January 2012

Treinadan!

Un calendario mayaTreinadan!
Sono lieto di registrarlo con tempestività poco dopo la Mezzanotte nel passaggio con un nuovo anno che appare particolare.
21-12-2012: il solstizio d'inverno sarà alle 11:11. Per gli amanti della cabala questa densità di "1" e di "2" potrebbe già rappresentare un segno premonitore.
Lì si situerebbe la profezia Maya di un cambio di un ciclo per il mondo. Per i catastrofisti un punto e a capo che potrebbe segnare la fine dell'umanità.
Mi sono informato in questi giorni, leggendo le teorie sia di chi ipotizza disastri sia di chi se la ride di certe superstizioni.
Ebbene, pur non avendo già prima alcun dubbio in merito, siamo di fronte ad una colossale mistificazione. Chi trema, pensando alla fine del mondo, stia sereno, perché ha maggiori possibilità di lasciaci la pelle attraversando la strada o con un oliva che lo strozzi.
La miglior sintesi  anti catastrofista  l'ho trovata sul sito del "Comitato italiano per il controllo delle affermazioni sul paranormale - Cicap", nato nel 1989 per iniziativa di Piero Angela e di un gruppo di studiosi, di cui facevano parte, fra gli altri, Silvio Garattini, Margherita Hack, Giuliano Toraldo di Francia, Tullio Regge ed Aldo Visalberghi
Massimo Polidoro, giornalista e scrittore che ha dedicato la vita a smascherare gli imbroglioni di tutti i generi, risponde così ad un lettore preoccupato: "I Maya, come tanti popoli dell'antichità, avevano occhi per guardare e come tutti erano incuriositi dal cielo. Avevano notato che la posizione delle stelle si ripeteva nel corso del tempo e avevano creato i loro calendari: ne avevano uno civile, uno religioso e uno per il conteggio nel lungo periodo. Quest'ultimo, che serviva a misurare il tempo lungo i secoli, misurava cicli di 1.872.000 giorni, cioè circa 5.126 anni, la distanza che c'è tra l'11 agosto 3114 a.C. e il 23 dicembre 2012. Cosa succederà in questa data? La fine del mondo? Più precisamente la data finale, da cui poi il calendario ricomincia, coincide, non a caso, con un solstizio d'inverno, che i Maya riuscivano a prevedere poichè con ogni probabilità  conoscevano il fenomeno della precessione degli equinozi".
Non possiamo che essere ammirati dalle conoscenze scientifiche dei Maya, popolazione sterminata dall'avidità e rozzezza dei "Conquistadores", ma sulla fondatezza della presunta profezia - che ci ammorberà per tutto quest'anno in un crescendo - meglio fin da subito dire che è scientificamente infondata.

Viaggiare in retromarcia

Antonello Venditti a Courmayeur durante la trasmissione di CapodannoSotto Natale ho guardato un po' di più del solito la televisione generalista pubblica e privata.
Trovo che due delle caratteristiche salienti siano rappresentate dalla cura del segmento di pubblico più anziano e da autori che vivono di nostalgie e ricordi. Il presente è assente, cancellato ed è come se l'Italia viaggiasse in retromarcia. L'unica eccezione è la cronaca nera con i suoi meccanismi ripetitivi e in fondo senza tempo.
Solo così è spiegabile - in questo moto verso il noto - il dispiegarsi di trasmissioni sempre uguali, di cui è esemplare quel "Paperissima" di Antonio Ricci, trasmissione nata nel 1990 e che ripete nel tempo gli stessi filmati o quel "Porta a Porta" di Bruno Vespa iniziato nel 1996, che ha attraversato le ere della politica italiana. Potrei moltiplicare gli esempi da cui si evince un conservatorismo evidente, che sembra lo specchio della società italiana.
Nei programmi spicca una pattuglia di cantanti "vecchi": da Claudio Baglioni ad Antonello Venditti (entrambi "vittime" di chirurghi plastici), dai Pooh ai Nomadi (resistenti a ogni forma di pensionamento) e via di questo passo con ritmi musicali del passato, talvolta remoto. E c'è chi canta e balla brani che magari da giovane disprezzava. 
Esiste un rimpianto, come elemento di fondo, che appare grottesco e che non sta né in cielo né in terra, quando appare come un esorcismo verso il futuro.
La crisi italiana è anche in questo.

