October 2011

Non santificare le tecnologie

Un momento dell'aggiornamento dell'iPhoneLa settimana che si conclude è stata particolarmente dura per i fedelissimi degli smartphone, i telefonini trasformati ormai in veri e propri computer portatili.
Il blocco del sistema di posta elettronica in tutto il mondo sul "Blackberry" ha messo in difficoltà milioni di utenti e evidenziato le fragilità del sistema e rotto una sorta d'incantesimo verso l'affidabilità del telefonino milleusi, versione elettronica del vecchio coltellino svizzero!
Io sono, invece, finito - iPhoniano fedele - nel girone dantesco del nuovo sistema operativo "iOS 5". Mi spiego per i profani: il telefonino "Apple" consente periodici aggiornamenti, sinora via computer, che migliorano e arricchiscono le prestazioni del proprio telefonino.
Diligentemente, poche ore fa, l'ho fatto sul mio con esiti disastrosi, alternando nelle ore successive diversi tipi di malfunzionamento e devo fondamentali aiuti ad un tecnico del servizio informatico del Consiglio Valle se ne sono in parte uscito. So che molti sono ancora in panne e alcuni sono corsi all'Applestore di Torino o si sono infilati nel percorso ad ostacoli dei call center dei gestori telefonici con attese lunghissime per risposte spesso deludenti. Roba da finire sul limitare di una crisi di nervi.
Il mio telefonino è ancora convalescente e certe cose stentano a funzionare, ma si confida nell'intervento di "Apple" per aggiustare le cose.
Fortuna che nel tempo ho esercitato la memoria, per cui certi dati scomparsi - malgrado i sistemi di backup - li ho potuti ricostruire.
Morale della favola: le nuove tecnologie sono un aiuto straordinario ma senza troppo santificarle. Per cui certe situazioni di panne e in parte di scontro fra gli interessi delle compagnie telefoniche e dei fabbricanti di telefonini ad alto valore di contenuti sono utili proprio per mantenere un atteggiamento vigile.

Un dovere civico

La targa dedicata ai fratelli Dayné a CogneSono stato volentieri a Cogne per un momento di ricordo, quello dei fratelli Célestin e Valentine Dayné, cui è stata dedicata una targa commemorativa di fronte alla casa di famiglia, donata al Comune e che ospita un museo etnografico, in parte museo di sé stesso, essendo un'antica casa agricola, che illustra già da sola la rudezza e l'ingegno della vita rurale che per secoli ha segnato la nostra comunità.
Vorrei dirvi perché credo che sia una buona idea il ricordo e di come Cogne abbia dato un buon esempio. Dayné, nato nel 1913, dal 1946 è stato per una trentina d'anni il politico più importante di Cogne, sindaco in diversi momenti (nella targa si legge "maire" ma nel francese valdostano sarebbe "syndic") e per molto tempo fu consigliere regionale e brevemente assessore all'agricoltura. 
Penso di averlo incontrato in una sola occasione, quando mi raccontò di mio zio Severino e di quanto fosse difficile essere unionisti nel dopoguerra. In effetti era così e certi opportunisti avvicinatisi oggi al Mouvement allora non lo avrebbero di certo fatto. 
Ma al di là del partito d'appartenenza, è sufficiente scorrere l'elenco dei consiglieri regionali e anche dei parlamentari per vedere come spesso sia sceso, qualunque fosse il livello d'importanza di questi eletti, un oblio piuttosto generalizzato e colpevole.
Lo considero un comportamento grave e irriconoscente, cui in rare occasioni si contravviene positivamente. La memoria civile non è un optional, ma una componente fondamentale del senso identitario di una comunità, direi un dovere civico e i "cognein" sono stati bravi a ricordarsi di un loro illustre concittadino.
Spero che altri ne seguano l'esempio e, per carità di patria, evito un elenco di "Comuni smemorati" di "loro" personalità importanti.

Fondation Gianadda

Uno scorcio del museoUna domenica a Martigny, inospitale come Aosta con tutti i locali del centro chiusi, per visitare la mostra del pittore Claude Monet. Scenario la sede della "Fondation Gianadda", famiglia vallesana di origini piemontesi che, nel ricordo di un familiare morto in un incidente aereo, si è dedicata al mecenatismo ma senza disdegnare il business.
Monet era un genio e l'esposizione, ricca di tele bellissime, sazia qualunque ammiratore. Uno stupore per me sono risultati i quadri degli oliveti di Bordighera.
"Gianadda", a due passi da noi, macina successi dopo successi, merito di una programmazione "grand public" che mira al sodo e raramente sbaglia il colpo. Così attira numeri importanti, anche se è bene riflettere sul progressivo invecchiamento dei visitatori delle mostre, escludendo le scolaresche precettate.
Lo spazio espositivo, un funzionale cubo di cemento, costruito inglobando ruderi di un tempio gallo-romano, ha come annesso un giardino artistico e da noi sarebbe chiuso per le clamorose barriere architettoniche (non so bene se le norme antincendio siano in Italia più severe), i gabinetti rari e minuscoli e la ristorazione mediocre nella struttura all'aperto. Ma ciò nulla toglie alla "success story" di questa famiglia e della Fondazione, coadiuvata intelligentemente dal settore pubblico.
Un modello ben diverso dal nostro, dove mecenati non se ne vedono e tocca al pubblico occuparsi di questa parte di cultura. Certo abbiamo alcuni spazi espositivi che sono ben più prestigiosi, ma non sempre egualmente fruttuosi. So che non è facile farlo.

