September 2012

Chi ci capisce è bravo

La copertina del 45 giri 'Il silenzio' di Nini RossoLa politica è fatta di competizione e dunque è naturale che partiti e schieramenti si interessino di che cosa fanno quelli che si contrappongo loro. Questo metodo consente, in una logica dialettica e di alternanza, di far risultare quelle differenze che permettono una scelta agli elettori. Peccato che oggi per trovare un anti-regionalista nelle nostre vallate devi andarlo a cercare con il lanternino, ma presto cambierà perché «dagli alle Regioni» sta diventando una moda e le Regioni - vedi Lazio - si sono impegnate non male per agevolare questo movimento ostile.
Certo il "caso Monti" sconcerta perché destra e sinistra in Italia hanno finito - non occupandoci delle aree estreme che sono marginali - per mostrarsi legate a filo doppio alle impopolari scelte governative. Questo immagino sia particolarmente imbarazzante in Valle d'Aosta perché l'embrassons-nous a Roma investe Partito Democratico e Popolo della libertà che - alleati di fatto nella Capitale - qui si scontrano furiosamente. E si evidenzia soprattutto la palese distonia fra il dichiararsi autonomisti da noi e trangugiare a Roma tutte le scelte di mortificazione della nostra e altrui autonomia. Difficile essere credibili perché avere due volti vuol dire portare una maschera.
Francamente non capisco come il PD possa accettare che l'emergenza cancelli principi elementari di democrazia locale e acconsenta ormai ad un oblio di quel federalismo in cui pareva aver creduto e oggi c'è da temere che fosse, almeno in parte, solo una risposta al "leghismo".
Ma l'aspetto più singolare sta in un atteggiamento mentale visibile in Consiglio Valle e nelle dichiarazioni ai giornali. C'è chi - ad esempio nei gruppi autonomisti d'opposizione, genere qualche esponente di Alpe - si occupa più delle dinamiche dell'Union Valdôtaine che dei propri problemi interni o del ruolo di opposizione, tutt'altra cosa rispetto al "dare la pagella" agli altri movimenti. E non entro nel gioco degli "ex" perché in certi frangenti è difficile dire che questo non sia uno status minaccioso sulla testa di tutti quando il confronto fa paura e dunque la frase «questa è la porta» potrebbe essere considerata la strada verso l'armonia celeste.
Caso di scuola resta quello del PdL in Valle - inteso ormai come singole persone, perché ormai l'atteso congresso regionale è sparito dall'orizzonte - quando banalizza attraverso il suo coordinatore parlando di guerra nell'Union Valdôtaine, mentre tendono ad omettere autorevoli fughe avvenute in quel partito. Meglio guardare a casa d'altri che imbarazzarsi dei fatti propri e della propria linea e meglio non parlare delle promesse fatte e non mantenute, quando certe alleanze sembravano come slot machine che avrebbero fatto cadere soldi su "Aosta Capitale" e grandi opere, genere "Funivia del Monte Bianco" ed ancor prima avrebbero assicurato un seggio al Parlamento europeo.
Su questo, il silenzio è d'oro.

Colori d'autunno

Si vede che non siamo più una civiltà contadina e che il mondo rurale vive ormai una separatezza culturale rispetto al passato in cui il ritmo delle stagioni e la prepotenza della Natura si affermavano nel regolare l'orologio della società in generale.
Basta leggere il nostro Statuto d'autonomia del 1948 per riconoscere - nelle materie elencate come competenza esclusiva e integrativa - il segno di una cultura rurale che avvolgeva ancora tutto, in barba alla potente industrializzazione che pure aveva interessato una buona parte del fondovalle.
Pensate all'autunno ed alla concezione che noi ormai abbiamo di questa stagione, iniziata in questi giorni. L'etimologia ci aiuta a ricostruire la psicologia che portava alla definizione di questo periodo: "autumnus" viene da un verbo latino, "augere", che significa "accrescere", di cui la definizione del periodo non sarebbe altro che un antico participio, che mette in risalto come - finita l'epoca del raccolto - l'autunno era il periodo di maggior abbondanza in vista poi dei rigori e delle ristrettezze alimentari di un inverno in cui si consumava quanto prodotto in una logica antica di autoconsumo.
Oggi l'autunno è qualcosa di diverso in cui addirittura viviamo una natura decadente e trasfigurata da una visione poetica di cui esiste ampia casistica che accentua semmai i caratteri intimistici di un ambiente naturale che si impoverisce in attesa dei rigori invernali e della severità di una natura in sonno.

