June 2012

I nervi saldi

rottamazione estremaPrima regola in politica è quella di guardare in casa propria. Ma, visto che io non sono reticente sull'Union Valdôtaine, credo di poter fare qualche osservazione educata sul dibattito che coinvolge l'area della destra in Valle d'Aosta.
Parlo di destra e non di centrodestra appositamente. Da noi, infatti, il ruolo dell'Unione di Centro (UdC) - oggi casa dei "centristi" per eccellenza - è sempre stato flebile e, per altro, attualmente Pierferdinando Casini e i suoi sono sul bordo del fiume che aspettano. La Lega poi, anch'essa ormai ininfluente in Valle, ha lasciato il resto della destra e veleggia alla ricerca di un proprio spazio più autonomo e si sa che in Valle potrà essere solo uno spazietto.
Resta il PdL (Popolo della Libertà), in attesa che una probabile nuova denominazione, voluta da Silvio Berlusconi in persona, riposizioni ulteriormente il partito. In Valle, in assenza di finiani rappresentativi (chi c'era non ha seguito Gianfranco Fini, ma ha scelto Berlusconi), il dibattito sembra aver assunto, più che una discussione introflessa, la strada di un "confronto esterno" che ruota attorno all'Union Valdôtaine quale pivot della politica valdostana. Fra chi - maggioritario - ha scelto un dialogo con il Mouvement, con un forte rapporto personale con Augusto Rollandin, e chi non ha digerito l'accordo o andandosene e prefigurando liste alternative per le prossime regionali o facendo una fronda interna che critica il presunto opportunismo della scelta.
Tutto questo agisce, come dicevo all'inizio, con riferimenti romani in grande movimento, perché il cambio di "marchio di fabbrica" del PdL attuale sembrerebbe essere segnato anche da rivolgimenti pesanti nell'apparatčik del partito in una logica di ringiovanimento (tranne, per ora, il leader). Vedremo che cosa si intenda per "giovani", perché ho l'impressione che l'asticella dell'età sia variabile e personalmente i "rottamatori" di qualunque schieramento mi creano qualche dubbio.
Per cui è difficile dire che cosa avverrà e quale ricaduta in Valle avrà il calo di consensi per la destra registratosi a livello nazionale con le ultime amministrative. Non so neppure come andrà a finire il fidanzamento con l'Union e se il flirt si stia o meno raffreddando, come qualcuno ha voluto leggere nelle dichiarazioni guardinghe di Ego Perron in favore di quel "centro autonomista", che ebbe il suo culmine nell'ultimo periodo della mia Presidenza e che da allora ha visto oggettivamente un gran movimentismo (con autentiche giravolte) rispetto a quel punto di partenza, pattuito con i cittadini dagli uni e dagli altri con le elezioni regionali del 2008. 
La morale della morale è che anzitutto ognuno deve davvero guardare a casa propria e poi alle alleanze che verranno. Le alleanze sono necessarie con il proporzionale con lo sbarramento che regola le nostre elezioni regionali, al di là della dichiarazione preventiva di partnership che, come si è visto in sede di prima applicazione, non è cogente giuridicamente, anche se dovrebbe esserlo politicamente ("moralmente" non lo azzardo neppure). Ma, si sa, che quando una cosa non è obbligatoria, si entra su di un terreno diverso e più scivoloso, che lascia tutti più liberi.
Insomma, tutto fa dire che non ci sarà da annoiarsi e che, anche se i commenti saliranno di tono e potranno farsi sgradevoli e persino puzzolenti, quel che conta è mantenere i nervi saldi.

