa logica si è accentuata, in modo schizofrenico, con tagli e risparmi in un crescendo sfociato nella celebre e imposta "spending review" con previsioni che, se applicate alla Valle d'Aosta, tenendo conto della taglia dei nostri Comuni e del loro ruolo sul territorio, creerebbero dei disastri e delle iniquità.
Condivido l'appello dei sindaci valdostani che, giorni fa, hanno detto di essere pronti a soluzioni di risparmio e di razionalizzazione a condizione che mai vengano imposte dal centro, ma frutto delle nostre competenze in materia che dobbiamo tenerci strette non solo per ovvie ragioni di tutela delle nostre prerogative ma anche perché spetta a noi in Regione armonizzare le misure alla particolare situazione locale. Altrimenti facciamo a meno di avere un Consiglio Valle e mettiamo un ufficio in Regione che si limiti ad imporre le norme dello Stato. Insomma: la fine dell'autonomia che è fatta invece da una legislazione originale anche di fronte alla crisi. Non dobbiamo accettare e subire un interventismo emergenziale dello Stato, perché una volta persi poteri e competenze nessuno ce li restituirà mai più.
Si tratta di una bella e cristallina battaglia politica che, per chi si dice federalista e dunque considera il Comune un tassello fondamentale, non è un capriccio.

Formigoni e la macroregione del Nord

Roberto Formigoni con l'elefantino portafortuna della scuola milanese degli acconciatoriHo incontrato molte volte in vita mia il presidente della Regione Lombardia, Roberto Formigoni. L'ho fatto in diversi ruoli istituzionali e, dovessi essere franco, non mi sono mai formato un'opinione compiuta su di lui. Sicuramente un grande navigatore della politica italiana che forse aspirava, dopo aver guidato con pugno di ferro la sua Regione sin dal lontano 1995, a spiccare un salto nel gotha della politica nazionale.
Oggi penso, invece, che le intricate vicende che lo riguardano non lo porteranno più da nessuna parte. Ma dovessi scommetterci sopra non lo farei, avendo dimostrato una grande vitalità in momenti difficili che attraversa con grande sicurezza e mai con atteggiamenti penitenziali che uno si immagina connessi alla sua appartenenza ai "Memores Domini" (associazione laicale cattolica di persone che vivono in povertà, castità e obbedienza nel solco di "Comunione e Liberazione").
Ora Formigoni rilancia le "macroregioni" in Italia, vecchio cavallo di battaglia - non a caso naturalmente perché chi lo fa stare in piedi alla Presidenza è la Lega - del mio amico Gianfranco Miglio, costituzionalista e federalista eminente che negli anni Sessanta aveva lanciato questa idea, ripresa poi negli anni Novanta in epoca di "Bicamerale" per le riforme quando andava d'accordo con il leader padano Umberto Bossi, che poi lo mollò con code di definizioni volgari che il professore non meritava («Miglio, una scoreggia nello spazio»).
Naturalmente "a tu per tu", Miglio diceva sempre che noi valdostani non saremmo dovuti "annegare" nella macroregione del Nord per le nostre specificità che ben conosceva, ma Formigoni riprendendo l'idea - fatta propria in passato anche da quella bizzarra creatura che è la "Fondazione Agnelli" - direi che non ha fatto dei distinguo di nessun genere e naturalmente me ne dolgo.
Io non voglio che l'identità culturale, politica, geografica della Valle d'Aosta muoia nell'ambito di questo "mostro" che il Presidente lombardo propone, come già fecero quelli che cavalcarono prima di lui analogo progetto (che nulla ha a che fare con la "macroregione alpina", che è una strategia a livello europeo).
Penso che su questa posizione non sia neppure da aprire un dialogo: il "no" deve essere secco e deciso e semmai si tratti di rilanciare con grande decisione il fatto che per uscire dalla sceneggiata all'italiana del regionalismo attuale non esiste altra strada che il federalismo.
Ma in questa fase il federalismo è in ombra e da valore aggiunto nel dibattito politico italiano è stato in fretta "rottamato" e il neocentralismo impazza come medicina contro tutte le malattie. Peccato che abbia già ampliamente dimostrato - in 150 anni di storia patria, dall'unità ad oggi - di non funzionare affatto. E che sia chiaro come le macroregioni siano una caricatura del federalismo.
Ricordo cosa scriveva proprio a Miglio un altro mio amico, Massimo Cacciari, in un dialogo pubblicato su "Micromega": «Federalismo non può significare tagliar via il centro. Se così fosse, diventerebbe sinonimo di moltiplicazione di centri. Federalismo è riorganizzazione di principio della relazione centro-periferia, sulla cui base possa definirsi concretamente un nuovo sistema di responsabilità. Federalismo è ridefinire i ruoli e le responsabilità del Governo centrale e dei governi dei diversi Stati, ma ridefinirli all'interno di un vero e proprio patto costituzionale. Federalismo non è affatto, rozzamente, indebolire il Governo centrale, ma rilegittimarlo e, dunque, rafforzarlo, all'interno dei suoi limiti, per le funzioni specifiche che sarà chiamato ad assolvere e che in nessun modo debbono ledere o indebolire quelle dei diversi Stati della federazione».
Parole purtroppo distanti dallo Stato giacobino apparso ormai sulla scena come "castigamatti" della democrazia locale.