La solidarietà non è autarchia

Mele al mercatoChi mi segue sa che sulla retorica dei prodotti "a chilometri zero" ho sempre espresso i miei dubbi. Riassumo le ragioni da un sito Internet che esprime questa "filosofia" per i prodotti agricoli.
"Se ti stai chiedendo perché dovresti preferire il "chilometri zero" qualche risposta te la diamo noi!
1) costa meno: perché la merce per arrivare al consumatore non deve essere trasportata, imballata e posta su uno scaffale, questi sono passaggi che fanno aumentare il prezzo dei prodotti e che alla fine paghi tu!
2) è sostenibile: scegliendo i prodotti "a chilometri zero" fai risparmiare anche l'ambiente: "co2" perché i prodotti non devono essere trasportati lontano, acqua ed energia dei processi di lavaggio e confezionamento e plastica e cartone sull'imballaggio.
3) iI prodotti sono più freschi: in cascina trovi solo i prodotti di stagione, naturalmente freschi senza bisogno di conservanti!
4) si può visitare l'azienda produttrice e avere più controllo sul prodotto: puoi trascorrere dei bei momenti in fattoria con amici e familiari vedendo da vicino i prodotti che acquisti e la loro produzione, raramente un acquisto può essere tanto trasparente!
5) si riacquistano i profumi e i sapori delle diverse stagioni: ogni stagione è diversa per il palato, la vista e l'olfatto. Riscopri i sapori tipici dei prodotti che nascono e crescono secondo natura!"
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Sin qui una sorta di manifesto, ma va detto che questa scelta ha poi gemmato iniziative non solo per i prodotti agricoli, ma anche per la loro applicazione a piatti cucinati, che implicano anche il valore aggiunto della tradizione culinaria, ad esempio nelle mense scolastiche.
Per carità, si tratta di iniziative "nobili", ma se la filosofia passasse in una logica oltranzista saremmo nei guai con le indispensabili esportazioni dei nostri prodotti e chi l'applicasse in maniera rigida – specie alle quote più elevate! - si priverebbe di prodotti indispensabili per la propria salute visto che in una montagna come la nostra non si può certo tornare alla grama autosufficienza o ad una pratica autarchica degna d'altri tempi.
Tuttavia , in questi tempi difficili, un appello un pochino retorico lo vorrei fare anch'io, che quando compartecipo alla spesa mi sento cittadino del mondo (di recente ho comprato prodotti greci perché anche così si possono aiutare). Io penso che una riflessione su di una logica di reinvestimento in ambito locale nell’acquisto di una serie di prodotti autoctoni non limitabili all'agroalimentare ma a una gamma di beni e servizi, per fare reddito da noi stessi, ci stia abbondantemente.
E' interessante leggere per la sua completezza lo studio della Facoltà di economia e commercio di Torino che ha elencato i prodotti a vantaggio del label "Saveurs du Val d'Aoste" e del suo disciplinare.
Stringere le fila in epoca di crisi non è una logica di chiusura ma di solidarietà.

Sveglia bauchi!