Capire gli "indignados"

Alcuni manifestantiSinora non ho scritto degli "indignados", il movimento politico "anti sistema" che dalla Spagna si è diffuso e che sabato ha avuto il suo culmine in una manifestazione contemporanea in molte città del mondo. Compresa Roma, dove purtroppo le azioni violente di gruppi organizzati hanno rovinato tutto a dispetto della maggioranza pacifica.
Non ne ho parlato sinora né per omissione né per disinteresse, ma perché non riesco a capirne la portata reale. Nel senso che questo movimento incanala una protesta motivata dal degrado e dalle storture di un sistema economico-finanziario e dall'inadeguatezza della politica a fornire risposte rapide e convincenti di fronte alla crisi. E sin qui ci siamo: che ci sia una rabbia crescente per tagli, sacrifici, incertezze è ovvio e questo pesa in particolare sulle giovani generazioni che stentano a trovare un lavoro e che hanno un orizzonte di vita scuro e pieno di paure. Ho annotato più volte questa realtà. E la Valle non è al riparo in una logica globalizzata e in un'Italia dove le cose non vanno ed è inutile aggiungere spiegazioni sul punto.
Mi sembra che questa parte di critica, pur talvolta ingenua e schematica, ci stia tutta, quel che manca, per ora, è una proposta reale che non sia giocata solo su affermazioni ideologiche e slogan destinati a spegnersi.
Magari mi sbaglio e chissà quali novità arriveranno, che stento a vedere. Sarei lieto di essere stupito.
Anche la Valle ha alcuni aderenti agli "indignados". Sono più sereno nel giudizio: nel nostro caso nulla di nuovo, essendo la ben nota area a sinistra della sinistra. Basta leggere i nomi e si capisce. Lo dico con rispetto, naturalmente, ma di novità non ce ne sono, essendo i soliti noti - "antagonisti" per scelta politica o per carattere - che inseguono un fenomeno nato altrove e che lo cavalcano alla ricerca di spazi.

Retorica e realtà

La protesta dei poliziotti durante la Mostra del cinema di VeneziaCon la "Legge di stabilità" di queste ore ennesimi tagli al comparto sicurezza, proprio mentre la retorica melensa si riversa su poliziotti e carabinieri, vittime sacrificali dei giovani violenti e organizzati di Piazza San Giovanni a Roma.
Basta leggere i blog con le testimonianze dei poliziotti anonimi per capire che non c'è solo la paura che ogni atto di risposta alla violenza possa costare caro per una logica spesso "buonista" della Magistratura, ma vi sono carenze materiali frutto proprio dei tagli sistematici.
Basterebbe avere in mano i conti della Questura di Aosta o del Comando regionale dei Carabinieri per verificare come negli ultimi anni il taglio ai bilanci alle forze di polizia agiscano in profondità. Manca tutto e ogni spesa - dalla benzina alle gomme, dalla carta ai toner, dalla cancelleria alle attrezzature - è difficile se non impossibile.
Questo in un'Italia dove negli anni le tre forze di polizia (Polizia, Guardia di Finanza e Carabinieri), cui si aggiunge la Polizia penitenziaria con compiti specifici, hanno aumentato i propri organici in modo impressionante in una democrazia per "occupare" inutilmente il Sud, che resta in una situazione difficile per l'affermarsi delle mafie di diverso genere che si saldano ancora e verrebbe da dire in certe zone sempre di più con le società locali. Inutile segnalare qui come non solo le mafie prosperino nelle zone di origine del fenomeno, ma l'espansione nel resto d'Italia sta riuscendo benissimo e non è un caso che giudici esperti ammoniscano periodicamente anche sui rischi che corre la nostra Valle.
Tornando alle forze di polizia, assisteremo nelle prossime ore allo sdegno generalizzato e del tutto legittimo per i fatti di Roma e il crescendo porterà a promesse di tutti i generi. Poi, come avviene sempre "fra il dire e il fare c'è di mezzo il mare" e lo Stato, incapace di riformarsi, userà senza scrupolo, come ormai fa da anni, le forbici dov'è più facile.