Le buone intenzioni

"La strada per l'inferno è lastricata di buone intenzioni" è un proverbio double face.
Può voler dire che tra quanto annunciato o sperato preliminarmente e la successiva realtà concreta c'è una bella differenza oppure che non sempre una cosa fatta per una buona ragione ottiene l'esito voluto.
Primo caso: sarò buono e poi non mi attengo all'intenzione e mi comporto da carogna. Secondo caso: sarò buono e offro generosamente un bignè a qualcuno che ne resta soffocato.
Ma, senza troppo filosofeggiare, le intenzioni sono caratteristiche di inizio anno e a questo mi attengo.

Einstein e la crisi

Albert Einstein"Il mondo come lo vivo io" è un insieme di pensieri dell'inizio degli anni Trenta, scritto da Albert Einstein (1879-1955). Avevo letto questo libro da ragazzo, apprezzando la versatilità e la bizzarria del grande fisico tedesco di origine ebraica, che fuggì dal nazismo emigrando negli Stati Uniti. Come non riconoscersi nel suo celebre aforisma: «Ci sono due modi di vivere la vita: uno è pensare che niente è un miracolo. L’altro è pensare che ogni cosa è un miracolo».
Ma in questi anni gira in Internet un suo celebre brano sulla crisi, riferito al periodo fra le due guerre mondiali, ma universale in alcuni passaggi. Recita così: «non possiamo pretendere che le cose cambino, se continuiamo a fare le stesse cose. La crisi è la più grande benedizione per le persone e le nazioni, perché la crisi porta progressi. La creatività nasce dall'angoscia come il giorno nasce dalla notte oscura. E' nella crisi che sorge l'inventiva, le scoperte e le grandi strategie. Chi supera la crisi supera sé stesso senza essere "superato". Chi attribuisce alla crisi i suoi fallimenti e difficoltà, violenta il suo stesso talento e dà più valore ai problemi che alle soluzioni.
La vera crisi, è la crisi dell'incompetenza.
L'inconveniente delle persone e delle nazioni è la pigrizia nel cercare soluzioni e vie di uscita. Senza crisi non ci sono sfide, senza sfide la vita è una routine, una lenta agonia. Senza crisi non c'è merito»
.
Ognuno può leggere le stesse parole in modo diverso, perché questa è la bellezza delle idee che germinano diversamente a seconda del terreno in cui si trovano. Io sono persuaso che anche per la comunità valdostana questo sia vero, a condizione che si esca proprio dalla "pigrizia" e si generi un confronto che più è piccola la comunità e più è necessario.
Confronto vero, non di facciata, perché quello equivale ad una bugia.
Sempre con Einstein: «è difficile sapere cosa sia la verità,
ma a volte è molto facile riconoscere una falsità»
.

Non essere dei "falabrac"