A proposito dei capannoni

L'architetto Gae AulentiGoffredo Parise, quando scriveva del paesaggio del "suo" Veneto all'inizio degli anni Settanta, citava l'obbrobrio dei "capannoni". Un termine che il dizionario etimologico situa, come primo uso in italiano, nel 1884 e che risuona in tutto il suo utilizzo, poco meno di un secolo dopo.
In questi giorni, se n'è parlato tanto per i crolli in Emilia delle antiche vestigia storiche e assieme - questo è il punto - dei capannoni più moderni, spesso sede di aziende hi-tech.
Anche noi in Valle d'Aosta siamo diventati, specie nel fondovalle, un Paese di capannoni. Si tratta di una profonda discontinuità con il passato, se guardiamo non solo all'archeologia industriale tipo "Cogne" di Aosta o "Cotonificio" di Verrès, ma anche a costruzioni più moderne come la "Tecdis" di Châtillon o come la ex "Olivetti" (di cui si annuncia purtroppo la chiusura) e la "Bertolin" di Arnad. Dimostrazione questi secondi casi non storici che anche oggi non è necessario obbligatoriamente abbruttirsi nella logica da "prefabbricato standard".
Da noi il problema si pone in alcune situazioni all'ingresso di Aosta, nella parte fra Quart e Saint-Christophe, dove si concentra una sovrapposizione nel tempo di immobili che pretendono a complemento non solo un'infrastrutturazione viaria logica e coerente (si discute un progetto con "Anas", che però non ha di certo risorse per certe opere), ma anche un disegno urbanistico e paesaggistico che rimetta più ordine e un'estetica dignitosa in questa vasta zona un tempo paludosa ("marécageux" da cui deriva "Amérique"...) in quanto zona di espansione della Dora. Aggiungerei anche l'esistenza di "problemi energetici" su buona parte dei capannoni realizzati senza tener conto delle nuove tecniche costruttive e della possibilità di sfruttare superfici e tecnologie per energie da fonti rinnovabili (alcuni poi hanno idrovore in azione proprio per contrastare le acque sotterranee!).
Oltretutto la crisi economica, il riordino degli uffici pubblici, il mutamento delle esigenze artigiani e commerciali implicheranno una grande riflessione in una zona "assai compromessa", come mi disse con franchezza la grande Gae Aulenti, architetto che ha disegnato la nuova aerostazione in via di realizzazione proprio nella zona citata.
«Se sciupiamo la natura, sciupiamo la vita», ha detto il grande scrittore dell'Altipiano Mario Rigoni Stern, anche lui in prima linea - pochi anni fa - contro quei capannoni eccessivi (e in parte ormai vuoti) del "suo" Nord-Est, ma questo ormai vale in tutta Italia.
In Valle va infine ricordato - a valorizzazione di quanto già esistente e dunque alla ricerca di un concetto di "bello" nei limiti del possibile - che il settanta per cento della popolazione si concentra nel quattro per cento del territorio, che dunque è ancora più prezioso.

Olivetti, addio

Lo stabile di Arnad che ospita la 'Olivetti I-Jet'Come un fiore a cui pian piano vengano tolti tutti i petali, chiude un altro pezzo di "Olivetti", quello delle stampanti e fax, per decisione della "Telecom Italia", oggi proprietaria del marchio e delle residue attività industriali. La società, visto il declino del mercato, alla fine ha deciso di cessare le attività e cedere la sua controllata Olivetti i-Jet con, come conseguenza, la chiusura dello stabilimento di Arnad, che si occupava di prodotti della tecnologia "a getto d'inchiostro".
Quella fabbrica, nelle sue diverse evoluzioni, dentro quello stabilimento che fu costruito in seguito ad un accordo fra Regione e il gruppo tessile "Carminati", era rimasto l'ultimo baluardo di un legame assai stretto fra "Olivetti" e Valle d'Aosta.
Dovessimo cercare un "fil rouge" di una storia finora mai scritta fra la nostra Valle e la grande fabbrica di Ivrea dovremmo anzitutto far ruotare la questione attorno alla figura poliedrica di Adriano Olivetti e partire da quel Piano regolatore della Valle d'Aosta, elaborato nel 1936-1937, posto nel solco dell'architettura razionalista, per immaginare una sviluppo della Valle contro la logica di una zona individuata come solo bacino di forza lavoro.
Per poi, nel dopoguerra, esaminare - nell'interazione con il vicino Canavese - che cosa volesse dire, negli anni Cinquanta, avere Ivrea a due passi, quando era centro nevralgico dell'innovazione tecnologica italiana ed internazionale, e la società aveva 24mila dipendenti. 
Questo ha significato che molti valdostani erano pendolari verso Ivrea per lavoro ma anche per studio o che altri si spostavano definitivamente per lavorare nel "Gruppo" oppure vi è anche il caso di famiglie valdostane di agricoltori che sostituirono i canavesani che lasciavano le cascine della zona. 
Vi è poi una lunga fase che parte dal 1960, quando Adriano Olivetti muore prematuramente e il suo progetto federalista di "Comunità" declina lentamente, e la Valle d'Aosta continua ad avere un processo di osmosi che culmina negli anni Ottanta con la nascita di un accordo nel 1988 fra la nostra Regione e l'Olivetti con la nascita di "In.Va.", che doveva essere "strumento di sistema per il settore pubblico della Regione Autonoma Valle d'Aosta, fornendo soluzioni globali nel campo dell'informatica e delle telecomunicazioni (Ict - Information and communication technology)". Diverse iniziative nascono, direttamente o indirettamente in Valle, tipo la sciagurata operazione "Tecdis" a Chatillon.
Gli anni Novanta segnano la svolta per "Olivetti", con grandi intuizioni come la telefonia mobile e Internet, ma i nuovi proprietari non nascondono ambizioni puramente finanziarie e l'azienda viene spezzettata, smembrata e si assiste a quell'agonia che oggi porta anche alla chiusura di Arnad.
Un giorno - non nelle "pillole" qui proposte - qualcuno potrà scrivere di questo lungo legame fra Valle d'Aosta e Canavese nel segno di quella "Olivetti" che fu.