Sempre più salata

Un tratto a doppio senso di marcia sull'autostrada 'A5'La politica di marketing della "Sav - Società autostrade valdostane" è mirabile e degna di una manualistica della materia. La cito volentieri in questo mio spazio, avendo già avuto modo di annotare recenti e passate prodezze. So che ci vorrebbe una penna di maggior prestigio per farlo, ma io sono quel che passa il convento. Credo di poter essere perdonato perché ho persino memoria, nella mia infanzia più profonda, di quando l'autostrada non c'era e dei cantieri a due passi da casa mia a Verrès.
Poi sono da decenni un utente fedele che è invecchiato con lei, anche se io mi sto deprezzando con gli anni, mentre lei - l'autostrada - è sempre più preziosa, come un vino di marca quando passa il tempo.
Ma dicevo del marketing: fanno una festa per celebrare i cinquant'anni dell'autostrada (almeno credo, perché non sono stato invitato) con grande pompa e - maledizione! - esce fuori in quella stessa circostanza la notizia ferale, che oscura ogni festeggiamento e spegne ogni sorriso di circostanza, del cospicuo aumento che dovrebbe scattare dal 1° gennaio prossimo. Come avverrà poi con periodicità. aumento dopo aumento, sino al 2032, quando - io spero allora di essere un arzillo settantenne - ci sarà la scadenza della concessione e la tratta finalmente andrà in gara. Dopo settant'anni si applicherà il principio europeo della concorrenza, meglio tardi che mai.
Se si va avanti così, visto il periodico ma costante "ritocchino" alle tariffe, per poter prendere l'autostrada ci saranno a quel tempo all'ingresso degli sportelli bancari per poter fare un mutuo solo per poterci entrare.
Se oggi la "fuga" sulla statale è avviatissima, allora l'autostrada sarà "triste e solitaria", come il binario di una celebre canzone di Claudio Villa. Ogni utente sarà una festa.
Dubito infatti che lo Stato, ormai vigorosa istituzione che tutto può e decide in barba alle decadenti autonomie locali, faccia quel che dovrebbe fare: vigilare sui rischi di monopolio nelle autostrade italiane, sulla qualità dell'esercizio, sulla tipologia dei lavoro svolti e sulla trasparenza delle procedure d'affidamento. L'Anas sarebbe tenuta a quella che credo sia chiamata - e non è uno scherzo - "alta vigilanza", direi equivalente all'"alta uniforme" dei corazzieri del Quirinale. Ma le procedure applicate devono essere esoteriche e per altro a mia memoria affidate ad un ufficio con sede a Genova, perché non ricordo relazioni pubbliche sul tema, neppure nei ruoli di responsabilità che ho avuto.
D'altra parte perché dovremmo lamentarci.
Ci lagniamo sempre il rischio che la Valle venga marginalizzata e non ci rendiamo conto della fortuna che abbiamo: una striscia d'asfalto che gode della reputazione dell'autostrada più cara d'Italia e, senza finta modestia, credo che si possa competere senza complessi con il resto d'Europa e forse con gli altri continenti.
La "Sav", che tutto il mondo c'invidia.