Tra violenza e democrazia

Mai comprensione per i violenti.
Questa deve essere una convinzione di partenza contro i giovani, che arrivano da alcuni centri sociali di area anarco-insurrezionalista e da organizzazioni dell'estrema sinistra "antagonista", che ormai periodicamente escono da cortei civili e spaccano tutto in una vera e propria guerriglia con le forze di polizia.
Non ci possono essere distinguo o indulgenze a destra come a sinistra.
Ricordo, come una memoria lontana ma ben presente nel suo significato politico, il dibattito sui giornali negli anni Settanta.

I bisticci nella Lega

Flavio Tosi, sindaco di VeronaBasta guardare il filmato del congresso provinciale di Varese della Lega per capire che siamo alla vigilia ormai di "rotture" clamorose nel "Movimento padano". Non sono tanto le urla, gli strepiti, le dichiarazioni rabbiose a colpire, quanto la faccia terrea, l'eloquio ancora più affannoso, il nervosismo di fronte all'imprevisto di un Umberto Bossi malato, che, se gli volessero davvero bene, non andrebbe più posto in situazioni così difficili e stressanti.
Che resti combattivo lo si è visto ieri dal dito medio elegantemente esibito con la dichiarazione: «Tosi è uno stronzo che ha portato in Lega i fascisti, cosa che non potrà essere tollerata a lungo»'.
La reazione segue le parole di Flavio Tosi, sindaco leghista di Verona, che intervistato da "La Zanzara" su Radio24 aveva detto: «molti deputati in certe votazioni hanno avuto il voltastomaco». Dichiarazioni chiare e penso assolutamente veritiere, malgrado il tentativo successivo di dire di essere stato equivocato.
La Lega lombarda nacque nel 1982, dopo l'esperienza nel 1979 di candidatura di Umberto Bossi nella lista "Federalismo-Europa" per le elezioni europee, capeggiata e voluta dall'Union Valdôtaine. Nello statuto del partito si nota la ricopiatura del modello unionista d'allora, che era poi quello che l'UV aveva preso e rimodellato dal partito per eccellenza, quello comunista. 
Bossi è stato da quel tempo ad oggi leader unico e lo svilupparsi dei partiti personalisti da una ventina d'anni a questa parte ha fatto della Lega, diffusasi in altre Regioni con un ruolo politico sempre più grande sino a decidere oggi della vita o della morte del Governo Berlusconi, un partito con la caratteristica nefasta di essere capeggiato da un solo padre-padrone. Un modello che in democrazia non regge e fa corrispondere troppo il destino di un partito ad una sola persona e ai suoi capricci e umori.
Oggi siamo così alla resa dei conti e se avverranno espulsioni o scissioni molto cambierà nella politica italiana e ciò fa parte, in fondo, della fine del berlusconismo. Un giorno capiremo se ha ragione chi in questi giorni ha ripreso sui giornali quel fatto di cui tanto si parla da tempo e cioè che Silvio Berlusconi, aiutando la Lega indebitata nell'improvvida nascita di una banca, l'avrebbe "salvata" mettendo i soldi necessari nel 2001, ottenendo in cambio un'alleanza di ferro e soprattutto la titolarità del simbolo leghista, il celebre Alberto da Giussano.
Leggenda metropolitana o verità?

Un altro poeta che se ne va...

Andrea ZanzottoUn altro poeta-montanaro se ne va, di quella generazione - lui era stato con i partigiani di "Giustizia e Libertà", i miei preferiti - che si sta spegnendo per ovvie ragioni generazionali.
Quando Andrea Zanzotto aveva compiuto novant'anni, lui, veneto delle Prealpi, ma con il cuore sulle montagne, aveva detto: «Mi piacerebbe tornare in montagna». Era un vezzo, naturalmente, ma leggendo le sue poesie - complesse, difficili e bellissime - si ritrova la montagna più volte.

La poesia "Sì, ancora la neve" comincia così:
Che sarà della neve
che sarà di noi?
Una curva sul ghiaccio
e poi e poi... ma i pini, i pini
tutti uscenti alla neve, e fin l'ultima età
circondata da pini. Sic et simpliciter?