Il ritorno dell'estate

Un'immagine d'antan delle Terme di Saint-VincentIl turismo montano per eccellenza sulle Alpi, per una ragione storica e anche di intuizioni strategiche per far combaciare domanda e offerta, è quello svizzero. Per questo noi valdostani dobbiamo guardare con grande interesse alle scelte oltralpe per evitare di fare "quelli che scoprono l'acqua calda". Sapendo che chiudersi nel proprio guscio, senza guardare e comparare le scelte altrui, sarebbe un errore madornale.
Leggevo su Romandie.com il seguente brano di un articolo: "La saison estivale constitue l'avenir du tourisme suisse - estime Jürg Schmid, directeur de Suisse Tourisme - c'est la réalité. La concurrence s'accroît dans les destinations d'hiver, car la population vieillit et skie moins".
Aggiunge ancora l'articolo che mostra come certe idee non derivino da intuizioni più o meno buone, ma da analisi frutto di studi: "Schmid fonde son analyse sur le fait que les marchés en croissance pour la Suisse (Chine, Inde et Brésil) sont des marchés d'été. Fort de ce constat, Suisse Tourisme consacrera 65 pour cent de ses dépenses l'an prochain à promouvoir les vacances d'été. "Ce qui ne veut pas dire que l'on ne croit plus à l'hiver. Mais nous devons regagner le terrain perdu en été. Le tourisme en Suisse est d'ailleurs né en été".
Interessante questo ricordo che evoca gli albori dell'alpinismo e del termalismo, che ha preceduto il boom della vacanza sulla neve, che ha spostato l'asse sulla stagione della neve. L'andamento  non è dei migliori e per questo si parla di "un moment difficile pour le secteur" con analisi sulla riduzione degli incassi degli impianti di risalita e con alberghi considerati troppo piccoli per essere competitivi. E come non ricordare gli elementi problematici come i cambiamenti climatici, che penalizzano l'innevamento naturale e artificiale.
Per una questione di età ho ancora precisa memoria di quando il turismo montano era la villeggiatura estiva, prima che negli anni Settanta si manifestasse in Valle quel cambiamento che permise il sorpasso dell'inverno sull'estate.
Oggi gli svizzeri ipotizzano uno scenario nuovo e che questa ipotesi diventi anche da noi un argomento di discussione sarebbe un bene, perché il turismo resta per le Alpi un settore economico fondamentale.

