March 2012

Meravigliosi bambini

Alexis e LaurentAl Carnevale, al castello di Verrès, una bambina di dieci anni osserva, allungando un pezzo di panino al salame al piccolo Alexis: «il panino al salame è un diritto inalienabile di tutti».
Chissà da chi avrà copiato queste parole, roba da restare di ottimo umore per tutto il giorno. Un verso di Jacques Brel dice: «un enfant c'est le dernier poète d'un monde qui s'entête à vouloir devenir grand».
Forse questa è l'aspetto più divertente della paternità, che può consentire di rubare loro quell'incredibile energia che emanano. Quando discuto con i miei figli adolescenti, Laurent ed Eugénie, li trovo fantastici nella loro naïveté e negli alti e bassi del loro umore in questa età di transizione. Passano da un'affettuosità che riempie il cuore ad un atteggiamento da istrici. 
Poi osservi nel minuscolo Alexis lo stupore del primo anno: dai balbettii linguistici alla scoperta del suo viso riflesso nel coperchio di una pentola. Come capite la gamma è vasta e confesso di aver sempre guardato con simpatia alle grandi famiglie di una volta, oggi "mosche bianche" per molte ragioni, mentre mio padre ebbe sette fra fratelli e sorelle e mia madre due sorelle.
«On est de son enfance comme on est d'un pays». Così scriveva Antoine de Saint-Exupéry e, ogni tanto, investiti dalle circostanze della vita, finiamo per dimenticare quanti e quanto ci hanno formato e la nostra, ancora più difficile, responsabilità di genitori.

Lucio e le nostre vite

Lucio Dalla a Saint-Vincent nel marzo del 2010Non pensavo che la morte di Lucio Dalla impressionasse così. Ed invece se ne parla moltissimo, come della scomparsa di una persona cara.
D'altra parte la vita, come tanti, l'ho attraversata con le sue canzoni. Così torno bambino - ed è il primo ricordo - a pensare a quella canzone di Dalla, "Fumetto", in cui cantava una specie di "gramelot", scelta dalla "Rai" come sigla del programma di cartoni animati della "Tivù dei ragazzi".
Eccomi  alle medie e sono in pullman, con il libricino del "Festival di Sanremo" del 1971, a cantare a squarciagola "4 marzo 1943", di cui conosco ancor oggi il testo a memoria e mi viene subito in mente quel violino che precedeva l'inizio del brano.
Poi, nel viaggio della memoria, mi ritrovo in una notte del 1979, al "Comunale" di Torino, "inviato" di "Radio Reporter 93" - pensa te - al concerto Dalla-De Gregori agli esordi della mia carriera giornalistica.
E potrei, io come tutti, continuare a trovare agganci fra la vita vissuta e il suo repertorio. Il suo cuore si è fermato a Montreux, a due passi da noi. La cittadina amata da un altro grande della musica, con tanto di statua sul lago Lemano, Freddy Mercury.

La Chambre e il Tribunale

Un corridoio del Tribunale di TorinoLa "Chambre", così da noi è stata ribattezzata la Camera di Commercio, tace sul "Tribunale delle Imprese" e direi in generale sui decreti legge dell'ultimo periodo, specie quello sulle liberalizzazioni. Interessatissima sul fronte della promozione, tipo "Club Med", difetta notoriamente sugli aspetti istituzionali dell'ente, rinato per legge nel 2002 - proprio per rendere più efficaci le azioni nei settori di competenza - dopo essere stato soppresso nel 1945.
Ora con il decreto legge liberalizzazioni si prevede un tribunale civile "speciale" per sveltire le cause in materia di imprese e società. Peccato che questa "corsia preferenziale", contro le lentezze endemiche del sistema giudiziario italiano, ad Aosta non ci sarà. Saremo infatti l'unica Regione a non avere, in barba all'Autonomia speciale, questa sezione specifica. Per noi il tribunale di riferimento sarà - pensa che comodo - quello di Torino.
Si torna, insomma, ad una sana logica sabauda. E diventiamo, come nel disegno di molti, una Provincia piemontese, pure la più negletta. Sarà interessante capire la ragione del mancato riconoscimento: se fosse il numero ridotto delle imprese, allora rischierebbe - in parallelo - di essere posta in discussione l'esistenza stessa di una Camera di Commercio. Se invece riguarda le dimensioni "giudiziarie" della Valle, che non ha una Corte d'Appello, rischia di essere la premessa per chissà quali ulteriori mazzate.