La Caporetto del regionalismo

Arriva la ghigliottina per le RegioniTemo che la giornata di oggi sarà la "Caporetto" del regionalismo italiano e il fronte sarà il Consiglio dei Ministri. Da Roma, dove si sono registrati in questi anni i peggiori casi di malcostume nelle Regioni, arriva - paradosso incredibile - l'ondata moralizzatrice.
Sulla spinta della comprensibile rabbia popolare per ruberie, sprechi e stupidità di alcuni, che vanno perseguiti per i loro comportamenti, ricordando che la responsabilità penale è personale e non collettiva, assieme all'acqua sporca si butterà via anche il bambino. Il regionalismo vivrà in queste ore un'eclisse senza precedenti.
Alla fine di anni di martellamenti contro la democrazia locale, ormai per le Regioni si è giunti al dunque e i tecnici - in larga parte boiardi di Stato - sono pronti a fare marcia indietro, imboccando da oggi la strada dello statalismo più forte e del centralismo più becero.
Quel che indigna è propria il fatto che si usa per tutti la ghigliottina senza alcun distinguo. Anzi, l'autonomia speciale come la nostra che, pur tra mille limiti e difetti, ha attraversato con dignità sessant'anni di storia diventa un'anomalia da cancellare a furor di popolo. In questi giorni contro di noi abbiamo sentito le solite grida «ricchi! privilegiati!», cui si è aggiunta una curiosa motivazione «piccoli!». Come se i popoli dovessero essere valutati dalla taglia e solo i grandi popoli avessero diritto di esistere.
Oggi penso ne leggeremo delle belle nel decreto legge che il Governo varerà nella "filosofia antisprechi", che sarà occasione per un regolamento di conti dopo un ventennio di proclami federalisti e di un regionalismo appena appena valorizzato. Torna la Nazione, chiamiamola con il suo nome, che decide e regolamenta, mette guinzagli e mordacchie, nel nome dei poteri forti e di un'élite di tecnici in larga misura figli e figliastri di quella politica che oggi combattono dall'alto del loro cavallo bianco.
Politica italiana che certo non va assolta, ma al processo devono andare quelli che si sono dimostrati ladri ed inetti e non pensare che la soluzione sia una sospensione della democrazia nel nome dell'emergenza economica. Scorrete le biografie di molti ministri, oggi "Catoni censori" delle autonomie locali, e vedrete che anche loro - per lo più anziani - c'erano ed erano in ruoli chiave nella Repubblica di cui oggi propongono il commissariamento.
Si tratta dunque di non essere solo spettatori, ma per quel che mi riguarda non accetterò mai e poi mai che a colpi di decreto legge si operi per svuotare la nostra autonomia e vedremo cosa faranno i partiti in fase di conversione del decreto. Non penso che sarà facile spiegare ai valdostani eventuali voti favorevoli per chi si dice autonomista ad Aosta con i partiti di riferimento a Roma che fanno il contrario.
Ci sono norme e procedure da rispettare. E' una questione di diritto ma soprattutto di politica. È una questione di dignità e di amor proprio. Certo esistono doveri che sono alla base di ogni forma di autonomia, ma esistono anche diritti che non possono finire nel tritacarne. Altrimenti ad una democrazia si è sostituita una dittatura, dolce magari e nascosta dall'urgenza delle molte emergenze, ma pur sempre una dittatura.

Andiamo bene...