L'abisso della memoria

Un fotogramma del finale di 'Blade Runner'In questi giorni, una studentessa universitaria, che sta lavorando sulla storia politica in Italia, mi chiede notizie sul sistema dei partiti nella mia esperienza parlamentare.
Lo fa perché stenta da sola a raccapezzarsi, guardando all'intrico della partitocrazia dell'epoca e ai passaggi difficili da capire nel dipanarsi della matassa in un percorso raramente lineare. Anzi, nel caso in esame, fra dopoguerra e anni Novanta, è davvero un saltabeccare fra la vita e la morte delle formazioni politiche e il parossistico susseguirsi delle formule politiche dei Governi che duravano talvolta lo spazio di un mattino.
Occasione per me per ripensare a tante tappe che si sono susseguite e certo «di cose ne ho viste» come il celebre replicante Roy Batty di "Blade Runner" con la suo monologo che comincia con «ho visto cose che voi umani...». Sono così entrato a curiosare nell'archivio di "Radio Radicale" e mi ha fatto impressione trovare 46 pagine di registrazioni a partire da un primo intervento del marzo del 1987, quando - ancor prima della politica - ero un giovane del "Comitato di redazione" della "Rai" di Aosta e poi via via sino agli interventi più recenti che attraversano la mia vita da allora dedicata alla politica.
Fa impressione riascoltare sé stessi guardando dentro una sorta di abisso profondo che neppure torna con facilità alla propria memoria. Ogni tanto mi faccio impressione da solo per la miriade d'argomenti affrontati e di cui talvolta appunto neppure mi ricordo. Ciò avviene con le numerosissime persone incontrate e spesso rischio delle terribili gaffe perché non sempre lo ricordo.
In effetti negli ultimi venticinque anni si sono susseguiti grandi rivolgimenti, come l'ordito assai complesso di un tappeto che - nel disegno ricco e nei molti ghirigori - è cambiato restando paradossalmente lo stesso. Ciò è caratteristico in un'Italia dove "Tutto cambia affinché nulla cambi", come nella Sicilia del "Gattopardo".
Forse in questo continuismo sta il limite dei "tecnici" del Governo Monti, gran parte dei quali sono "grand commis" di Stato tutt'altro che "nuovi" e inseriti in tutto per tutto in un sistema autocentrato e impermeabile ai cambiamenti veri.
E' difficile trasmettere questo senso fatalistico di far parte di un'Italia che sembra destinata - lungo il filo sottile dell'immobilismo e della paura delle innovazioni - a passare da un emergenza all'altra, senza quell'equilibrio che dovrebbe essere rappresentato dalla normalità. Questo ci ha riservato il destino, come un'inquietudine continua e febbrile, che forse - evidente paradosso - finisce per essere la normalità, ma è come se fosse una maledizione.

Sempre sulle autostrade

Ho scritto più volte del nostro sistema autostradale e del fatto che, come soci di minoranza in "Sav" e "Rav", contiamo come il "due di picche" e la stessa autonomia speciale sembra non agire su queste strade che pure, sino a prova contraria, si trovano sul nostro territorio.
Eppure chi stipula le convenzioni – data di conclusione delle concessioni in corso fissata al 2032, che per un contratto è una bella durata... - è "Anas" e chi vigila è sempre "Anas", che mai ha dimostrato gran coraggio e interventismo sui due monopolisti autostradali italiani, Benetton e Gavio.
Chi pensa di comprare l'autostrada cozza contro l'evidenza che il prezzo lo farebbero loro e sarebbe stratosferico e poi fra vent'anni, comunque sia, la Regione - anche se proprietaria delle strutture - dovrebbe fare una gara per l’affidamento. Un bel "cul de sac" da cui non è facile uscire.