Il riavvio della Paritetica

Marco Cammelli, nuovo membro statale della 'Paritetica'La "Commissione paritetica Stato - Valle d'Aosta", il "motore" per l'elaborazione delle norme d'attuazione del nostro Statuto d'autonomia, riprende la settimana prossima la sua attività, dopo mesi di arresto, dovuti nell'ultimo periodo al cambio di Governo, che costringeva alla ricomposizione della parte statale di questo organo di rango costituzionale, che prevede tre esperti di parte governativa e tre prescelti dal Consiglio Valle.
I due nuovi ingressi di nomina statale sono il professore Marco Cammelli, professore di diritto amministrativo all'Università di Bologna, vecchia conoscenza di noi valdostani e figura di grande rilievo ed un giovane professore dell'Università del Piemonte Orientale, Luca Geninatti Satè, che insegna istituzioni di diritto pubblico. Confermato quello che, dopo il lavoro comune considero un amico, il professor Luigi Melica, un bolognese che insegna a Lecce diritto costituzionale e ha dimostrato un'elevata conoscenza della nostra autonomia speciale.
Nell'ultima fase della precedente Paritetica era l'unico "Professore", mentre gli altri membri statali interpretavano rigidamente la logica dell'apparato burocratico dello Stato con posizioni che rendevano estenuanti le discussioni e, più di una volta, confesso di essermi spazientito nel difendere le nostre ragioni.
La parte regionale, che non era soggetta a rinnovo, resta composta dal professor Adolfo Angeletti, presidente uscente della Commissione (ora spetterà ad un membro statale nella logica della rotazione) e professore a Torino di diritto amministrativo, dal dottor Renato Barbagallo, esperto riconosciuto dell'ordinamento valdostano e di diritto regionale e da chi vi scrive, che si è trovato nel 2008 nella singolare situazione di diventare membro della Commissione creata in modo stabile nel 1993 con una modifica statutaria di cui sono stato autore.
Tralascio le ragioni giuridiche che ci hanno obbligato ad avere la "Paritetica fissa", come miglioramento del nostro Statuto e lo dimostra il lavoro svolto in dieci anni dalla Commissione con l'emanazione di numerose norme d'attuazione che hanno ampliato e migliorato la qualità della nostra autonomia.
La Commissione riparte in un periodo assai delicato per la nostra specialità e mi prenderò di certo la briga, di fronte al Ministro che si occupa degli Affari regionali, Piero Gnudi, che conosco, di ricordare le norme d'attuazione varate e inapplicate (regionalizzazione del Catasto e trasporto ferroviario), delle norme in attesa di varo (regionalizzazione Ispesl, le cui funzioni oggi sono all'Inail ed ordinamento linguistico) e di quelle da discutere (finanza locale nel quadro del federalismo fiscale e la regionalizzazione degli Archivi storici statali, ritornata in Commissione dopo il «no» del precedente Governo Berlusconi).
Altri argomenti saranno oggetto di un calendario di attività, che spero in parte si svolga in Valle in ossequio al principio di pariteticità. Assieme al lavoro al "Comitato delle Regioni", che proprio da domani riguarderà per tre giorni a Lisbona il futuro per noi cruciale dei fondi strutturali, è quello della "Paritetica" un compito impegnativo e complesso. Ecco perché spiacciono poi le umiliazioni come l'invito a non votare in Consiglio di recente memoria.