Appiattimento in corso?Insomma: la Costituzione del 1948 e successive modificazioni migliorative sul regionalismo è stato tutto un errore. Così inchieste, editoriali, calcoli e percentuali vanno ormai tutti in una stessa convergente direzione: «viva lo Stato centrale - come se in 150 anni avesse fatto faville - e a morte il regionalismo!»
E sul pennone più alto impicchiamo le autonomie speciali senza distinguo: «tutti farabutti e la smettano di frignare. Specie quegli autonomisti buoni solo a deprimere lo spirito nazionale! Siamo o non siamo in Italia! Che cosa si credono?».
Sull'onda dello sdegno per i soliti "rubagalline" vengono buttati in pasto al popolo due concetti chiave: «politici schifosi e corrotti» e «politica locale inetta e sprecona». Peggio di tutti: «parassiti inutili». Procediamo con la ghigliottina non verso una rivoluzione ma verso una restaurazione. Strano ma vero.
Così gli italiani sono pronti al ribaltone. Non si sa cosa sia e dove porti, ma l'importante è partire: «Partiam, partiam e poi per strada aggiusteremo il tiro».
Lo Stato nazionale «puzzone», che doveva essere ribaltato come un calzino in nome della sua inefficienza e incapacità diventa «il Salvatore» e il federalismo tramonta portandosi dietro il regionalismo e persino il municipalismo. Tutto in discarica senza distinguo: tutti brutti e cattivi.
Roma torna il centro del dibattito politico e da simbolo vivente di un centralismo pezzente e corrotto diventa una rosa pregna di rugiada con una nuova vita da lasciar sbalorditi. Come se tornassimo da un lunghissimo viaggio su Marte e trovassimo un mondo alla rovescia. Roba da prendere l'astronave e ripartire.
Il vecchio vizio italiano del trionfo dei voltagabbana e degli opportunisti splende come un sole sulla nuova Italia. Peccato che questo sol dell'avvenire non sia un'alba ma un tramonto creato da chi cambia sempre idea, segue i vantaggi correnti e accarezza l'opinione pubblica dal verso giusto. Coerenza e credibilità per le cose dette non contano nulla: vincono l'oblio e la capacità di riciclarsi, contando sulla scarsa memoria degli italiani e sul vizio di indignarsi in modo cieco senza sforzarsi di capire come stanno le cose. Bisogna seguire passioni, indignazioni, mode. Ragionare poco. Che tutto questo sia sintomo di una democrazia debole e indecisa poco importa: si deve ragionare con il bassoventre.
E la Valle d'Aosta? Bruno Vespa ridacchia dei nostri sacrifici e rilancia in televisione il motto: «chiudiamo le speciali». Tam-tam che percorre la Penisola e questi valdostani, piccolini e ininfluenti, non rompano. Basta con la presenza di questa autonomia "ricatto dei francesi". Basta soldi e diversità di qualunque tipo. Aboliamo tutto, abroghiamo tutto, azzeriamo tutto.
Viva l'Italia!
Chissà i Savonarola infervorati dov'erano pochi anni fa quando il federalismo era la nuova religione. Fortuna che ho sempre detto: non fidiamoci e prepariamoci a tempi grami, che sono arrivati, in cui dovremo dimostrare «se siamo uomini o caporali». Io la luce dell'autonomia non collaborerò a spegnerla e criticherò senza dubbio alcuno tutti quelli che chineranno la testa ai diktat di Roma anche quando violano i nostri diritti. Che abbiano il coraggio di cancellare Statuto e Regione autonoma piuttosto che continuare con questo stillicidio vigliacco.
Ammoniva Émile Chanoux: «les Valdôtains sont un peu trop tranquilles, même quand il s'agit de leurs intérêts les plus vitaux».
I tremendi tagli finanziari e la messa in discussione di competenze decisive saranno già uno «sveglia bauchi!».

(Scusate lo sfogo).