Il presidente del Consiglio dei Ministri, Mario Monti, mentre spiega il nuovo decretoImmagino che in molti si aspetteranno che oggi scriva in modo dettagliato e punto per punto del "decreto antisprechi", varato ieri dal Governo Monti.
Una congerie di norme che consente all'Esecutivo dei tecnici di conquistare definitivamente la "maglia nera" nel rapporto con le autonomie e un posto d'onore nei libri di storia che racconteranno in futuro questa parte di storia della nostra Valle. Il "centralismo" appare e scompare in tutte le epoche e sotto tutti i regimi politici e i valdostani hanno spesso subito e talvolta reagito.
I "tecnici" trasformano di fatto le Regioni, in modo scientifico e direi programmato, in una specie di ufficio periferico del potere romano e lo fanno con gran gusto, per mano di funzionari statali che mai avevano sopportato nel tempo una condivisione di potere da parte della democrazia locale. Sono quelli, come formazione e comportamenti, che hanno messo sempre sabbia negli ingranaggi della nostra autonomia speciale. E pensare che in ogni Paese civile anche il più centralista e senza più scomodare il federalismo, il rispetto delle autonomie locali è un elemento preclaro di democrazia. Ma oggi la democrazia è stata messa in un angolino perché la crisi economica è un pretesto per diverse operazioni, compresa questa.
Ma per i commenti specifici aspetto il testo definito, anche se non ho apprezzato le sprezzanti dichiarazioni del dopo Consiglio dei Ministri, umilianti per chi abbia sempre creduto nella Costituzione e nello Statuto d'autonomia. Furti e ruberie dovevano essere risolte dalla Magistratura e invece si è messo in piedi un sistema di controlli che riporta in capo a Roma quel poco di autonomia conquistata nel tempo e le "Speciali" sono prese a calci nelle gengive e si preparino a chiudere i battenti con la complicità di chi voterà il decreto legge. Di questo sono indignato, preoccupato e per quel mi riguarda non penso che si debbano calare le braghe e bisogna preparare risposte politiche vere e non bastano sfoghi per scritto come questo mio o altri che ho letto in queste ore e che restano circoscritti qui e di cui neppure l'eco arriva a Palazzo Chigi.
E fatemi aggiungere - con grande simpatia per l'assessore Leonardo La Torre, assessore regionale - che certe dichiarazioni "indipendentiste", che sembra trarre dalle sue frequentazioni leghiste più recenti, rischiano di fare del male e non del bene, perché le iniziative politiche non sono un fatto estemporaneo in cui ognuno gridi di essere più autonomista di un altro in una sfida al rialzo, perché alla fine contano i fatti e anche il percorso politico di ciascuno per essere credibili.
Perché sia chiaro che la logica di difesa dell'autonomia è da spiegare e condividere, compreso il fatto che le riduzioni di eletti e stipendi servono solo come specchietto per le allodole per placare l'incazzatura popolare, ma la sostanza è ben altra e riguarda l'invasione di poteri e competenze, che risulta fatta «a fin di bene» ed invece colpisce un regionalismo voluto dal Costituente dopo una dittatura! Dietro queste scelte c'è solo il proseguimento di quello svuotamento delle autonomie di Regioni e Comuni avviato con le manovre finanziarie degli ultimi mesi nel nome della casa che bruciava. Meno soldi, meno spazi di libertà e ora si avvia la fase due: trattare i territori con una logica colonialistica che farebbe dire ai padri fondatori della nostra autonomia che il "patto politico" fra valdostani e Roma è stato tradito.
Lo si vedrà oggi con la manovra finanziaria della nostra Regione: tagli, tagli, tagli. A differenza del passato - e questo non è positivo - i consiglieri regionali di maggioranza hanno avuto della Finanziaria regionale un'illustrazione solo verbale e molto generale nel nome dei tempi ristretti per la sua elaborazione e approvazione.
Per carità: non mi metto a fare discorsi protestatari in modo vuoto per chissà quali frustrazioni personali, come qualcuno adombra quando pongo questioni di metodo. Ma si sappia che il metodo è sostanza. Non si tratta di disturbare il manovratore, ma di contribuire in epoca difficile.
In questi tempi grami per la nostra autonomia per avere fronte comune bisogna essere fortemente uniti e questo presuppone una piena e chiara condivisione dei problemi e della strategie, che non possono appoggiarsi su scelte solitarie. Altrimenti ognuno si sentirà nel diritto di fare dei distinguo sulle scelte di fronte alla duplice emergenza: quella derivante dai tagli finanziari e dal forte attacco politico ai fondamenti giuridici della nostra autonomia speciale.