A Lisbona per discutere

Il rettore Cassella ed il ministro Barca durante l'inaugurazione dell'anno accademicoParto oggi per Lisbona dove, per quel che riguarda il ruolo del "Comitato delle Regioni" e nei limiti dell'impatto che i suoi pareri hanno sulle decisioni che verranno assunte, saranno votati - in vista della plenaria di maggio - diversi documenti sull'insieme di proposte della Commissione europea sul futuro dei fondi strutturali dopo il 2014.
Questa discussione non è per nulla banale per la Valle d'Aosta, visto che i fondi di derivazione comunitaria potranno risultare preziosi in epoca di "vacche magre" e far cessare quei ragionamenti che in epoca florida di trasferimenti crescenti mi sono sentito fare: del genere «non ne abbiamo bisogno», perché bastava chiedere e i soldi arrivavano in qualche variazione di bilancio. 
Ora lo scenario cambia e a Lisbona apparirà un'evidenza: se normalmente si ragiona in termini di gruppi politici, sui fondi strutturali torna la forza degli interessi nazionali per capire di quanto sarà la "torta" da spartire (il budget complessivo), quali saranno i criteri per la spesa e quale sarà la distribuzione per settori. Ogni decisione comporta delle conseguenze e per questo, come capo della delegazione italiana, ho presentato emendamenti ai pareri concordati con la Conferenza delle Regioni e mi accingo a difenderli con le unghie e con i denti.
Per l'Italia e di conseguenza per la Valle la partita non è banale. Abbiamo nella discussione due grossi problemi di credibilità: tutta quella parte di Sud che non è riuscita a spendere i fiumi di denaro ricevuti e questo è incomprensibile per i nostri partner europei; alcuni Paesi vorrebbero la clausola "a tagliola" che chi non rispetta i parametri fissati per rientrare dal deficit pubblico (già "Patto di stabilità") dovrebbe rinunciare ai fondi europei.
Come sempre capita, il problema italiano è quello di avere una strategia comune delle diverse delegazioni: dal Governo al Consiglio, nel lungo percorso dai tavoli tecnici alle decisioni sottoposte poi al Parlamento europeo, che ha un potere vero di codecisione. Ancora oggi, malgrado le cose siano un poco migliorate, non sempre gli uni sanno cosa fanno gli altri e gli italiani rischiano di mantenere quella fama piuttosto triste di una scarsa credibilità.
Io farò del mio meglio in questi mesi e con il Ministro della "coesione territoriale" (definizione che contiene anche il futuro della politica della montagna in Europa!), Fabrizio Barca, di certo il peso italiano è aumentato. Nella sua lectio magistralis all'Università della Valle d'Aosta c'era un livello di lettura assai "tecnico", ma in realtà molto politico, su come conciliare il rispetto delle regole e la necessità di semplificare meccanismi che rendono la spesa dei fondi europei una corsa ad ostacoli.

Le differenze fra generazioni

Il sottoscritto durante un tg regionale di qualche anno faL'altro giorno con un tweet ho evocato l'importanza per me del 22 febbraio, data beneaugurante, essendo anche la data di nascita di mio papà, visto che quel giorno nel 1980 entrai alla "Rai" di Aosta come praticante giornalista. Un'occasione che mi permise, prima del lungo "prestito" alla politica, di vivere esperienze bellissime.
Erano, tra l'altro, anni particolari per l'informazione radiotelevisiva con il dilagare della liberalizzazione dell'etere, che permise ai giovani di allora di avere nelle radio e televisioni "libere" (così si definivano con una dose di ingenuità) un trampolino di lancio. E, in contemporanea, con la nascita della Terza Rete televisiva, allora denominata quale rete regionale, si aprivano possibilità - che ebbi l'opportunità di sfruttare - e che mi permisero di entrare nel servizio pubblico radiotelevisivo appena ventenne.
Al mio messaggio su Twitter ha risposto, giustamente sardonica, una collega di oggi, segnalando come lei pensi che l'assunzione a tempo indeterminato scatterà per lei nel... 2020. Purtroppo questa è la verità rispetto alle occasioni di lavoro di oggi, pur interessanti in prospettiva per le nuove modalità di comunicazione su Internet, che prefigurano una rivoluzione simile a quella che ebbi l'occasione di vivere in una rara situazione nascente.
Ma oggi appunto le modalità di assunzione sono diventate le più varie nel mondo giornalistico e l'assunzione a tempo indeterminato se arriva è solo alla fine di un "percorso di guerra" mica da ridere e che talvolta lascia per strada molti che nel frattempo si stufano di aspettare.
E' per questo, in fondo, che questo gran parlare della maggior facilità di licenziamento sembra essere qualcosa di paradossale per chi aspetta il suo turno per un assunzione certa, oltretutto in un periodo in cui vi è una disoccupazione giovanile da record. E questo si registra purtroppo anche qui in Valle.