Luca AntoniniSi moltiplicano, con grande fermento, le prese di posizione le più disparate a favore della soppressione delle autonomie speciali. Ultimo in ordine di tempo a chiederlo è il professor Luca Antonini, costituzionalista, che dovrebbe essere cauto sul tema nella sua veste di Presidente della pur fantomatica "Commissione tecnica paritetica sul federalismo fiscale" (anzi, nominato da Silvio Berlusconi potrebbe anche intendersi ormai decaduto).
Si dirà: nulla di nuovo sotto il sole. Sin dalla Costituente che varò l'articolo 116 della Costituzione che sancisce l'esistenza delle "Speciali" e che approvò la prima versione degli Statuti d'autonomia (fu successiva la nascita del solo Friuli Venezia-Giulia) iniziarono le prese di posizione dei contrari. 
Ricordo che con la riforma del regionalismo nel "Titolo V" della Costituzione - culminata nel 2001 - ci fu una riscrittura del 116, prevedendo forme di specialità per tutte le Regioni. Il testo in vigore, frutto di una discussione cui partecipai attivamente, è questo:
"1. Il Friuli Venezia Giulia, la Sardegna, la Sicilia, il Trentino-Alto Adige/Südtirol e la Valle d'Aosta/Vallée d'Aoste dispongono di forme e condizioni particolari di autonomia, secondo i rispettivi statuti speciali adottati con legge costituzionale. 
2. La Regione Trentino-Alto Adige/Südtirol è costituita dalle Province autonome di Trento e di Bolzano.
3. Ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia, concernenti le materie di cui al terzo comma dell'articolo 117 e le materie indicate dal secondo comma del medesimo articolo alle lettere l), limitatamente all'organizzazione della giustizia di pace, n) e s), possono essere attribuite ad altre Regioni, con legge dello Stato, su iniziativa della Regione interessata, sentiti gli enti locali, nel rispetto dei principi di cui all'articolo 119.
4. La legge è approvata dalle Camere a maggioranza assoluta dei componenti, sulla base di intesa fra lo Stato e la Regione interessata"
.

Vivendo allora tutto il dibattito che portò alla riforma, posso testimoniare che anche in quel momento le "autonomie differenziate" contavano su parecchi nemici, aumentati in questi tempi di crisi nel quale cavalcare il populismo è semplice.
Si può far finta di niente, basandosi sul fatto che la bufera passerà. Oppure è possibile porsi su di una posizione difensiva: le norme di rango costituzionale non sono foglie al vento e dunque non possono essere modificate per un capriccio contingente.
Ma questa tattica di protezione, esattamente come quella attendista, appaiono ormai insufficienti e il rischio è che intanto qualcuno continui a stringere una sorta di "garrota politica" che soffochi le "Speciali", culminando in una bella revisione costituzionale.
Allora, in tempi di "liberi tutti" in cui nessuno sembra seguire regole elementari di rispetto e di sacralità di norme costituzionali storiche, io credo che si debba essere offensivi e smettere di subire attacchi indiscriminati.
Per quel che mi riguarda, ho intenzione di dire ovunque forte e chiaro che ogni messa in discussione dell'autonomia speciale, in un quadro regressivo e non certo nella agognata ma sempre più distante riforma dell'Italia in senso federale (professor Antonini, ma pensa davvero che il federalismo fiscale contenesse del federalismo?), significa una rottura storica inaccettabile, che porrebbe i valdostani nella piena legittimità di ridiscutere in profondità i rapporti con lo Stato, perché all'atto fondativo della Repubblica italiana esisteva una logica pattizia di tipo politico non modificabile unilateralmente. 
Altrimenti, se restassimo inattivi, allora saremmo, con un piemontesismo, solo dei "falabrac".