L'Abbé Trèves, un esempio

L'abbé Trèves con i fondatori della 'Jeune Vallée d'Aoste'Le parole scritte in vecchie lettere possono essere commoventi e restituirci situazioni inattese.
"Mardi dernier ayant rencontré l'aîné des Caveri pendant que je venais chez M. Lale pour la réunion de la Direction, je l'ai invité espérant que cela aurait servi à mieux l'ambianter. Comme vous l'avez vu, c'est un jeune homme très intelligent, sérieux, catholique et foncièrement valdôtain. Il voit le problème valdôtain d'une manière juste. Je ne sais s'il a demandé à son Père le consentement pour entrer dans notre Association. Dans tous les cas M. l'ex Préfet Caveri est avec nous d'idée tout comme son fils. Le fils Caveri, et ce pour votre règle, a des idées libérales en politique et est un antifasciste prononcé".
Così nel maggio del 1929 Emile Chanoux scriveva in una lettera all'Abbé Joseph-Marie Trèves, citando mio zio Séverin, mio nonno René e poco più avanti in una parte che non riporto citerà un altro mio zio, Antoine, che di lì a poco entrerà anche lui nella "Jeune Vallée d'Aoste", di cui faceva parte anche mia nonna Clémentine Roux.
Mio papà, che aveva diciotto anni quando l'Abbé Trèves morì, lo ricordava spesso ospite a pranzo nella casa di famiglia in via Sant'Anselmo. Questo per rendere vicino e umano questo ambiente della piccola città di Aosta d'allora, che oggi è difficile capire ma senza la quale la Valle d'Aosta non sarebbe quella di oggi. E va sempre rimarcato il ruolo del Clero valdostano, che avuto nell'Abbé Trèves - fondatore della "Jeune Vallée d'Aoste" - un esempio mirabile, ma nient'affatto isolato.
E' quella piccola élite che tenne viva la valdostanità, mentre il fascismo faceva proseliti, e c'era chi si contrapponeva alla distruzione di lingua e cultura nel nome di un antifascismo sfociato poi nella Resistenza armata. Radici da ricordare in tempi difficili come questi in cui, in una logica insinuante, torna con prepotenza una visione centralista che ha elementi autoritari da tenere sotto osservazione.
Anche per questo - per onorare la memoria - sarò domani ad Emarèse per l'inaugurazione del "Centre d’études" dedicato all'Abbé Trèves, che veniva da questo piccolo Comune. Trovo che mai come oggi certe figure, imbevute di cultura e di impegno politico e sociale, debbano essere un punto di riferimento.

A proposito dei tagli

Credo che nessuno possa ragionevolmente stupirsi in questo frangente della necessità di ridurre i costi della democrazia ("costi della politica" è definizione semplicistica) anche riducendo il numero degli eletti. Operazione che può essere semplice ma va ragionata ed è da fare con il bisturi e non con la motosega.
Mi riferisco anzitutto al Consiglio regionale e alla Giunta, avendo tuttavia due capisaldi: il primo assicurare un pluralismo politico e una rappresentatività territoriale; il secondo considerare che la Valle d'Aosta deve effettuare queste operazioni senza demagogia e con il rispetto delle proprie regole di rango costituzionale.
Ogni scorciatoia nel nome dell'emergenza o della morale pubblica nasconde solo una logica antiregionalista e nel nostro caso il terribile "idem sentire" di chi vuole sopprimere le autonomie speciali nel nome dell'eguaglianza.
Discorsi sentiti all'epoca in cui venne scoperta e usata la ghigliottina!