Un volto buono dell'Europa

L'Unione Europea ha il "pro" di immaginare il futuro con documenti di lunghissimo respiro e, per contro, non ce la fa a reagire con efficacia alle emergenze.
Ci riflettevo di fronte ai documenti in discussione qui a Lisbona, da dove vi scrivo, e che riguardano il periodo di programmazione 2014-2020 dei Fondi europei. Si tratta delle linee direttrici che sono riassunte in modo assai efficace dal sito europroject-online del professor Carlo Baldi, storico consulente in diritto comunitario della nostra Valle, che ricorda come si lavori su documenti resi noti nell'ottobre dello scorso anno: "la Commissione europea ha adottato un pacchetto di proposte di nuovi regolamenti relativi ai Fondi strutturali dell'Unione europea per il periodo di programmazione 2014-2020. L'adozione dei nuovi regolamenti è strettamente legata al pacchetto di proposte che la Commissione stessa ha presentato nel giugno scorso in merito al quadro finanziario 2014-2020 e che sono attualmente in discussione".

Comportamenti e spese sanitarie

MozziconiMi capita, quando leggo i giornali, di mettere da parte un articolo che mi ha colpito. E' uno dei "riti" legati alla carta stampata, destinato purtroppo a scemare visto che ormai mi accorgo di un lento ma inevitabile spostamento verso la lettura on line. Intendiamoci: il "copia e incolla" o la stampa di un "pezzo" non sono neanche lontanamente parenti del possesso fisico del quotidiano, che appartiene alla categoria dei piaceri.
Ritrovo in borsa un "faccia a faccia" che mi aveva colpito su "Le Soir", il quotidiano belga francofono che ha periodicamente un inserto che si chiama "polémiques", che in prima pagina pubblica due punti di vista diametralmente opposti sullo stesso problema.
Il tema in questo caso è così riassunto: "un célèbre cardiologue veut qu'on arrête de rembourser les soins aux  cardiaques qui ne respectent pas l'arrêt de fumer, au motif qu'il posent un geste qui aggrave leur mal". Al cardiologo, Pedro Burgada, replica Jean-Pascal Labille delle "mutualités socialistes" che la definisce "une idée dangereuse, inapplicable et inutile".
In sostanza la discussione sui fumatori cardiopatici finisce per essere una discussione sugli "stili di vita" e i costi sociali dei comportamenti soggettivi che possono accrescere le conseguenze della malattia. Tema che penso non debba essere considerato un tabù.
La trasparenza dei costi della Sanità è un tema correlato e non banale. Condivido l'idea, variamente già usata altrove, che in Valle arrivi a fine anno a ciascun cittadini valdostano un estratto conto dei costi di ciascuno in spese sanitarie gravate sul pubblico. Non si tratterebbe di colpevolizzare i malati - per carità! - ma di dare un senso compiuto all'impegno enorme in una spesa ormai totalmente regionalizzata. E chissà che questo non incida anche sui comportamenti.

