August 2012

I predatori che fan discutere

Il lupo la pensa così?Mi ha sempre colpito ascoltare il racconto delle spedizioni fotografiche, sulle tracce degli animali da immortalare, del grande fotografo naturalista valdostano Stefano Unterthiner. Per chi si fosse distratto basta una visita al suo sito per capire come il suo lavoro sia straordinario e certosino e chi ama gli animali non può che bearsi di tanta capacità di rappresentazione.
Ricordo di quanto Stefano fosse interessato, alcuni anni fa, al ritorno del lupo, tema che mi aveva appassionato moltissimo perché trovavo affascinante l'idea di questi animali che, una volta scomparsi, tornavano naturalmente a ripopolare le nostre montagne e avevo con viva curiosità letto - e qui riportato - di come analoga e spontaneo ritorno potesse avvenire, lato Monte Rosa, per l'orso. Mentre il gipeto, l'avvoltoio degli agnelli (un piccolo della specie ha cominciato a volare poche ore fa), è stato reintrodotto, come si era provato senza successo a fare a suo tempo nel "Parco del Gran Paradiso" con la lince.
Intendiamoci bene: la società contadina del passato non aveva fatto sparire questi animali per cattiveria, ma perché la presenza di certi predatori nuoceva alle tradizionali attività del mondo rurale, per cui i cacciatori che uccisero gli ultimi esemplari (l'orso nel 1859, il lupo nel 1862 ed il gipeto nel 1913) erano considerati degli eroi che avevano fatto "pulizia". Considerazione che oggi ci può stupire, ma è bene sempre porsi nelle condizioni della società dell'epoca con l'immagine culturale che c'era verso gli animali.
Ci pensavo rispetto al lupo. Argomento caldissimo dovunque si vada: nelle vallate cuneesi, sui Pirenei, nel vicino Vallese, sulle Hautes-Alpes francesi e lo stesso vale per l'orso nel Trentino, nel Tirolo del Sud, in Friuli e via di questo passo. Esiste tutto un mondo ambientalista che plaude, si commuove e protegge, e un altro mondo - quello dei montanari allevatori - che spiega quelli che sono i "contro" e le preoccupazioni, chiedendo - dovendo dirlo brutalmente - se e quando si possa sparare ad animali quando possano risultare nocivi, anche se ovviamente loro fanno il loro lavoro nell'ecosistema...
Su capre.it trovate un articolo di spiegazione - almeno per capire il punto di vista - scritto tempo fa da Michele Corti, il cui inizio - e le vignetta qui pubblicata - non nascondono la tesi: "Con la prossima stagione d'alpeggio si profila sempre più concretamente una nuova minaccia per le produzioni di latte ovino, caprino o miste. Come se non bastassero la burocrazia, l'iperigienismo, l'esproprio di tipicità, immagini, e denominazioni - operato spregiudicatamente dai caseifici industriali - ecco il nuovo regalo della civiltà "industriale": il ritorno degli orsi e dei lupi sulle Alpi".
E' bene non far finta di niente, come ho potuto testare giorni fa in Val Maira in una platea con allevatori di ovini e caprini letteralmente esasperati e pronti a tutto, pur di difendere i propri animali ed il proprio lavoro.

