August 2011

L'emergenza annunciata

La crisi continua...Finiva per sentirsi un menagramo chi, come me, per molto tempo ha paventato rischi gravi per l'economia italiana e di conseguenza valdostana per la crisi che, in un inquietante saliscendi, ci occupa da un triennio. Visto che poi piove sul bagnato, come non ricordare le tappe nefaste per la Valle delle Finanziarie statali di questi anni che hanno cancellato tante promesse e grandi dichiarazioni.
Per mia fortuna qui scrivo e le posizioni restano, anch'esse più o meno condivisibili, ma frutto delle mie idee e proposte - penso di poterlo dire - con onestà intellettuale.
Ma la crisi economica, che veniva da molti ridimensionata e negata, coincide ormai con una crisi politica profonda e dolorosa e fa sorridere chi oggi filosofeggia su di un agosto senza vacanze per i politici. Vuol dire davvero volersi rendere ridicoli, come se l'emergenza di oggi non fosse stata annunciata.
Il ricorrente appello al "senso di responsabilità" non può voler dire far finta di niente sulle responsabilità di chi ci ha portati sull'orlo del precipizio. Non credo più che si possano rimandare riforme vere dello Stato e sono arrabbiato che si continui a usare il federalismo come condimento per un sacco di stupidaggini.
Certo si possono avere preferenze sullo scacchiere politico italiano e io ho espresso in questi mesi, con chiarezza, le mie avversioni. Ma mai come in questo momento della nostra storia contemporanea bisognerebbe affermare il distacco della Valle dai giochi di potere romani. Quando si preparano delle catastrofi, è meglio non essere nei paraggi perché si rischia di finirci dentro in pieno, sapendo che l'Autonomia speciale è un argine che ci protegge solo sino ad un certo punto.
Non sono mai stato in vita mia né pessimista né - peggio ancora - catastrofista, ma è bene che i valdostani non dormano sonni tranquilli. Un sano realismo significa capire come muoverci con tempestività in un'epoca di transizione e mutamento e certi passaggi vanno affrontati in una situazione di massima libertà d'azione e di movimento.

L'Europa in un calzino

Calzino corto e sandaliConsentitemi (l'ho fatto e lo farò), una tantum, di occuparmi di una pinzillacchera, neologismo coniato da Totò per intendere una cosa di poco conto. Ogni tanto lo faccio per evitare di occuparmi solo di quei temi ponderosi e preoccupanti che restano sempre nei miei pensieri e chi legge con continuità lo sa bene, ma un poco di leggerezza tonifica, perché non bisogna mai troppo prendersi sul serio.
Solo con gli anni ho capito perché mio padre usasse spesso il sorriso come autoterapia contro un suo spleen e lo facesse anche per il piacere di regalare un sorriso agli altri. Come diceva l'Abbé Pierre: "Un sourire coûte moins cher que l'électricité, mais donne autant de lumière".
Ecco la baggianata sdrammatizzante: nell'esperienza europea, senza pensare di essere un arbiter elegantiae, quel che colpisce è l'affermarsi - nel formale e nell'informale - del famigerato "calzino corto"
Tant'è che mi è capitato qualche emergenza da calzino o qualche curiosità da shopping in qualche Paese europeo e constatare il virus del calzino corto si diffonde.
In un'Europa unita che ha spesso maniacalmente studiato particolari minimi della vita dei cittadini europei, che ci sia un'unione d'intenti su questo piccolo segno di civiltà del "calzino lungo" (fatti salvi i "fantasmini" estivi).
Un giorno, sempre per svago, ci occuperemo dell'integrazione europea anche attraverso la diffusione, dove ignorato, del bidè o meglio bidet, visto che la parola francese viene da un piccolo cavallo normanno e dal modo di cavalcare l'oggetto che serve, invece, per elementari esigenze igieniche. Ma il mistero della sua assenza nei bagni di molti Paesi europei è avvincente come un giallo.