La politica europea di prossimità

Una panoramica di ChambéryIl mio modo di pensare è noto: ho le mie radici e la mia identità, ma mi sento sempre cittadino del mondo. Ma se va benissimo qualunque forma di esotismo, ci tengo a dire che ci sono posti a noi vicini che sono rassicuranti e assieme terreno di un confronto politico di prossimità. Ci pensavo l'altro giorno a Chambéry, chiamato a discutere dei giovani e la montagna in Europa.
Quando vado nella Capitale della Savoia, mi sento a casa mia, come avviene con molte altre località d'Oltralpe. Lo è - nel caso di Chambéry - per ovvie ragioni dovute alla lunga storia comune specie sotto Casa Savoia, che hanno formato una città in cui mi riconosco, compresi i tratti culturali in cui ci si può in parte specchiare. Vi è poi la prossimità geografica che rende l'ambiente naturale familiare, come avviene nella comune logica "Plaine - Montagne".
Il quadro di rapporti politici oggi si esprime nella cooperazione transfrontaliera, come si diceva anni fa, intendendo con questa espressione una politica di vicinato che spezzasse la logica ostile dei confini di un tempo, in parte un ritorno al passato reso ostico da sistemi istituzionali non molto omogenei e da una marcata "francisation" dei nostri vicini savoiardi.
Oggi si usa maggiormente il termine più logico, specie in ambito europeo, di "cooperazione territoriale", che ha preso atto anche nel lessico della fine delle frontiere.
Per fortuna la vicinanza e l'interscambio millenari sono un fatto molto più profondo degli Stati che hanno inglobato popolazioni molto simili, separate dalle circostanze succedutesi nelle diverse epoche sino all'attuale.
Basta poco per ritrovarsi e non solo su aspetti del passato, che hanno un filo logico da condividere, ma anche su problemi concreti da risolvere o perché in comune o perché analoghi territori innescano soluzioni da confrontare sulle stesse tematiche.

Dietro la "désarpa"

Una 'reina' nel centro di AostaHo trovato molto simpatica la "désarpa" (la discesa delle mandrie dall'alpeggio estivo) che ieri ha animato il centro d'Aosta. Molto naïf e priva di certe presunzioni intellettuali del passato, segno che chi se ne occupa oggi conosce il mondo contadino e evita di volerlo filtrare attraverso chiavi che finivano per indebolire il messaggio nella sua essenzialità.
La festa popolare è riuscita ed è certamente più "grand public" di quanto siano le pur apprezzabilissime "reines" con l'imminente finalissima della Croix Noire.
Certo la sfilata del bestiame che scende dagli alpeggi oggi colpisce molto, mentre ancora qualche decina di anni fa non sarebbe stata al centro di una manifestazione. Per la semplice ragione che la società valdostana del passato era fortemente rurale e il bestiame faceva parte del paesaggio quotidiano, specie per la miriade di piccole stalle che si trovavano in tutta la Regione. Non si rappresenta mai quanto è troppo familiare.
Poi la situazione si è bruscamente invertita: le stalle sono cresciute di dimensione, inseguendo in parte modelli esterni con l'accortezza da noi, diversamente da altre zone alpine, di salvaguardare le antiche razze autoctone. Ma il gigantismo si è manifestato in certi casi e si discute sempre più se non valga la pena di dire che, in una logica di pluriattività, anche il «piccolo è bello», se integrato con altro e non è obbligatoriamente una diseconomia. Pensando anche ai costi ambientali delle stalle molto grandi.
Se guardiamo l'ultimo censimento generale dell'Istat di due anni fa si ricavano alcuni dati. Diminuiscono le aziende zootecniche bovine: nel 2000 erano 1586, nel 2010 erano scese a 1.176. I bovini calano da 38.888 a 32.953, così come calano gli ettari complessivi dei prati permanenti e dei pascoli.
Soffrono maggiormente le stalle piccolissime, piccole e medie, che ospitano da uno a 19 animali, calano le stalle da venti a 49 animali che restano quantitativamente le stalle più numerose, mentre le stalle che vanno da cinquanta a 99 bovini e oltre diminuiscono di numero ma con una maggior stabilità. La media delle stalle è salita nel 2010 a oltre 28 capi per stalla rispetto ai poco più di 24 di dieci anni prima.
Tutto ciò mentre si attendono certezze soprattutto sulle famose indennità compensative che l'Europa dovrà garantire all'agricoltura montana con la nuova "Pac - Politica agricola comune". Oggi l'insieme dei fondi comunitari è ancora avvolto, in piena crisi economica e con un Parlamento europeo che batte i pugni contro lo strapotere del Consiglio, da molte incertezze. Comunque sia pian piano la logica di mercato obbligherà ad affrontare tempi difficili, pensando che anche la capacità di spesa della Regione sta diminuendo drasticamente e l'agricoltura ha crescenti problemi con le manie di Bruxelles di irrigidire le maglie degli aiuti pubblici sotto varia forma (gli Stati Uniti certi problemi non se li pongono).
Ecco perché bisogna che le zone di montagne ottengano uno status preciso nella logica delle politiche di coesione territoriale, proprio per evitare che ci si debba ogni volta inginocchiare di fronte ai funzionari europei per ottenere quanto invece è dovuto. Sapendo che questa logica della trattativa continua, della deroga che pare essere un piacere, della fatica di dover portare cumuli di carte anche per la più banale eccezione può sortire risultati utili nel breve ma fragilizza la prospettiva. Se esistesse una base giuridica che affermi la situazione particolare per l'economia montana questo fisserebbe una volta per tutte un quadro certo per evitare di dover, sempre e in diversi settori, dover spiegare il perché della particolarità che deve essere riconosciuta, oggi volta per volta, alle zone montane.
Certo se mai ci togliessero l'autonomia speciale e gli spazi più vasti di dialogo con Bruxelles indispensabili per la "nostra" agricoltura, allora prepariamoci alla "désarpa" come rievocazione storica in maschera e mai più nella realtà.
L'autonomia del folklore.