Nostalgia dei fumetti

Il mitico cavernicolo B.C.Quando mi capita di andare nelle librerie francesi – tipo "Fnac" alle "Halles" di Parigi - sono sconvolto dalla quantità e qualità di "BD" (sigla di "bande dessinée") in vendita e che vengono beatamente sfogliati da nugoli di clienti che si aggirano fra le scansie. Non è una passione che ho. Forse l'unica lettura da adulto che ho fatto è di alcuni numeri imbattibili di "Asterix" e poco altro.
Da ragazzino, invece, i fumetti erano "i fumetti", roba popolare non sofisticata. Da "Il Giornalino" in oratorio all'abbonamento a "Topolino", dall'acquisto in edicola de "Il Monello" e  dell'"Intrepido", alla lettura di "Tex Willer" e "Zagor" al ripetitivo "Diabolik" sino ad arrivare da ragazzo a "Linus" con fumetti conditi di molta politica all'epoca del mitico "OdB", Oreste Del Buono. Senza dimenticare che spesso si sceglievano i diari scolastici con una logica simile.
Oggi temo che il cartaceo sia rovinato dalla logica "video" che sia attraverso una televisione o un computer nelle sue varie versioni. Ed è un vero peccato, senza giocare al passatista, perché il fumetto era comunque una forma di ginnastica mentale e ricordo - perché la carta stampata crea questa piacevolezza - il gusto dell'apertura del "numero nuovo", atteso a qualunque età durante la crescita.
Ognuno, nella lettura, poteva avere le sue simpatie. Della "Walt Disney" mi sono sempre sentito un pochino "Paperino", ma chi mi ha sempre fatto più ridere è di certo "Pippo". Dell'"Intrepido" ricordo le avventure di "Billy Bis" e "Lone Wolf". Di "Tex Willer", oltre a lui, pistolero fuorilegge che diventa ranger, non si può dimenticare "Kit Carson" e i "Navajos", indiani già sdoganati rispetto al fatto di essere "cattivi", caratteristico dei western dell'epoca. Su "Linus", invece, a parte i diversi "Peanuts", c'era di tutto, spaziando dal "Mago Wiz" a "B.C.", da "Corto Maltese" alle vignette di Altan.
Il ricordo mi offre la certezza che non esistono, nella formazione di ciascuno di noi, graduatorie di apporti culturali da catalogare rigidamente in "alti" e "bassi". Tutto aiuta a capire e a crescere.

I cicli dell'industria

La torre piezometrica dell'ex Ilssa Viola a Pont-Saint-MartinSe i capannoni industriali potessero parlare restituirebbero in modo vivido il sovrapporsi delle esperienze che si sono succedute nel tempo.
La riflessione appare ovvia pensando alle incredibili tribolazioni della "Verrès spa" che in queste ore chiude e si attende di conoscerne il futuro e lo stesso è purtroppo capitato di recente per lo stabilimento "Olivetti" di Arnad.
Un déjà-vu, pesante per i lavoratori interessati, pensando proprio come esempio a quest'ultima fabbrica, nata come stabilimento tessile e chiusa per la crisi del settore o ricordando le attività, spesso sfortunate, che si sono sovrapposte nel grande complesso poco vicino e noto come "ex Sirca David" dal nome della fabbrica di cioccolato che sorse per poi sparire una cinquantina di anni fa. Oggi una parte ospita, per fortuna, quella "GPS Standard", azienda di punta e "mosca bianca" che andrebbe trattata come merita.
Pensiamo ai destini della siderurgia e al più grande stabilimento della Valle: l'area "Cogne", dove da più di un secolo si sussegue una lunga storia industriale che ha interessato generazioni e generazioni e che è visibile persino nei segni dell'archeologia industriale. Doveva questa zona, città nella città, avere un duplice valore: il segno della resistenza di uno "zoccolo duro" di siderurgia, che si mantiene tenacemente fra mille difficoltà e, dall'altra, il simbolo di una re-indistruzionalizzazione, purtroppo non riuscita, esempio tangibile di questa difficoltà sarà la scelta spiazzante di costruire in zona una discoteca.
Oppure come non citare l'area "Ilssa Viola" di Pont-Saint-Martin, cancellata dopo la crisi nel vero senso del termine, visto che - rasa al suolo la chiesetta residua della fabbrica - nulla resta delle vestigia del passato della produzione dell'acciaio. E lì i capannoni più recenti mostrano in modo tangibile gli alti e bassi di industrie passate e andate via e solo la "Thermoplay" è il caso di scuola di un industria familiare che funziona.
Potrei continuare con storie dell'industria altrove, come a Châtillon, Morgex, Pollein, Saint-Marcel e via di questo passo. Quel che se ne ricaverebbe è che è naturale che vi siano cicli più o meno lunghi di vita di singole attività produttive che seguono i destini altalenanti delle loro produzioni e le fortune delle singole società. Fenomeni resi più complessi da un mondo sempre più globalizzato.
Ma non ci si può arrendere, oggi come in passato, alla de-industrializzazione, anche se le rigide norme di concorrenza e i limiti agli aiuti di Stato hanno spuntato le armi di una Regione autonoma come la nostra. Ma appunto non ci si deve né rassegnare né far finta di niente.