Il mio rapporto sulle minoranze

Vorrei ripercorrere con voi il documento sulle minoranze linguistiche, di cui sono stato relatore e che è stato approvato un mese fa dal Comitato delle Regioni.
Il punto di partenza è semplice: "l'Unione europea è ricca di minoranze linguistiche e nazionali storiche (definibili anche come autoctone o tradizionali) che si esprimono con lingue diverse da quelle dei propri Stati d'appartenenza".
Un dato inoppugnabile, che restringe il campo d'esame non applicandosi alle "nuove" minoranze, quelle frutto delle migrazioni recenti.

I rischi della generalizzazione

CaligolaSulle condizioni materiali tutto è discutibile e va bene usare metodi comparativi con il resto d'Europa, ma, in termini per così dire morali, l'uso della parola "casta" per i politici - dal titolo del celebre libro - ha una genericità ("sono tutti uguali") che non mi convince. 
Che poi la condanna in toto  - facendo parte di entrambe le "caste" posso essere equanime - venga da parte dai giornalisti è come il bue che dice "cornuto" all'asino.
La verità è che in questa Italia corporativa, in cui tutti si proteggono con albi, ordini, collegi, esami di Stato, patentini, praticantati e miriadi di altre porte difficili d'aprire per accedere a professioni e mestieri, prendersela indistintamente con i politici, è come un rito liberatorio, un esorcismo contro i guai quotidiani.
Si tratta di una pratica ingiusta, quando la riprovazione è per tutti la stessa, senza distinguere fra chi lo meriti e chi no. Che ci sia almeno, caso per caso, una graduazione delle pene. Lo dico non solo per un'autodifesa, che suonerebbe come penosa, ma perché ho conosciuto galantuomini (ovviamente anche al femminile) che hanno nobilitato la politica, impegnandosi con vigore e generosità. Ho visto anche trafficoni e farabutti e mi sono tenuto a distanza o mi sono allontanato, appena capita l'antifona.
Certo la politica ospita buoni e cattivi, onesti e disonesti, competenti e ignoranti. appassionati e nullafacenti. Uno spaccato di umanità che rappresenta, in democrazia, l'insieme di persone che diventano per poco o per tanto - e ai diversi livelli politico-amministrativi - dei politici.
Un mandato elettivo, non una professione, come dev'essere. Ma la professionalità quella ci vuole. Sarà pur vero che c'è chi - prendendo sul serio Caligola, imperatore romano, che scherzava sul fatto che avrebbe potuto nominare Senatore il suo cavallo - è stato eletto senza arte né parte perché il voto democratico consente anche questo, ma sia chiaro che è proprio questo progressivo degradarsi della qualità degli eletti ad alimentare il qualunquismo e la demagogia.
Talvolta poi l'elettore che invoca la ghigliottina è lo stesso che, al momento di scegliere, si è fatto tentare dal furbetto, dall'amico dell'amico, dal disonesto disponibile, da quello da pacca sulla spalla o dalla morra in cantina, per poi invocare una rivoluzione antipolitica e un fuoco purificatore.
Per questo la politica è impegno e partecipazione e chi ci crede - eletto o elettore - deve battersi per fare pulizia e ricordare che non c'è alternativa alla democrazia, pretendendo ovviamente che chi viene votato per certi incarichi sia lindo (si potrebbe usare il latino castum - puro - da cui paradossalmente deriva "casta") come promettono certi detersivi e badi agli interessi collettivi e non ai suoi personali.