È anzitutto una questione morale

Renata PolveriniHo conosciuto in poche occasioni ufficiali la ex presidente Renata Polverini, una donna appariscente dai modi spicci, sempre accompagnata da uno stuolo di collaboratori adoranti. Era anche membro titolare del "Comitato delle Regioni" - dove sono capodelegazione - ma a Bruxelles non è mai venuta.
Era di quei politici che aveva capito che bisogna stare a presidiare la "Sagra della porchetta" o la festa del santo protettore di ciascun paese del Lazio: quello permette di accumulare i voti di preferenza. Chi passa il tempo a lavorare, anche a Bruxelles, rischia di apparire come uno snob e persino un fesso rispetto ad una Polverini "de'noantri" ("una di noi", in romanesco).
Questa donna determinata fa parte di quel gruppo di esponenti di estrema destra sdoganati da Silvio Berlusconi nel Popolo della Libertà. Non avevano mai visto il potere vero, nella logica della "conventio ad escludendum" degli ex fascisti, caduta per il trascorrere del tempo e anche per il loro annacquare il vino delle nostalgie del Ventennio. Così si sono trovati delle poltrone comode e ne hanno scoperto vantaggi e, col tempo, gli svantaggi. Il "boia chi molla" della loro giovinezza («Giovinezza, giovinezza...») si è applicato al potere e piuttosto di allontanarsi dalla "stanza dei bottoni" sono pronti a tutti i compromessi e a digerire qualunque accordo.
Ma questa volta la Polverini non ce l'ha fatta e ha dovuto arrendersi non tanto alle nefandezze di chi ha trafficato e rubato soldi pubblici, quanto alla guerra fra bande del centrodestra romano e laziale. Un ambientino di cui conosco alcuni esponenti per le antiche frequentazioni romane e non è un caso se questa guerra fra bande nel PdL rischia di trascinare chissà dove il partito di Berlusconi. Il Cavaliere ha capito il clima e si accinge dappertutto a pensionare chi da troppo tempo è in politica per chiudere con certe camarille e tentare di riprendere consensi in caduta libera.
Se c'è una morale nelle cose è proprio "la morale", intesa come regole di comportamento non imposte che dovrebbero far parte del bagaglio culturale di chi fa politica per distinguere il bene dal male, allontanando in automatico chi attirato solo da traffici e soldi. Mentre oggi spregiudicatezza e talvolta anche incultura sembrano biglietti da visita utili per far carriera: la colpa sarà certo dei politici protagonisti di certe vicende, ma anche dei cittadini che li votano.

Questa situazione astrusa

Una via di BruxellesSalgo a Bruxelles tra poco per una riunione di commissione del "Comitato delle Regioni" e sono contento di una parentesi europea. Intendiamoci subito: Bruxelles è ormai e anzitutto la Capitale europea e so bene quanto il processo d'integrazione sia diventato complicato e si trovi in una fase declinante. Ai soliti problemi ben noti, tipo il centralismo crescente delle Istituzioni europee e lo strapotere degli Stati in barba agli slogan sulla sussidiarietà e sull’Europa delle Regioni, si somma la crisi economica che picchia duro e noto come in Valle al fragore della tempesta si sia sostituita ormai la tempesta in piena regola e con un'autonomia speciale gravemente ridimensionata.
Anzi, non ci sarebbe neppure da stupirsi che il Governo Monti butti lì un disegno di legge costituzionale che abolisca le speciali, che non ha i tempi utili per l'approvazione, ma intanto «si vede l'effetto che fa». Quando l'economia vacilla, specie con una politica europea balbettante, l'esito è giocoforza quello di una spinta centralistica di tutta evidenza. Ne approfittano l'Europa e ancor di più gli Stati che con gli accordi sulla governance economica soffocano Regioni ed Enti locali.
Ma Bruxelles è anche Capitale del Belgio: lo Stato europeo con il federalismo più avanzato, nato per far convivere due popoli diversi, i fiamminghi e i valloni, specie con la spinta dei primi di volersi dotare di uno Stato sovrano, come da esiti elettorali. Quando per un periodo lunghissimo il Parlamento belga non è riuscito a nominare un Governo si è visto come la struttura federale consentisse di vivere lo stesso. Dovrebbe essere questo un argomento su cui riflettere e dovrebbe farlo chi - anche con lo slogan distruttivo «Contrordine compagni!» - si rimangia le scelte federaliste buone fine a poche settimane fa.
Questa atmosfera europea è utile per uscire fugacemente dalla palude italiana rispetto alla quale non so più cosa dire e cosa aggiungere. L'europeismo di facciata dell'Italia si sta sgretolando giorno dopo giorno e avanza da parte di tanti e diversi fra loro questa idea che in fondo ​questo quadro comunitario non serva per nulla. E' come se la Storia non avesse insegnato niente. D'altra parte - diciamoci la verità - chiunque segua un quiz televisivo si accorge di come la media dei concorrenti non sappia situare nel tempo nessun avvenimento storico. Verrò da una generazione martoriata dalle date, ma noto che troppi non prendono un canale su questione elementari per chi voglia definirsi un cittadino consapevole.
A questo "niet" per un'Unione europea inutile se non da osteggiare, perché è una "rompiballe" che detta regole, si aggiunge un curioso e distorto nazionalismo, che ora prende di mira la struttura della Repubblica. In questo frangente, con il Governo tecnico che ha dato una mano di colore a Palazzo Chigi e ai Ministeri, piace di nuovo lo Stato centrale e qualunque forma di autonomia locale va aborrita perché inutile e sprecona («che i ladri vadano in galera!»).
Una moda che verrà cavalcata dal Governo Monti, il cui gradiente di eccentricità giuridica sta raggiungendo livelli planetari. Chi chiede dei distinguo è un appestato («dagli all'untore!») e difende la propria corporazione e i propri privilegi. Da questo punto di vista sarà da capire che cosa siano questi tagli draconiani che i Presidenti delle Regioni hanno proposto al Governo e al Quirinale e che dovrebbero confluire in un decreto legge (sic!).
Per cui vado a Bruxelles per ricaricare le pile e capire se sono matto io o se stiamo vivendo una situazione astrusa.