Il leone e la gazzella

Le quattro medaglie d'oro olimpiche nel fioretto femminile"Ogni mattina, in Africa, si svegliano un leone ed una gazzella. Il leone sa che deve correre più veloce della gazzella, altrimenti morirà di fame. La gazzella sa che deve correre più veloce del leone, altrimenti sarà mangiata. Che tu sia leone o gazzella, appena sveglio, comincia a correre!".
La storiella è nota e la morale sul sano darsi da fare quotidiano sarà pure banale, ma centra il bersaglio. Se anche il più distratto lettore si occupa della storia valdostana vedrà che, dovendola dire in modo rozzo, la piccola Valle d'Aosta è finita sempre male, nel corso dei millenni, quando - per le ragioni più disparate - ha smesso di correre.
Ora non so esattamente in che parte del percorso ci troviamo: dovessi seguire l'istinto direi che attualmente butta male. L'autonomia speciale, pur dinamica dal dopoguerra ad oggi, ora sembra, per chi circonda, diventata da buttare via e in politica vigono regole del genere "homo homini lupus" e dunque prima di finire sbranati sarebbe bene ragionare su cosa fare e magari dare noi stesso qualche morsetto. L'attendismo genera l'idea di mollezza e, almeno per quel che mi riguarda, la situazione economica non può essere il pretesto per scardinare l'ordinamento valdostano e bastano alcune incertezze per vedere crollare l'attuale costruzione autonomistica. Non è allarmismo, ma la constatazione che se non si reagisce e si accettano fatti e circostanze ci si troverà di fronte ad un punto di non ritorno.
In periodo olimpico ho usato per descrivere la necessità di avere coesione l'esempio della squadra di fioretto femminile: tre atlete Valentina Vezzali, Elisa Di Francisca ed Arianna Errigo che nell'individuale esprimono forti rivalità, ma quando è ora di lavorare in équipe lo fanno. Certo la lettura può essere duplice: dentro i singoli partiti, nel mio caso ovviamente l'Union Valdôtaine e anche nell'insieme dei partiti, quando lo scopo da raggiungere richiede che la comunità sappia esprimersi in modo corale.

Datemi un gelato

Gelato, desiderio e passione estivaI più antichi, nella memoria, sono il gelato alla crema di Vinzia al "Vallin" di Verrès e il gelato confezionato alla banana nell'alimentari di Gigetta a Castelvecchio di Imperia. Sono due luoghi perduti per sempre: non ci sono più né le persone né i locali. Ma resta il prodigio dei ricordi e risento sulla lingua e il palato quei sapori unici, che hanno impregnato le mie papille gustative che lo hanno a loro volta trasmesso al mio cervello che le ha catalogate e le restituisce a richiesta. Un prodigio, certo. 
Sulla bontà del gelato non dilungo  ma riporto volentieri una curiosità. Voi - la ricordo nel cuore dell'estate, tratta da montagna.tv - questa notizia sul gelato, che arriva dalla vicina Vevey l'avevate letta qualche mese fa?
"Cosa hanno in comune neve, valanghe e prodotti del banco frigo come creme e gelato? Tutti e tre sono oggetto di uno studio voluto dalla "Nestlè" e affidato all’Istituto di ricerca su neve e valanghe di Davos. L’azienda infatti, ha richiesto l’aiuto del team di nivologi per migliorare la conservazione dei propri prodotti dolciari nel frigorifero di casa e rendere i gelati più cremosi.
Sembra non esserci grande differenza tra neve e gelato, almeno secondo le analisi dell'Istituto di ricerca su neve e valanghe di Davos. I nivologi infatti, hanno condotto vari esperimenti per conto della Nestlè sui prodotti da conservare nel frigorifero: hanno analizzato campioni di gelato ai raggi X, sottoponendoli a varie temperature per diversi giorni o addirittura settimane.
L'obiettivo era quello di seguire la nascita e l’evoluzione dei cristalli di ghiaccio che si formano nell'ambiente freddo dell'elettrodomestico. Sembra che gli scienziati abbiano notato una somiglianza tra come i cristalli di neve influenzano il manto nevoso instabile delle valanghe e la consistenza del gelato, anch'esso formato da una struttura instabile.
Inoltre queste minuscole formazioni di ghiaccio hanno mostrato nei vari esperimenti un'elevata sensibilità alle variazioni di temperatura, variazioni che avvengono frequentemente dal momento della produzione del gelato all'arrivo nelle nostre abitazioni.
Questi cicli di cambiamento compromettono la qualità del gelato, il suo sapore e la sua cremosità ed è su questo che ora gli scienziati si stanno concentrando: trovare un modo di constrastare gli effetti dei cristalli di ghiaccio e ridurne il loro sviluppo"
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Questa lunga spiegazione la riporterò al mio amico Mauro Morandin, pasticciere che fa a che ottimi gelati, e che ha aperto in via Porta Pretoria, quasi all'angolo con piazza Chanoux ad Aosta.
Una parentesi golosa nel centro città.