Una vecchia storia istruttiva

Il 'famigerato' Jambon d'AosteConsidero il dibattito parlamentare di ieri sulla crisi in Italia inutile e tardivo, per cui - per non ripetermi - parlo d'altro.
La questione del "Jambon Aoste" è purtroppo ben nota e già evocata qui in passato.
Ancora di recente, un sito specializzato l'ha così riassunta: «Voilà une des plus belles et des plus juteuses escroqueries "marketing"! C'est l'un des jambons les plus consommés de France, mais ce dernier n'a rien à voir avec la charcuterie de la ville italienne d'Aoste. Ce produit est en fait fabriqué chez nous, mais à partir de carcasses chinoises et américaines, dans une commune du même nom située en... Isère.
Et contrairement à son homologue transalpin, qui est un jambon cru, il s'agit d'un jambon mi-cuit. Le subterfuge a fonctionné pendant des années puisque la marque déposée "Jambon d'Aoste" a été la propriété du groupe "Ao", (Cochonou/Justin Bridou), leader français de la charcuterie. Il aura fallu que la Commission européenne interdise récemment (2008) l'utilisation de cette appellation qui prête à confusion pour que l'ambiguïté cesse. La marque a depuis été renommée "Jambon Aoste" et non plus "Jambon d’Aoste"»
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Quel che è meno noto è il passaggio di società in società (sempre grandi multinazionali) di questo marchio assai attrattivo e ciò dovrebbe essere istruttivo della potenzialità sul mercato francese per il nostro prosciutto "Dop" di Bosses e più in generale per i prodotti originali della nostra Valle. Va aggiunto che l'utilizzo di maiali di provenienza extraeuropea ha portato il "Jambon Aoste" ad affrontare polemiche fortissime da parte degli allevatori francesi di suini, colpiti dalla grave crisi del settore.
La mondializzazione nell'ambito alimentare ha aspetti inquietanti e la tutela dei prodotti tipici, di recente resa più forte in Europa con regole che hanno reso meno semplice l'ottenimento del label comunitari, resta problematica nel resto del pianeta per le lentezze e le titubanze dell'Organizzazione Mondiale del Commercio.
La contraffazione, che è una frode alimentare, è un problema grave anche per la nostra "Fontina": in un recente rapporto sulla pirateria agroalimentare si segnala ancora la vendita di "Fontina" fasulla svedese e danese sul mercato mondiale. Pensando ai problemi di commercializzazione del nostro formaggio tipico (circa 400mila forme prodotte ogni anno), la questione non è banale, visto poi che la gran parte della nostra agricoltura ruota attorno alla "Fontina" ed alla sua vendita.

Parlare con i ragazzi

Un cartello che indica il divieto di vendita di alcolici ai minori di 16 anniAnche oggi trovo inutile occuparmi del "tonfo" della Borsa, che non ha creduto nel pistolotto di Silvio Berlusconi. Troppe volte anche in Consiglio Valle avevo detto che certi ottimismi a Roma nascondevano la realtà. «Ora pro nobis» e scrivo d'altro.
La normativa in Italia, malgrado gli effetti annuncio degli anni passati su di un possibile spostamento a 18 anni, è sempre la stessa e impedisce a chi abbia meno di 16 anni - codice penale alla mano - di comprare e di consumare alcolici.
Nella mia esperienza  giovanile, qualche anno prima dell'età "canonica", capitava un bicchiere di vino o una  birra in osteria o un gin tonic in discoteca. In compagnia capitava qualche bevuta "cul blanc", intonando «Chevaliers de la table ronde» o «E bevilo, bevilo, bevilo...», causava... euforia. Non è il caso di dirsi pentiti, sarebbe ipocrita ma è proprio l'esperienza a obbligarci a trovare soluzioni contro gli eccessi.
Capisco bene come non sia facile per gli esercenti e per gli organizzatori di eventi popolari affrontare frotte di ragazzi che vogliono bere. Ma, si sa, che "la legge non ammette ignoranza" o meglio non consente distinzioni arbitrarie e il "no" dovrebbe essere sempre un "no" senza "se" e senza "ma", pur sapendo che di trucchi ce ne sono a bizzeffe, come il sedicenne che compra per tutti al bar o al supermercato e chi si è visto si è visto.
Ovvio che il proibizionismo da solo non basta e, tra l'altro, può affascinare nel nome della trasgressione. Così non serve solo il buonsenso di chi vende e mesce gli alcolici, ma soprattutto  dobbiamo parlare con i ragazzi e spiegare rischi e danni sia degli eccessi degli alcolici sia dei mix letali con le droghe.
Senza indulgere in troppi moralismi e senza dimenticare la nostra giovinezza: il dialogo per essere efficace, partendo dalla famiglia, deve avvenire con affetto e comprensione.