Lo spostamento dei Re Magi

I Re Magi da presepeCon l'avvicinarsi dell'Epifania, nel presepio della mia infanzia, i tre Re Magi progredivano, con quotidiano spistamento, verso la capanna. Della Befana mi interessava meno, anche se non trovavo niente male il carbon dolce. Oggi questa invenzione del fascismo mi convince sempre meno e mi pare che non sia diventata una tradizione vera e propria, buona sola per le calze esposte negli autogrill.
Bel mistero questi Magi.
Nei Vangeli sinottici, quelli "ufficiali", solo quello di Matteo afferma che «Gesù nacque a Betlemme di Giudea al tempo del re Erode. Alcuni Magi giunsero da oriente a Gerusalemme e domandarono...». Il plurale adoperato chiarisce che fossero più di uno, ma senza precisarne il numero e non si dice altro.
Qualcosina di più emerge nei Vangeli apocrifi, dove i Magi appunto sono tre e portano i celebri doni: oro, incenso e mirra e spunta la questione, ricca di misteri scientifici, della stella cometa che annunciò loro la Natività.
E spuntano i nomi di Gaspare, Melchiorre e Baldassarre (quello di colore), anche se i milanesi li chiamavano - a complicare la storia - con i nomi di Rustico, Eleuterio e Dionigio.
Cosa c'entra Milano? Nel 325 dopo Cristo a Costantinopoli, Eustorgio, quando venne nominato vescovo di Milano, ricevette le reliquie dei Magi dall'imperatore Costantino e queste reliquie - improbabili come buona parte dei "resti" dei Santi - furono oggetto nella città meneghina di grande devozione, fino a quando nel 1162 Federico Barbarossa, come bottino di guerra, decise di spostare a Colonia i resti mortali dei Magi (questi germanici, dal Barbarossa ad Angela Merkel...).
Reliquie che scomparvero dopo i bombardamenti alleati su Colonia alla fine della seconda guerra mondiale, che investirono anche il duomo della città. Un tassello nel puzzle dei misteri e della difficile simbolistica legata ai Magi.
Ma le statuine non risentono di questa complessità.

Il cinepanettone del Fisco

La locandina del cinepanettone di quest'annoQuesta storia degli ottanta ispettori del Fisco (modernamente "Agenzia delle Entrate") sguinzagliati in periodo natalizio a Cortina d'Ampezzo è ricca di suggestioni.
E visto che c'è da temere che la scelta si trasformi in una sorta di "Giro d'Italia" nelle diverse località turistiche, forse seguendo le stagioni, è bene parlarne perché anche la Valle potrebbe finire nel gioco.
Temo che alla fine questi blitz assomiglieranno alle notizie quotidiane sugli arresti dei casalesi (quelli campani, non piemontesi), che sono ormai diuturne e resta da chiedersi chi non sia ancora finito in prigione.
Quello cortinese è un evidente spot promozionale attraverso un'azione esemplare con tanto di inusuale comunicato stampa alla fine delle operazioni. Dal testo, piuttosto malizioso e degno di un ironico elzeviro, si desume che: i controllati sono "evasori" perché la presenza dei controllori (che hanno, si dice nel comunicato, avuto tale garbo da essere scambiati talora per "commessi") ha aumentato il giro d'affari dei commercianti locali (o meglio sono stati battuti gli scontrini...); risulta poi che fra i frequentatori di Cortina ci siano proprietari di supercar che dalle dichiarazioni dei redditi sono dei pezzenti o le cui auto sono intestate a società regolarmente in perdita e dunque con zero imponibile.
Il Savonarola sarebbe contento di questa scelta di punizione di una località "mondana" (e montana), nota alle cronaca non solo come "perla delle Dolomiti" (ma con il complesso di non trovarsi in una Regione a Statuto speciale...), ma anche come scenario (mi scappava il neologismo "scemario") di terribili cinepanettoni.
Devo dire che come lavoratore dipendente che paga le tasse alla fonte potrei gioire di questa "operazione", che conferma una mia vecchia teoria e cioè che basterebbe guardare le rubriche mondane sui giornali per scegliere gli evasori da perseguire. In realtà, però, mi sconcerta il clamore e mi piacerebbe che certe ispezioni avvenissero silenziosamente e senza guardare il calendario.
Sarebbe poi interessante sapere, mesi dopo, quanti soldini siano entrati nelle casse dell'Erario per evitare la sgradevole sensazione che, spenti i riflettori, tutto sia finito con il solito e italico «volemose bene».

P.S.: Ricordo che, con il nostro riparto fiscale, chi da noi non paga le tasse lo fa a detrimento della nostra autonomia speciale e sarebbe bene che chi risulti evasore perdesse l'accesso alle agevolazioni previste dalla legislazione regionale.

E' arrivata la bufera...