Il flash mob contro i "niet"

Paolo Attivissimo con una copia della bandiera americana portata sulla LunaIo ammiro per la loro pervicacia i professionisti del "no", anche se mi stupisco che non si annoino. Sono uno "zoccolo duro" di soliti noti che in Valle agisce da decenni, con l'arrivo di qualche linfa nuova, che si inserisce nel solco dei "vecchi" militanti. E' una singolare compagnia di giro con molti ex dai diversi, ma sempre rispettabili, percorsi umani, perché a tutti può capitare di diventare "ex" e dunque i commenti vanno ponderati.
Nel caso dei "noisti" - perdonate il neologismo - vi è una costante ideologica in alcuni ispiratori e protagonisti: morto il marxismo, con una posizione che un tempo si definiva extraparlamentare, i "nostri" si sono riciclati nel mondo ambientalista per poi virare verso la logica "nimby" (acronimo inglese per "not in my back yard" e cioè "non nel mio cortile"). Un tema, imbevuto spesso di pregiudizi e talvolta di "balle spaziali", spacciato come verità indubitabile. 
Se volete un repertorio della logica parascientifica e millenaristica che "nuoce gravemente al buonsenso" mettetevi a seguire il blog di Paolo Attivissimo. Il giornalista, che ho avuto il piacere di conoscere di persona, è uno specie di paladino dell'onestà intellettuale contro i ciarlatani, gli imbonitori, i professionisti della menzogna, i mestatori nel torbido della credulità popolare.
Per chi fa l'amministratore in Valle d'Aosta, Attivissimo andrebbe ingaggiato e messo in un ufficio ad occuparsi di quelli "contro" come "sistema anti-sistema"
Non c'è argomento che sfugga loro in un meccanismo seriale: il politico di turno propone, le assemblee democratiche decidono, i tecnici analizzano e applicano. A quel punto il professionista della protesta parte come un treno e alla Gino Bartali «l'è tutto sbagliato, l'è tutto da rifare» e inizia la solita litania della protesta (raramente della proposta), oggi diffusa nella logica di community dei social network, che è poi una versione perfezionata del ciclostile per fare i volantini.
Nulla in democrazia è vietato, quando si adoperano metodi legali, per carità! E chi dissente va sempre rispettato nelle sue convinzioni. Ma trovo che gli esperti della critica, tremendi nella loro solfa e litania, abbiano tremendamente stufato e il loro spaziare su qualunque decisione, nella logica del "niet", è ormai grottesca e in molti casi costosa. 
Proporrei una petizione, una manifestazione, un sit-in e persino un flash mob contro chi è sempre contro.
Chi la fa l'aspetti.

Troppa fretta

Il fotogramma che inchioda il colpevole dell'attentato di BrindisiLa fretta è una cattiva consigliera. La vicenda della bomba di Brindisi obbliga tutti ad una riflessione: chi l'ha messa è un anziano imprenditore che voleva vendicarsi per una vicenda giudiziaria di un credito che non era riuscito a riscuotere. Essendo il Tribunale troppo sorvegliato, avrebbe ripiegato sulla scuola. Questo sarebbe il copione della vicenda.
Oggi ne sapremo di più, ma quel che è certo è che cadono i due filoni, quello della pista mafiosa e quello di un'azione terroristica. Chi - me compreso - aveva predicato la cautela aveva poi colpevolmente finito per sentirsi un pirla di fronte alla mobilitazione dei "professionisti dell'indignazione espresso" che avevano invaso le televisioni per commentare gli orrori di logiche stragiste e di disegni complottisti.
E' bene fare pubblica ammenda e riflettere sui meccanismi sempre più veloci di un'informazione che ruota su canali nuovi, che io stesso uso, come quel "Twitter" che ha offerto - per dare subito le notizie - una rapidità nella diffusione che "brucia" tutti gli altri media. Ma il rischio è quello della "bufala" (in gergo giornalistico la notizia infondata) o della dietrologia, rispetto alla notizia, amplificata dalla maledetta fretta. Ognuno in Rete si sente libero di esprimere opinioni e congetture anche su temi che non conosce ed è uno spazio di libertà importante che comporta, come rovescio della medaglia, il rischio di improvvisazioni o di straparlare.
Penso ora a certe manifestazioni, a fiaccolate, a lunghi dibattiti televisivi e ad articolesse sui giornali.
Mi riferisco a certi leader improvvidi ed a "professionisti dell'antimafia" neppure sfiorati dal dubbio, certi della loro indignazione. Certe analisi a caldo erano convincenti e appassionate, ma oggi appaiono degne di miglior causa.
Poi erano subentrate la tardiva prudenza e l'impressione che a Brindisi si consumasse nella magistratura una lotta fra chi non si rassegnava al gesto isolato e chi invece cercava altre piste, come quella che ormai è giunta alla fine con una confessione.
Addolora che quelle ragazze, specie la vittima, Melissa, nei meccanismi del caso che sovrastano le nostre vite, si siano trovate nel posto sbagliato nel momento giusto, vittime di un tizio assetato di una vendetta con la quale non c'entravano nulla. La storia del "matto" (tra virgolette perché cercherà magari di evitare il processo con la follia) chiude la vicenda e ci ammonisce per il futuro.