P.S.: se cercate su Internet scoprirete che, specie negli Stati Uniti, è pieno di ricette per farsi il gelato partendo dalla neve come vera e propria materia prima. Pratica esistente in passato (di una sorta di sorbetto di neve con latte di capra parla la Bibbia!) certo sconsigliabile con l'inquinamento attuale.

Ricordarsi del mondo reale

Massimo GaggiLeggo sempre con interesse quel che scrive l'editorialista del "Corriere della Sera", Massimo Gaggi, sugli Stati Uniti. Uno può girarla come vuole, ma la fase depressiva europea e l'incertezza dell'economia mondiale rilanciano l'America e la sua capacità d'adattamento in barba a chi, con periodicità e talvolta con malcelata soddisfazione perché l'antiamericanismo è una malattia infantile come gli orecchioni, sancisce la fine del "ruolo motore" degli States. E gli americani, vero crogiolo di sottoinsiemi che formano un unicum, ti stupiscono restando cartina di tornasole di molti fenomeni sociali, anche se non sono sempre simpatici e certo dietro le speculazioni sull'euro ci sono anche speculatori a stelle e strisce.
Da lì arrivano non a caso le ultime sulla frontiera di Internet, lo strumento che con i suoi contenuti ha cambiato nel volgere di pochi anni la nostra vita. Si riduce sempre di più la percentuale di chi resiste fra snobismo verso le nuove tecnologie e le sue potenzialità e la rassegnazione a questo tipo di nuovo analfabetismo che esclude chi non conosce la Rete.
Gaggi racconta del rischio che Internet possa diventare, specie per i più giovani, una nuova forma di disagio mentale (lui usa il termine "disordine mentale"). Un americano sta mediamente davanti allo schermo dei diversi aggeggi elettronici otto ore al giorno, che salgono ad undici fra i più giovani. Come tutte le medie questo vuol dire che c'è già chi supera queste cifre, vivendo ancor di più nel mondo virtuale che in quello reale, schiavo di una vera e propria dipendenza.
Gaggi cita una frase di Eric Schmidt, presidente di "Google", che ha detto: «ragazzi, almeno per un'ora al giorno, smettete di fissare i vostri schermi e guardate negli occhi le persone che amate. Parlate, avviate una conversazione vera».
Insomma certe nuove tecnologie e la logica dell'"essere connessi" possono essere un vantaggio a condizione che non impoveriscano il contatto umano e quella socialità senza la quale possiamo diventare una specie monade digitale, perché il mondo vero non ci appartiene più.

Per non farsi trascinare dagli eventi

So che lo dico troppo spesso, ma cosa volete nel tempo - come fanno i giocolieri di un circo - ognuno di noi usa le proprie idee acquisite e le ruota in aria come le clavette nel corso di uno spettacolo.
La Storia, questo è il succo, la si vive in certe circostanze "nascenti", come immersi nel flusso rapido di un torrente di montagna, e la corrente ti trascina e tu non sai bene dove vai a finire.
Così mi sento di questi tempi: per quanto uno si sforzi di snasare l'aria e di capire i movimenti ho sempre la sgradevole sensazione di essere trascinato via e impedito nei movimenti. Ho sempre detto, con buona pace di chi pensava che essere arroccati nel castello della nostra autonomia speciale, che non esiste più un territorio "franco" dove si possa vivere indipendentemente dalle volontà altrui. Non è mai stato così e non lo è oggi in questo mondo nervosamente percorso da interazioni continue che condizionano pesantemente chiunque di noi e qualunque sia l'attività che svolge.