Piste vuote a La ThuileConfesso che la violenta tempesta di foehn in corso sulle nostre montagne mi indispone. Come tutti quelli che sono cresciuti a Verrès, ho un naturale penchant per sopportare il vento, ma la violenza delle raffiche di queste ore mi innervosisce.
Questo uragano sembra la giusta metafora della situazione politico-finanziaria da cui siamo travolti in questo inizio anno.
Mi veniva in mente una canzoncina della mia infanzia, scritta e cantata da quel buffo personaggio che fu Renato Rascel, che conobbi personalmente a Saint-Vincent e che è ormai ignoto alle nuove generazioni. Quando l'Italia entrò in guerra con la Germania nel giugno del 1940, nel suo spettacolo di rivista, cantava nella sua caricatura universale del "romano de Roma" un motivetto che divenne un tormentone:
"È arrivata la bufera,
è arrivato il temporale,
chi sta bene e chi sta male,
e chi sta come gli par...
Nella notte profonda,
sembra che uno glielo avesse detto,
e invece non glielo aveva detto
che poi anche se glielo avesse detto
quello lì non ci sentiva
sai come succede in queste cose qua...".

Il pubblico capì il riferimento e la canzone non piacque affatto ai censori fascisti. Oggi le strofe sembrano di grande attualità.
Lo sono per il senso crescente d'inquietudine di fronte  ad una situazione che stenta a stabilizzarsi dopo la terribile manovra finanziaria di fine anno. Sarà un dato soggettivo e come tale flebile, ma continuo ad avere la sgradevole sensazione di una verità comunicata a rate.
Sul piano valdostano vi è da una parte la necessità di capire bene le conseguenze delle "Finanziarie" dello Stato, che si intersecano e si accavallano, rendendo difficile la lettura degli effetti sulle nostre istituzioni e sul nostro sistema e dall'altra è bene seguire la nuova raffica di misure in gestazione che rischia di infliggerci pesanti impatti.
Sarebbe bene che la prevista Finanziaria regionale d'adeguamento venisse discussa e varata al più presto nei suoi aspetti economici e ordinamentali per evitare di stare in una situazione sospesa di attesa densa d'incognite.

Il quadro complesso delle autostrade

La barriera di Aosta della 'A5'La Stella Alpina propone che la Regione compri le autostrade che si trovano in Valle d'Aosta a beneficio, in particolare, di vantaggi tariffari per i residenti.
La questione non è semplice dal punto di vista giuridico, ricordando - come dato di partenza - che il proprietario dell'infrastruttura è oggi lo Stato. E per l'esercizio delle infrastrutture (dette a pedaggio per distinguerle da analoghe infrastrutture gratuite gestite da "Anas") lo Stato si avvale di concessionari autostradali, che sono società di diritto privato cui lo Stato ha affidato il compito di costruire e gestire le autostrade e riscuotere il relativo pedaggio per il transito.
Nel caso valdostano c'è la "Sav S.p.A. - Società autostrade valdostane" che è la concessionaria - con un primo atto risalente al 1963 - dell’autostrada "A5" Quincinetto - Aosta e del sistema tangenziale di Aosta (compresa quella galleria verso il Gran San Bernardo che ha reso problematici i bilanci). Chi decide è un privato: il "Gruppo Gavio", azionista di maggioranza. Scadenza della concessione, mai soggetta a gara (per l'ultima volta ha precisato la Commissione europea), è il 2032. Idem per la "Rav SpA - Raccordo autostradale Valle d'Aosta" - nata con lo scopo di progettare, realizzare e gestire il raccordo autostradale fra la città di Aosta ed il Traforo del Monte Bianco con una concessione ufficializzata nel 1988. Chi decide è il "Gruppo Benetton", che è socio di maggioranza avendo acquisito dal pubblico - con la privatizzazione di "Autostrade" - il controllo del Traforo del Monte Bianco, che ha partecipato alla nascita di "Rav"
Se la Regione dovesse subentrare allo Stato in cambio di una cifra difficile ora da quantificare e qualora ci fosse la volontà di vendere, ci si troverebbe comunque le autostrade già concessionate per i prossimi vent'anni con regole già stabilite, compresi gli aumenti tariffari periodici. Nel 2032 la Regione, se proprietaria, dovrebbe comunque bandire una gara europea per l'esercizio delle autostrade.
Vi è l'ultima ipotesi: quella di un acquisizione delle due società concessionarie, comprando in tutto o sino a raggiungere la maggioranza le azioni dai soci privati oggi "decisori", e ciò immagino che avverrebbe, se i privati fossero d'accordo a cedere, a costi esorbitanti.
Tutto sarebbe diverso se in Italia si prendesse atto - in una logica di discussione sugli esiti delle liberalizzazioni "all'italiana" - che il duopolio "Gavio-Benetton" crea una situazione contraria ai principi di concorrenza, aggravata da meccanismi di gara per i lavori da effettuare sulle autostrade che alimentano le stesse società dei due gruppi (Benetton gestisce anche buona parte degli autogrill). Un business colossale che sicuramente merita attenzione e inserisce le nostre autostrade «care come il fuoco» in un sistema complesso non riconducibile al solo interrogativo locale "comprare o non comprare?", ma nel quadro di un dibattito su che cosa valga la pena di mantenere al pubblico con principi di gestione efficaci e non speculativi.