Il rispetto per i "cogneins"

Il trenino nella stazione di PilaBrutta gatta da pelare la storia del trenino di Cogne. Vicenda che mi ha fatto soffrire per l'esito disastroso: l'esercizio non è possibile. Una sconfitta, di certo.
E' importante, tuttavia, capire che il trenino non può e non deve avere collegamento con l'indispensabile valorizzazione delle antiche miniere di Cogne.
Ciò deve avvenire con scelte valide e corrispondenti alle finanze pubbliche di oggi, in cui nessuno può pensare a voli pindarici. Bisogna valorizzare stando coi piedi per terra un patrimonio importante per i cogneins, per i valdostani, per le Alpi intere e per un mondo turistico e culturale che può trovare in quei siti elementi di grande originalità.


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Finisce la scuola

L'ingresso del liceo di AostaQuesta mattina, per l'ultima volta in quest'anno scolastico, lungo il quotidiano tragitto fra Saint-Vincent e Aosta, porto i miei figli a scuola (rientrano a casa in treno). Di fatto quello di oggi è l'ultimo giorno di lezione, domani al Liceo Classico hanno organizzato una giornata all'aria aperta, come chiusura in festa e si organizzeranno con i loro compagni di classe.
Ovvio che questa giornata ti faccia ritornare al passato e scorrono, in un flash-back, i ricordi degli ultimi giorni di scuola in quella rigidità dei cicli che caratterizzano la pubblica istruzione: sfocatissime ma dai colori sgargianti sono le immagini delle elementari, più nitide quelle delle medie quando avevi maggior consapevolezza, mentre le superiori sono del tutto presenti e, a partire da una certa età, premessa ad estati indimenticabili, specie - come aveva ragione chi te lo diceva allora - quella fatidica vissuta dopo la Maturità. Il tempo appariva "sospeso" in un'attesa piena di speranze per una porta che si apriva verso il mondo degli adulti. Poi  con Università e con il lavoro, la nozione di "ultimo giorno di scuola" scompare e con essa quell'insieme di sensazioni irripetibili, di cui godi solo solo di riflesso con i figli e nipoti.
Certo è che quando si guarda indietro tutto appaia più bello per un meccanismo di rimpianto che cancella il brutto e lascia solo i ricordi migliori. Eppure, rischiando di apparire un vecchio barbottone, non nascondo - ai tempi della crisi più cupa nella mia vita - di quanto mi capiti di pensare alla differenza di contesto fra me e i miei figli.
L'onda lunga del dopoguerra, pur piena di problemi, contraddizioni e dolori di quei decenni che l'operazione di ripulitura della memoria non deve dimenticare, dava ancora la sensazione di un mondo in progresso e delle molte opportunità che si aprivano davanti a noi giovani. Oggi il clima e diverso e regna il pessimismo, per altro tangibile in dati evidenti: molti giovani rinunciano all'Università, cresce la disoccupazione giovanile, vi è meno propensione al rischio, inseguendo una propria vocazione. Vi è anche un generale disimpegno verso la politica e una visione più intimistica della propria vita.
I giudizi generali sono sempre arrischiati, ma spero davvero che si esca dalle difficoltà attuali e che una comunità piccola come la nostra si impegni ancora di più per il futuro dei nostri ragazzi per evitare che siano fragili e smarriti in questa situazione che angoscia noi adulti e loro con noi.

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