Racconti

Il libro di Giorgio ZigiottiCon le edizioni "Giovane Holden", Giorgio Zigiotti pubblica dodici racconti sotto il titolo "Birre, caffè e tracce di rossetto"
Giorgio lavora da molti anni alla "Rai" valdostana ed alla scrittura accompagna altre passioni artistiche, come il disegno, la pittura, la musica e passioni nella vita, come la barca a vela e la pesca.
Presenza discreta nel lavoro quotidiano, Zigiotti mostra una scrittura secca ma descrittiva, soprattutto di campionari d'umanità che ruotano attorno al bar, "fotografati" in poche righe nello svolgersi delle storie raccontate con un minimalismo solo apparente.
Come dice in un virgolettato nella controcopertina: "Da bambino i miei zii gestivano un bar. Il mio primo lavoro è stato il barista. Oggi sono un astemio, non praticante. Era destino che le birre diventassero parole, virgole e punti".
L’evocazione dei bar, come luogo di socialità e - giusto in questo caso - di racconti, è interessante e pieno di suggestioni. Credo che molte storie valdostane si incrocino con il bar, punto di riferimento in una comunità come la nostra, dove si creano e si disfano amicizie e amori, si cementano compagnie a geometria variabile, si danno appuntamenti e si fanno incontri, si discute di politica e di sport, si gioca a carte e, naturalmente, si beve.
Penso davvero che nessuno possa dire di non aver avuto, nei diversi momenti della propria vita, uno o più bar come punto di riferimento o di passaggio.

Tornando sul Bianco

Un dettaglio della cartinaRicevo con grande gioia un biglietto di Laura e Giorgio Aliprandi, i coniugi esperti e studiosi di cartografia, che hanno visto come - con una recente e qui già citata interrogazione a risposta scritta al Parlamento europeo di Niccolò Rinaldi - si ritorni a parlare della "proprietà" della cima Monte Bianco in una disputa ben nota fra Italia e Francia.
Con mia viva soddisfazione proprio gli Aliprandi, nella fondamentale pubblicazione del 2007 di Priuli e Verluca "Le grandi Alpi nella cartografia 1482 - 1885", mi davano il merito, come deputato, di aver sollevato con due interrogazioni parlamentari, una nel 1996 e una nel 1999, un tema di cui in Italia - in sedi ufficiali come da loro stessi ricostruito - nessuno si occupava da ben 130 anni!
Ricordo cosa sul tema ha scritto il grande studioso della civiltà alpina, il professor Paul Guichonnet: "la France a toujours fait figurer sur les cartes l'appartenance de la prestigieuse cime à son territoire National, assertion soutenue par plusieurs auteurs. Laura et Giorgio Aliprandi on fait justice de cette théorie et écrit de manière définitive, l'histoire de la cartographie franco-italienne du Mont-Blanc, par où passe, sans équivoque, la limite entre les deux pays".
Mi scrivono con la solita schiettezza gli Aliprandi, rispetto alla rivendicazione nazionalistica dei francesi infondata come da loro ben dimostrato con dovizia di carte geografiche e ufficiali, che "francamente siamo pessimisti: la Francia difficilmente ammetterà le cose a livelli ufficiale e terrà congelato il problema".
In chiave europea, come da me sempre sostenuto, la tesi giusta e cioè che lo spartiacque della cima configura lì la linea confinaria assegnando a Francia e Italia la "comproprietà" del sommet del Monte Bianco, non è di quei fatti che cambiano il mondo, ma non si può neanche accettare storicamente una modifica unilaterale nell'equa ripartizione bilaterale della vetta per problemi franco-francesi, come ben spiegano gli Aliprandi nel libro. Come valdostano e europeista spero in una soluzione, magari con una "spinta" delle due Regioni, noi e Rhône-Alpes.