I vaccini fra informazione e controinformazione

Il  momento di una vaccinazioneSono nato in un periodo in cui certe malattie colpivano ancora duramente, penso alla tubercolosi e alla poliomielite.
Per la prima malattia ricordo le grandi azioni di profilassi a scuola, riuniti nei corridoi e le visite nei centri antitubercolari che sono poi stati chiusi, mentre per la seconda ho nella memoria più profonda quando i miei andarono a prendere il vaccino "Sabin" in Svizzera e conosco, purtroppo, persone un po' più vecchie di me che vennero ancora colpite da questa patologia infettiva.
Sono cresciuto con una fiducia verso i vaccini e, tra l'altro, non essendo stato colpito da bambino da nessuna malattia infantile, da adulto mi sono fatto inoculare tutti i vaccini possibili.
Da genitore non ho mai messo in discussioni le vaccinazioni e così l'ultimo nato ha avuto tutte le vaccinazioni obbligatorie, che gli consentiranno - per questo ne parlo - di andare da lunedì al "nido", e sta facendo anche tutte le altre vaccinazioni raccomandate. Avevo fatto la stessa cosa con i suoi fratelli e la ragazza, poco tempo fa, ha aggiunto anche la vaccinazione femminile contro il papilloma virus.
Quando ero deputato, incontrai dei genitori sudtirolesi fieramente contrari alle vaccinazioni dei figli e da presidente mi trovai con analoghi casi di genitori valdostani che, di conseguenza, avevano avuto problemi sulla base del discusso "obbligo vaccinale" per legge, abolito poi in alcune Regioni e su questa strada sta andando l'Unione europea nel presupposto - attenzione! - che i vaccini si facciano.
In questi anni mi sono documentato e fa impressione vedere come in Rete trionfino pregiudizi e falsità scientifiche nel segno dei "complotti" e delle nefandezze di medici e case farmaceutiche dipinti come solo interessati al business. Talvolta si citano studi, come quello che aveva legato certi vaccini all'autismo, risultati del tutto falsi e frutto di disonestà.
Il caso dell'influenza aviaria ha certo dimostrato che esiste qualche interesse alla drammatizzazione da parte delle case produttrici, perché è ovvio milioni di dosi di vaccino cubano, ma resto convinto che le vaccinazioni - pur con qualche rischio esistente che viene esplicitato nei documenti dati ai genitori - restano un presidio importante per la salute nostra e dei nostri cari, specie in un mondo dove i flussi migratori possono portare in certe zone "indenni" malattie infettive che erano state eradicate.

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