Sotto il temporale

Fulmini, non proprio 'a ciel sereno'Sarà che in queste settimane le occasioni non sono mancate in un'estate molto spesso piovosa, ma il fatto è che l'altra sera, essendo oggetto di conversazione, ho scoperto di non essere pazzo. Ho infatti appurato di condividere con alcuni commensali la mia insana passione per i temporali e poi nei giorni successivi ho ulteriormente verificato - non fosse altro per il continuo ripetersi del fenomeno che fa socialità perché parlare del tempo è un classico - quanto questo sia un dato comune.
Amo i temporali e ho un ricordo vivissimo di quando - ero molto piccolo - mio padre a Pila, durante i temporali, spiegava - osservando il fenomeno dalla finestra della casa dove andavamo in villeggiatura - come capire se il temporale si stesse avvicinando o allontanando. Poiché il rumore del tuono segue di norma di alcuni secondi il bagliore del lampo, essendo che la luce viaggia a velocità maggiore rispetto al suono, misurando il tempo che intercorre tra la visione del lampo e la percezione del suono, è possibile determinare a quale distanza si sia verificato il fenomeno e più è distante il temporale e più passa del tempo.
A me l'esperimento piaceva, ma ai miei piaceva meno che volessi uscire per respirare l'aria elettrizzante del temporale che mi galvanizzava (verbo giusto, visto che deriva dai bizzarri esperimenti settecenteschi con l'elettricità di Luigi Galvani). 
Eccitazione benevola che mi portava da bambino a voler fare il bagno in mare a tutti i costi durante i temporali, quando l'acqua diventa stranamente calda, benché ammonito dei rischi terrificanti di un fulmine che colpisse la superficie nei miei paraggi. 
Ricordo poi da adulto certi terribili temporali presi in montagna, come una discesa - in maglietta e pantaloncini - giù a rotta di collo da Col Du Mont in Valgrisenche sotto una pioggia da tregenda. Ero fradicio e stanco ma carico come una pila.
Mi sembra una predilezione innocua.

I perché dei tumori e il "caso corso"

La 'Foresta rossa', contaminata dall'incidente di Černobyl'Chissà se un giorno si scoprirà con esattezza il perché della terribile presenza dei tumori in Valle d'Aosta. Basta guardarsi attorno, fra parenti e amici, per averne una conferma empirica. Se si guardano poi i dati, di cui posso dare qualche indicazione rozza, perché gli studi sono materia difficile da volgarizzare e la statistica è materia da manovrare con attenzione per un campione piccolo come quello valdostano, si può vedere che per gli uomini in Valle l'incidenza e purtroppo la mortalità sono elevatissime se comparate ad altre Regioni (siamo secondi solo alla Campania), mentre per le donne incidenza e mortalità sono elevate, ma siamo in "gruppo" con altre Regioni.
Conosco alcune delle spiegazioni, che vanno dagli stili di vita che evidenziano diversi fattori di rischio a motivi ambientali come l’esposizione a diverse sostanze cancerogene, ma certo risultano alla fine interessanti ma insoddisfacenti per i comuni mortali e dovrà essere la ricerca scientifica - ed un giorno sicuramente avverrà come per altre terribili malattie - a svelare i meccanismi con esattezza ed a trovare un rimedio radicale.
Mi ha incuriosito una storia che si sta sviluppando in Corsica, dove esiste la convinzione popolare, sinora smentita dalla accertamenti della Magistratura, che ci sia per alcuni tumori e analoghe malattie una lunga scia di morti causati dalle celebre centrale nucleare di Černobyl', sedici anni fa.
Traggo questi elementi da un giornale francese e sintetizzo: "En octobre 2001, la Collectivité territoriale de Corse (CTC) s'était solennellement élevée contre la décision de la cour d'appel de Paris de ne pas poursuivre les investigations sur l'impact du nuage radioactif de Tchernobyl en France. Les élus de l'assemblée avaient alors décidé de confier à l'hôpital "Galliera" de Gênes une étude épidémiologique concernant les conséquences sanitaires de la catastrophe dans l’île. Cette étude est entrée dans une nouvelle phase vendredi, avec la sollicitation de la population".
Così si sottolinea il passaggio attaule dello studio in corso: "Plus de 26 ans après l'explosion du réacteur numéro 4 de la centrale ukrainienne, survenue le 26 avril 1986, une grande enquête a donc été lancée auprès de la population corse. La CTC a diffusé un "Appel à la population" pour "recenser les pathologies déclarées après le passage du nuage radioactif et susceptibles d'avoir été causées par celui-ci: maladies du sang (hémopathies malignes, lymphomes ou leucémies) et maladies de la thyroïde", précise l'instance dans un communiqué".
Ovviamente non c’è solo il "caso corso": "Le passage du nuage de Tchernobyl et ses conséquences font l'objet d'une controverse en France. Les autorités françaises n'ont jamais reconnu la moindre conséquence sanitaire, répandant l'idée que, selon l'expression consacrée, le nuage s'est arrêté aux frontières françaises. Et dans un arrêt de non-lieu rendu le 7 septembre 2011, la Cour d'appel de Paris a estimé que cette catastrophe n'avait pas eu de conséquence sanitaire mesurable en France. Elle a notamment mis hors de cause l'ancien directeur du "Service central de protection contre les rayons ionisants", le professeur Pierre Pellerin, seul mis en examen, pour "tromperie aggravée", en 2006, dans ce dossier".
Leggo che anche in Italia gli studi fatti hanno "scagionato" l'esplosione della centrale nucleare e smentito la vulgata popolare che anche da noi in Valle è solidamente ancorata. Vedremo ora che cosa sortirà da questo approfondimento in Corsica.