Torno sul luogo del delitto

Non facciamoci mettere sotto scaccoNessuno discute sulla necessità, anche in Valle d'Aosta, di accettare l'austerità e di individuare ogni possibile forma di risparmio.
Un trentennio di "ricchezza" del Bilancio regionale, dagli anni Ottanta ad oggi, è stato preceduto da un trentennio di "povertà". Per cui questa storia di un'autonomia ricca e privilegiata va comunque sempre temperata e le crescenti risorse degli "anni d'oro" hanno corrisposto alla scelta di autofinanziare settori costosissimi come sanità ed assistenza sociale, scuola ed università, strade ed opere pubbliche, "Protezione civile" ed assetto del territorio, oltre ad una serie di regionalizzazioni di servizi altrove statali come Vigili del fuoco, Corpo forestale e Motorizzazione civile.
Insomma: l'ordinamento finanziario nel suo complesso ha portato anche, com'è giusto che sia, ad un aumento del perimetro dell'autonomia politica e amministrativa con costi crescenti facilmente documentabili.
Ovvio che ci sia stato un rovescio della medaglia: un aumento dei dipendenti pubblici, un accrescimento del mondo delle partecipate, una logica di leggi di spesa con un interventismo regionale a pioggia nell'economia, una bulimia di manifestazioni e di convegnistica, un aumento dei costi complessivi della politica e altri aspetti - tipo la rinascita della "Camera di Commercio" - su cui si potrebbe discutere.
Devo dire - e io l'ho fatto nelle mie responsabilità - che sono temi su cui ho spesso riflettuto in vista di epoche difficili di dimagrimento e di razionalizzazione. Bisogna certo essere pronti ai sacrifici e ai tagli, ma con una fondamentale avvertenza.
Si tratta del principio del coinvolgimento nelle scelte, che non possono essere calate dall'alto, e della determinazione autonoma del da farsi senza l'uso strumentale della crisi economica e della ghigliottina del patto di stabilità o dei cavilli da "spending review". Soprattutto non va bene che il calo della spesa pubblica penetri come un veleno che vuole in realtà uccidere la nostra autonomia speciale e quell'indissolubile legame fra scelte politiche e risorse finanziarie. Ricordando che siamo minoranza linguistica e questo implica una tutela specifica, zona di montagna con i problemi connessi e Regione su cui pesa la piccolezza delle dimensioni che obbliga a garantire servizi che costano di più.
Dal punto di vista interno questo significa scegliere fra utile e inutile, fra indispensabile e superfluo, fra sociale e interessi particolari, fra investimenti necessari e opere rinviabili. Questo significa anche una classe politica di qualità: in certi casi e in tutti gli schieramenti la politica ha attirato gente simpatica ma senza le basi, aggregatori di voti, furbetti del quartierino, amici degli amici. La politica è studio e fatica, analisi dei dossier, confronto con tecnici e dirigenti, equilibrio fra attività "panem e circenses" e leggi ben scritte, politica pura fatta di idee e azione amministrativa quotidiana, rapporti con Roma e Bruxelles.
Cose difficili e questo obbligherà a riequilibrare il "rapporto Giunta-Consiglio" e a spingere la Giunta a logiche di condivisione "Presidente-Assessori" ed a valorizzare le autonomie locali come snodo di rapporti democratici contro un centralismo regionale e aostano.
Un passaggio molto stretto e rispetto al quale gli errori più grandi sarebbero: capitolare con troppa facilità a violazioni dei nostri diritti, far finta di niente e finire spennati piuma dopo piuma, essere solo difensivi e non essere invece offensivi sullo scacchiere politico.
Il bizzarrissimo economista inglese, di cui tanto si parla nella logica di impegno pubblico per il rilancio dell'economia, John Maynard Keynes, ha scritto: "La difficoltà non sta nel credere nelle nuove idee, ma nel fuggire dalle vecchie".