Il traforo ferroviario che non c'è

Un treno entra nel tunnel del San GottardoLa Storia con la maiuscola, per una serie di ragioni le più varie, si è avvicinata - specie fra Ottocento e Novecento, epoca dei trafori ferroviari - alla realizzazione di un traforo sotto il Monte Bianco o nei suoi paraggi, tipo Piccolo San Bernardo.
Si contano alcuni progetti e un certo numero di fautori dell'opera, prima e dopo l'apertura della galleria ferroviaria del Fréjus, iniziata nel 1857 per volontà di Camillo Cavour, quando la Savoia era sabauda e che venne conclusa nel 1871, quando ormai il Regno d'Italia aveva "annesso" Roma, ma perso da undici anni la terra natale della dinastia dei Savoia. Nel 1882 era stata la volta del traforo svizzero del San Gottardo e la conseguente galleria del Sempione, che apriva l'Italia verso una nuova direttrice ferroviaria, fu realizzata tra il 1898 e il 1906. Il deputato valdostano Francesco Farinet - a lungo parlamentare della Valle - fece di tutto per far avanzare il progetto del tunnel ferroviario del Monte Bianco e nel 1907 il quotidiano torinese "La Stampa" - c'era già! - lancia lo scoop, rivelatosi infondato per diverse ragioni geopolitiche, dell’imminente avvio della costruzione della galleria, che piaceva sia all'Italia che alla Francia in quel momento.
Poi quell'attimo fuggente svanì e tutto finì. Così l'Ivrea-Aosta restò "isolata" dalle linee internazionali di qualunque genere e l'allungamento sino alla Valdigne avvenne solo per assicurare il carbone di La Thuile e non per "bucare" la montagna.
Nel dopoguerra, nell'epoca del boom delle automobili, a rinascere dalle ceneri delle due guerre mondiali non fu la ferrovia, ma il tunnel stradale che conosciamo, simbolo degli anni Sessanta. Di ferrovia sulle Alpi si tornerà a parlare dagli anni Ottanta e da quella temperie uscirono i nuovi trafori ferroviari svizzeri, con il San Gottardo di base in fase di completamento, e il tunnel Torino-Lione al centro delle cronache odierne e il traforo del Brennero, oggi più più in stop che in go. L'Aosta- Martigny, che in Europa avevo portato sin davanti alla porta della "Rete Transeuropea dei Trasporti", è in naftalina per via di una Confederazione elvetica attendista e disponibile a parlarne solo alla fine delle attuali costruzioni in corso.
E il Monte Bianco? Esiste qualche studio, ma in realtà giace nel dimenticatoio della Storia. La Val di Susa ha "vinto" la lotteria per avere una ferrovia che non vuole, a dispetto del fatto che la stazione ferroviaria di Susa potrebbe cambiare molto nel destino turistico della zona. Ma ormai il terreno di scontro vola nel cielo complicato della lite ideologica e le ideologie sono, da qualunque parte le si vedano, cieche e sorde, inadatte a trovare soluzioni per chi voglia davvero trovarle. Su questo l'Europa ci guarda e non capisce.
Io penso che sia un peccato che la mia generazione non sia riuscita e non riesca a seminare qualcosa di concreto su di uno sbocco ferroviario per la Valle d'Aosta che ci porti direttamente oltre le montagne. Sapendo che la rete ferroviaria in Europa - specie sulle lunghe distanze - si svilupperà sempre di più, finita l'ubriacatura automobilistica dell'ultimo mezzo secolo e in concorrenza anche con gli aerei. Speriamo che a trovare un "nostro" collegamento ferroviario al di là delle Alpi ci riescano i nostri figli e nipoti.

La Festa della donna

Donne al lavoro in Cina, nelle piantagioni di risoPur non avendo ancora oggi piena consapevolezza di come affrontarla, per i suoi caratteri di festa non comandata, annoto anche qui un pensiero sulla celebrazione odierna della "Festa della donna", sapendo che di questo oggi si parlerà parecchio.
Sul tema vige una qual certa ipocrisia in noi uomini, che facciamo - per non sbagliarci - degli auguri cangianti a seconda delle interlocutrici, muovendoci goffamente - caratteristica maschile per eccellenza - su di un terreno scivoloso fra sms romantico-goliardici e battute da bar o da "baci Perugina".
C'è chi crede nella festa e dunque con loro è inutile essere sardonici. Di conseguenza avanti con sorrisi e mimose e con una buona dose di "politicamente corretto". Mentre c'è chi non ci crede e compartecipa dunque, con complicità, alla titubanza per una ricorrenza che rischia di essere la rappresentazione di un'inferiorità. 
Comunque sia, la Festa va presa sul serio nelle sue varie declinazioni: dall'impegno militante alla goliardia degli spogliarelli. Dalla riflessione seria sui dati del lavoro femminile come espressione di libertà alla storia - per me non convincente - delle "quote rosa" come panacea per l'eguaglianza.
La sostanza della festa è sfuggente, perché la "condizione femminile" muta profondamente. Forse la maggior utilità sta nell'approfittare dell'occasione per una società avanzata in tema di parità come quella valdostana per osservare - come ormai avviene anche e purtroppo fra di noi con certe situazioni d'immigrazione che configurano ormai l'esistenza di "società parallele" - quelle situazioni di sudditanza e di mortificazione delle donne che sono una vergogna.

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