L'Unione europea e la democrazia

Il libro di Nicolas LevratBasta entrare nel sito di "La documentation française" per capire che abbiamo a che fare con un editore sui generis, trattandosi della Repubblica francese in persona attraverso la "Direction de l'information légale et administrative" (acronimo, come piace ai francesi, "Dila").
Oltre a occuparsi di tutta la pubblicazioni ufficiali - "Journal" e "Bullettin" in diverse vesti - pubblica libri giuridici, dossier, rapporti e molto altro ancora (importanti per chi vi scrive tomi pubblicati sui problemi della montagna).
Interessante, per chi ami i temi europeisti e pensa al vuoto pneumatico sul tema della nostra di Repubblica, è una collana chiamata "réflexeeurope" nella serie denominata "Débats".
Pochi mesi fa è comparso in questa serie un libro dal titolo problematico "La construction européenne est-elle démocratique" del professore ginevrino Nicolas Levrat, allievo di un personaggio assai noto in Valle, Charles Riq, e che dirige oggi - sulle tracce sul suo maestro - l'Institut européen de l'universitè de Genève
Non è un caso che sia uno svizzero ad osservare la "democraticità" dell'Unione europea, perché gli svizzeri - che dell'Unione non fanno parte ma in qualche modo sono legati ad essa attraversa una fitta rete di accordi bilaterali - hanno più di altri un punto di osservazione neutrale (ovvio!), che consente quel distacco necessario che forse certi pregiudizi di cui è imbevuto un cittadino europeo non consente. I giuristi svizzeri aggiungono, per lunga tradizione federalista, uno sguardo attento ai particolari, talvolta invisibili a noi "comunitari".
Levrat - con cui di recente sono stato in Marocco con il "Consiglio d'Europa", quando mi ha omaggiato del libro - racchiude nel volume il filo dei pensieri argomentato da dati e documenti ed il capitolo 1 svela senza problemi la tesi di partenza: "Une démocratisation peu convaincante". Mai tema poteva essere più di attualità nel cuore di una crisi di cui si stenta a vedere la conclusione e che sta scuotendo non solo le fondamenta istituzionali dell'Unione e la loro credibilità, ma ha messo in crisi le convinzioni più profonde di chi, come me, assegna un valore enorme al processo d'integrazione europea.
Il "fil rouge" riprende argomenti ben noti, che qui elenco sommariamente: "les tentatives passées pour démocratiser l'Union" (il Parlamento europeo, il "Comitato delle Regioni", la cittadinanza europea); "des tentatives infructueuses" (i sistemi elettorali, la mancanza di un dibattito europeo, gli aspetti barocchi del sistema); "un pouvoir politique désincarné" (Europa senza politica, ruolo eccessivo degli Stati, Unione troppo tecnocratica di fronte alla crisi).
Si potrebbero aggiungere molti altri argomenti evocati da Levrat, ma quel che conta nelle sue riflessioni - lo viviamo quotidianamente non solo in Europa e in Italia ma anche nella piccola Valle d'Aosta - è il problema cardine della fragilità dei meccanismi democratici, che rischiano di essere travolti dalla logica emergenziale e da governanti a tutti i livelli che preferiscono far tutto da soli o chiudersi nella linea, spesso opaca , del fare "en petit comité".

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