Quel telefonino che ho in mano

La scatola dell'iPhone 5Non comprerò l'iPhone 5: per ora il modello precedente che ho basta e avanza. Non seguirò la logica di alcuni amici che aspettavano da mesi il modello ultimo grido e si sono precipitati a fare le code nelle scorse ore.
Per altro diffido istintivamente dei modelli nuovi perché resta l'atavico dubbio che ci sia ancora qualcosa da mettere a posto. Ancora oggi quando acquisto un'auto non mi capacito che non ci sia più quel periodo di rodaggio che un tempo era obbligatorio.
Pur essendo ormai da anni un fruitore del telefonino Apple, eviterò di esaltarne le caratteristiche perché, seguendo per curiosità i siti specializzati della marca in questione, mi sono reso conto che esiste da sempre una sorta di rivalità fra i fans dei prodotti con la mela e il resto del mondo. Io stesso ho un figlio con un "Galaxy" che passa il tempo a dire peste e corna del mio portatile e ad esaltare il suo prodotto coreano e a poco serve citare la nota sentenza che ha visto la "Samsung" dover scucire un sacco di soldi per ricopiature effettuate.
Resta comunque da riconoscere a Steve Jobs - la cui morte ha privato la "Apple" del proprio leader - la stoffa dello straordinario innovatore, come dimostrato dalla corposa e ben nota biografia e dai prodotti in circolazione che hanno avuto il pregio di rendere sempre più portatile un vero e proprio computer integrato alla telefonia e soprattutto al mondo incredibilmente vasto di Internet.
Chi usa questi prodotti credo abbia una duplice consapevolezza. La prima è positiva: le numerosissime e versatili applicazioni consentono di poter fare un mare di cose e chi si abitui a sfruttare per il lavoro e per il tempo libero il proprio iPhone ha visto aprirsi possibilità un tempo impensabili in un solo strumento. Il secondo aspetto è problematico: esiste il rischio di essere compulsivi e vagamente maniacali e ritrovarsi il telefonino sempre in mano come una nuova schiavitù tecnologica.
Tutte le tecnologie nascono per supportare noi esseri umani nelle nostre necessità e a questo bisogna attenersi, prendendo il buono e scartando il cattivo nel loro uso. Non si tratta mai di avere oggetti né come nuova dipendenza né come come status symbol e spesso chi ridicolizza questi telefoni-computer appartiene a quella ancora vasta parte di popolazione che ha deciso di vivere in una parziale o totale forma di analfabetismo digitale, che al posto di essere una dimostrazione di anticonformismo è una scelta di isolamento.