L'esprit de l'escalier

scale...Non bisogna, a fronte di questa situazione di attacco alla nostra autonomia speciale, avere un atteggiamento che anche in italiano si definisce con un interessante francesismo "esprit de l'escalier".
Una spiegazione dell'espressione la traggo dal sito francese assai simpatico espressio.fr: "D'où vient donc cette appellation? Dans son ouvrage "Paradoxe sur le comédien" écrit entre 1773 et 1778, Diderot disait : «l'homme sensible comme moi, tout entier à ce qu'on lui objecte, perd la tête et ne se retrouve qu'au bas de l'escalier».
Il voulait dire par là que si, au cours d'une conversation, on lui avait objecté quelque chose, il en perdait ses moyens et ce n'était qu'une fois sorti, arrivé en bas de l'escalier de son hôte (donc trop tard), que la réponse qu'il aurait dû faire lui venait à l'esprit.
L'escalier est ici le symbole de la déception de n'avoir pas dégainé à temps la réplique qui tue et qui met les rieurs de son côté, celle qui permet de briller en société".

Noi valdostani non dobbiamo magonare, scendendo le scale, per cose che avremmo dovuto dire e non abbiamo detto. So bene quanto da noi la battuta esista e , in una casistica dall'allegria pura all'umorismo sardonico, possa essere pronta e cambi anche a seconda della zona di provenienza (i numeri uno restano gli ayassin).
Ma in politica non siamo in società, ci sono logiche in cui le battute non bastano e bisogna usare la voce forte e chiara, quando si ritiene che si crei una situazione intollerabile. Io sono in questa fase e l'ho fatto non più tardi di ieri sera al "Conseil fédéral" dell'Union Valdôtaine, dove capita - per la democrazia, anzitutto - che non molti rompano il silenzio. Non perché manchino i temi, ma per timore di dire qualcosa di inopportuno. Mentre il dibattito obbliga a dirsi le cose, comprese quelle sgradevoli.
Chi ci voglia male è complesso da dire e mi riferisco all'ovvia banalità che non solo da fuori vengono i nemici (la logica delle "serpi in seno"). Ma da fuori ne arrivano di veleni e di miasmi e mi pare che esista ancora una qual certa timidezza nella reazione.
Mentre certe cose più che nella tromba delle scale (o nei bar) vanno dette sempre più nei luoghi deputati e arrischiando anche proteste non solo istituzionali. Ma i valdostani ci sono?
Altrimenti davvero «Roma doma».

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