Ercolino sempre in piedi

Ercolino sempre in piediSono sinceramente curioso e anche preoccupato di vedere quali saranno i contenuti - mai fidarsi delle anticipazioni! - del decreto legge di ulteriore emergenza a fronte della crisi economica e di credibilità sui mercati finanziari dell'Italia. 
Non si tratta, se ho ben letto, solo di anticipare le misure della Finanziaria che aveva spalmato parte delle misure più impopolari a dopo le elezioni politiche del 2013, ma anche di aggiungere ulteriori mazzate all'insieme già ricco di batoste.
Tutto ciò dopo che il Governo Berlusconi aveva detto che "i conti erano a posto" e che l'ultima manovra era già del tutto rispondente alle necessità, avendo di fatto umiliato Regioni ed Enti locali e soprattutto dopo aver ampiamente derogato al celebre motto "mai le mani nelle tasche degli italiani", il che in fondo era giusto, avendoli lasciati direttamente in mutande.
Purtroppo, però, non c'è da ridere e se già la Finanziaria regionale 2012 avrebbe dato già grandi dispiaceri con la stretta del nuovo patto di stabilità e i tagli al riparto fiscale frutto del ridicolo federalismo fiscale, c'è da chiedersi ora di quanto saliranno ulteriormente tagli e sacrifici anche in Valle grazie al prossimo decreto legge. Interessante è che nel frattempo siano stati sbloccati una serie di fondi e investimenti per il Sud, che non sono in esatta connessione con i rigore richiesto agli altri.
Immagino, comunque, che il motto la "casa brucia" dovrebbe zittire ogni dissenso e far fare la figura di sabotatore a chi dice che i sacrifici si possono anche subire se chi ci ha raccontato delle bugie se ne va, in contemporanea, a casa. La credibilità italiana nel mondo oggi non è garantita da chi fa sempre "semblant de rien" e sembra il pupazzo "Ercolino sempre in piedi", che la "Galbani" regolava quand'ero bambino.
Malgrado i colpi presi lui tornava sempre su e non restava che aspettare che si bucasse e, di conseguenza, si afflosciasse.

Strano ma vero

C'è anche la paura dei bottoniCerto che non si finisce mai di imparare.
L'altro giorno, a pranzo con una coppia di amici, noto che - all'arrivo del primo piatto - marito e moglie si infilano al collo il tovagliolo, come se fosse un bavagliolo, e chiedono con cortesia ai commensali seduti allo stesso tavolo di fare altrettanto. Spiegano che il loro bambino di quattro anni, che si appresta a mangiare un bel piatto di pasta, sta male e vomita se, mentre pranza, vede dei bottoni, perché sin da quando è neonato - con difficoltà emerse a partire dall'allattamento - ha paura dei bottoni!
Scopro così, attonito, l'esistenza di una fobia, la koumpounofobia, cioè la paura dei bottoni, oggetto di studi e terapie. In media ne soffrirebbero una persona su 75mila e le ragioni della malattia sono piuttosto oscure e chissà come legate a qualche storia profonda dell'umanità e delle sue paure.
La fobia è graduata e si va da chi neppure riesce ad indossare abiti con bottoni a chi deve restare - per evitare di star male - a distanza da persone che hanno capi di vestiario coi bottoni, mentre da adulti pare si possa imparare a dominare la paura, ma ci sarebbero casi di pazienti che trasferiscono la fobia sui tasti del computer! Un bel rompicapo.

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