Essere indignati e essere degni

Indignati«Quand on s'indigne, il convient de se demander si l'on est digne».
Così rifletteva l'Abbé Pierre con una frase che può essere letta in due modi in questo momento contingente. Momento duro e difficile, spesso incomprensibile, specie per chi crede nella politica.
Roma versus Aosta. Io mi indigno di tutte le manovre in atto, in un concerto vasto come se ci fosse un direttore d'orchestra o almeno un idem sentire, che mira allo svuotamento dapprima e alla soppressione della nostra autonomia speciale. Ma siamo come valdostani sicuri di essere degni e cioè di essere una comunità che ha diritto, persone che meritano?
Io - dolorosamente conscio di quanto non funzioni hic et nunc - penso di sì perché è scritto nella storia. Non è solo una questione di diritto costituzionale, perché lo Statuto fotografa qualcosa che si ancora alle norme giuridiche, ma che è prepolitico come può esserlo il senso d'identità e di appartenenza.
Aosta versus Roma. Roma si indigna di noi con la solita logica, riassumibile nelle famose cinque "W" del giornalismo americano: "who" ("chi"), "what" ("cosa"), "when" ("quando"), "where" ("dove") e "why" ("perché").
Chi si indigna? Gli stessi che già alla Costituente e in molti ambienti erano nel dopoguerra contro irrimediabilmente contro e che in un passato recente si son pure travestiti da federalisti.
Cosa? L'autonomia speciale è un pezzo di un possibile quadro federalista, alternativo per chi predica un misto ormai fra centralismo e poteri forti.
Quando? Ora, certo, ma il rumore scende e sale secondo i tempi e ora le grida contro la nostra autonomia appaiono lancinanti come intensità e durata.
Dove? Nella politica e nel giornalismo in particolare, uniti da un collante di fine di cancellare ogni diversità politica e amministrativa.
Perché? Lunga storia che attraversa le epoche e oscilla fra il desiderio d'autogoverno e le spinte che si oppongono e ora vale il "Roma contro tutti" Così, semplicemente.
E questo insieme è più degno di quel che rappresenta l'autonomia speciale e spera addirittura nel federalismo? Io penso di no perché lo Stato è e resta in Italia di gran lunga lo scialacquatore per eccellenza e non mi stancherò di farlo sapere, altrimenti il silenzio di oggi non sarebbe niente altro che complicità in un disegno in cui alla fine non saremmo neppure più una marginale Provincia piemontese ma un'insignificante parte dell'area metropolitana di Torino.
Che si chiaro infine che i ladri sono ladri e l'assioma che dovrebbe legare regionalismo e chi ha rubato soldi pubblici è un esercizio ridicolo ma, visto quel che sta capitando, efficace.

Guardando quei ragazzi

Code nel centro di Aosta, in prossimità di una scuolaAl mattino, quando entro nel centro di Aosta, pochi minuti prima delle ore 8, cosa che faccio quasi tutti i giorni, c'è un ingorgo di auto talmente spaventoso e in progressivo peggioramento che si procede a passo d'uomo. A quell'ora la città è degli studenti che accorrono verso la loro scuola: così, impantanato nel traffico, finisco per guardare questi ragazzi e osservare quell'andirivieni vitale e pensare di loro e di me.
Non lo faccio con nostalgia o invidia: la vita è un film che non può essere riavvolto e ogni età ha un suo perché. Quando incontro i miei coetanei dei tempi fantastici delle scuole superiori ripiombiamo assieme nel tempo passato, ma se ne avessi la possibilità non fisserei le lancette dell'orologio della macchina del tempo su quel periodo. Mi piacerebbe tornare semmai alla fine degli anni Settanta quando, finita la Maturità, cominciai a fare il giornalista, il lavoro che già da qualche annetto pensavo che sarebbe stato il mio.
Guardando quei giovani di oggi, compresi i miei due figli più grandi, penso proprio che la grande differenza fra allora e oggi - sprofondati come siamo in un clima di tremende incertezze - stia nel fatto che allora nello scegliere il "da farsi", se non c'erano impedimenti familiari, avevi di fronte a te una "tabula rasa". Potevi, con un legittimo spazio di speranza, pensare che le strade da intraprendere fossero varie e spettava a te sceglierne una, certo con quella parte di azzardo che c'è nelle scelte fatte nel corso della nostra esistenza. Certo gli errori, oggi come allora, li pagavi, ma oggi i condizionamenti pesano di più: la difficoltà di trovare un lavoro condiziona enormemente la vita di chi non vuole proseguire i suoi studi, come dimostrato da un tasso di disoccupazione giovanile senza eguali anche in Valle d'Aosta; se scegli di studiare ti trovi di fronte le ristrettezze attuali delle famiglie a fronte di costi crescenti per le Università e soprattutto non è facile scegliere tra i rischi del numero chiuso negli accessi a molte Facoltà e il timore fondato di scegliere una strada sbagliata proprio per le condizioni così negative del mercato del lavoro.
Così come genitore vivi l'evidente paura - questo termine è stato usato giustamente dalla sindacalista Susanna Camusso per descrivere un sentimento diffuso di fronte alle troppe incertezze - per l'avvenire delle generazioni future. Esiste un senso di impotenza e talvolta anche di sconfitta per una macchina che, nell'economia come in politica, si è inceppata e bisogna a tutti costi far ripartire. Lo dobbiamo a noi stessi e a loro, i giovani che si trovano a vivere anni complessi in momenti decisivi per quello che diventeranno e per la società tutta intera.

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