Aveva raccontato ad un giornalista, non a caso: «quando la punizione del fascismo ha costretto mio padre in Cadore. Mi portava a dipingere paesaggi, piante, colline. È cominciata la seduzione. Ed ho continuato a girare le campagne, in bicicletta, passeggiate con amici: un'adorazione».
In "Stelle alpine e profumo di montagna" aveva detto degli alpini: «senso dell´onore e coraggio, saldezza morale e capacità di resistere, tradizioni generose e sano amor di patria. Mi sembra si fondi soprattutto su questi valori il mito degli alpini, ed è sempre stato così forte da far loro vincere le infinite guerre della memoria sulle quali ancora si dividono gli italiani, a centocinquant'anni dall'unità. Un patrimonio di umanità che ha ispirato straordinarie pagine di letteratura (dall'Hemingway di "Addio alle armi" ai reportage dal fronte di Kipling, dal "Diario di Russia" di Rigoni Stern ai racconti di Bedeschi) e che li vede ancora adesso pronti ad accorrere nelle ricorrenti catastrofi naturali e nelle emergenze umanitarie (dal terremoto del Friuli a quelli dell'Irpinia e dell'Abruzzo), all´insegna del motto "onorare i morti aiutando i vivi". Sono tratti del modo d'essere degli alpini, ai quali si somma l'amore per la natura e specialmente per la montagna, che deriva loro dalla conoscenza nativa del territorio e dal legame che mantengono con esso».
Bello, no? Chissà se ha mai scritto della Valle d'Aosta o se ci passò, quando nel dopoguerra lavorava come insegnante in Svizzera - con uno stipendio da sguattero - in un collegio internazionale vicino a Losanna. Magari qualcuno me lo sa dire.

Nicolas non c'era...

Nicolas Sarkozy e Carla Bruni in vacanza la scorsa estateOrmai è una tendenza irreversibile: gli uomini devono assistere al parto della propria partner.
Una volta gli uomini non assistevano né alla nascita in casa, un'attività tutta al femminile ed è stata l'ordinarietà in Valle fino alla fine degli anni Quaranta e poco più con l'ostetrica che era un personaggio nei paesi, né ai parti in maternità, oggi la normalità con una forte medicalizzazione delle nascite. 
Mio padre, che partecipò all'evento di mio fratello e di me, rispettivamente nel 1953 e nel 1958, fu ammesso eccezionalmente in sala parto, nella vecchia maternità di Aosta, in quanto, come veterinario, era considerato un collega dai medici.
Oggi nove uomini su dieci assistono al parto e anzi partecipano agli appositi corsi preparatori. Io ho assistito alla nascita dei miei figli, due parti naturali e un cesareo (non si vede la parte chirurgica) e l'esperienza è bella ma forte. Conosco uomini l'hanno fatto di malavoglia, magari per assecondare le mogli e apparire "moderni"
Sono stupito che Nicolas Sarkozy, il primo Presidente francese che abbia avuto un figlio durante il suo mandato, fosse a Francoforte a parlare di euro, mentre la moglie famosa, Carla Bruni, partoriva una bimba, Giulia, che si aggiunge ai tre figli precedenti del presidente e ad un nipote che lo ha già reso nonno.
Per mesi Sarkozy e la "première dame de France" (già mamma anche lei) erano stato accusati e lo sono ancora di aver voluto questa nascita tardiva per entrambi per rilanciare l'immagine a picco del politico francese in vista delle elezioni del 2012. Ammesso che sia vero e qualche sospetto colpisce anche il meno malizioso, l'assenza in sala parto o almeno in anticamera appare per Sarkozy controcorrente e foriera di critiche.
Va bene essere affaccendati e attivi, ma come rinunciare - specie a cinquantasei anni e so che cosa voglia dire, pur avendo qualche anno in meno - a compartecipare alla gioia di una nascita?

La fine di un dittatore

Gheddafi nei suoi ultimi istanti di vitaI dittatori, prima o poi, fanno una brutta fine. La storia lo dimostra dalla notte dei tempi sino ad oggi.
E il dado è tratto con l'uccisione di Muammar Gheddafi, dittatore feroce e gran cerimoniere del terrorismo internazionale. Era solo una questione di tempo e ora siamo davvero ad un passaggio storico e vedremo cosa sortirà dalla "liberazione" di questo Paese strategico soprattutto per le sue importanti risorse petrolifere.
L'Italia esce da tutta questa storia con le ossa rotte e la partecipazione con le forze "Nato" dell'Italia nella recente guerra non ha sanato il vulnus creato da un atteggiamento favorevole a Gheddafi al limite del ridicolo, specie in occasione delle visite romane degne del "Circo Togni".
Il servilismo dimostrato in certi passaggi è stato imbarazzante e diventa difficile cancellarlo, inneggiando al nuovo regime come se nulla fosse. 
Francesi e inglesi sono già andati all'incasso, specie del "bottino petrolifero" e l'Italia temo sia uscita di scena, come si nota dagli incontri svolti in una gerarchia che ci ha messo nell'angolino.

Registrazione Tribunale di Aosta n.2/2018 | Direttore responsabile Mara Ghidinelli | © 2008-2021 Luciano Caveri