November 2010

Il ponte d'Introd

Il ponte d'IntrodIl ponte d'Introd venne costruito nel 1915 con l'utilizzo di pietra locale. Sostituiva i precedenti ponti in legno su un tracciato relativamente breve, trentaquattro metri di lunghezza, collegando meglio il capoluogo con il resto del Comune e con il fondovalle. La costruzione durò un anno e l'inaugurazione fu un momento di festa.
E' davvero incredibile come, poco meno di cento anni dopo, il ponte, con il suo strapiombo sottostante di un'ottantina di metri, abbia assunto un significato tremendo: "il ponte dei suicidi"
Penso che nessuno abbia tenuto la triste contabilità ma sono molte le persone, più o meno note e di tutte le età, che hanno scelto di gettarsi nel vuoto da quel ponte in una sorta di terribile "catena di Sant'Antonio" che ha scelto quel luogo come località prediletta per "farla finita".
Esiste in Valle, purtroppo, una forte propensione al suicidio che forse non è mai stata studiata a sufficienza. Ricordo di averne parlato con il Canonico Donato Nouchy, che aveva approfondito le ragioni delle impiccagioni ad Arnad, dove era Priore, e anche nelle zone vicine, notando come il fenomeno avesse anche un carattere culturale e ci fosse stato in certi casi un calo di suicidi quando lui stesso cominciò a garantire regolare funerale religioso a chi si toglieva la vita.
Ricordo che in Giunta discutemmo, qualche anno fa, di fronte ad una serie particolarmente ripetuta di suicidi al ponte d'Introd, se posizionare o no (e quest'ultima fu la scelta) delle reti che evitassero - come avvenuto nel tristemente noto ponte di Cuneo o in cima alla "Tour Eiffel" a Parigi - quello che i vecchi cronisti di nera chiamavano un "gesto malsano".

Profumo di tartufo...

Un invitante cesto di tartufiIl tartufo è uno dei piaceri della vita, che è di stagione, con prezzi più ragionevoli dello scorso anno. Dell'argomento mi sono occupato, quando ero deputato, predisponendo - con amici esperti di tartufo - una proposta di legge assai articolata.
Per vostra curiosità vi segnalo quelle che erano segnalate come specie commerciabili: 

  • a) "Tuber melanosporum Vitt", chiamato anche "Tuber Nigrum Bull", usualmente chiamato tartufo nero pregiato, tartufo nero dolce, tartufo nero di Norcia o di Spoleto, tartufo nero del Penigord; 
  • b) "Tuber brumale Vitt", chiamato anche "Tuber brumale var moschatum Ferry de la Belonne", usualmente chiamato tartufo nero d'inverno, trifola nera o tartufo nero moscato; 
  • c) "Tuber aestivum Vitt", usualmente chiamato "scorzone" o tartufo nero d'estate; 
  • d) "Tuber uncinatum Chatin", usualmente chiamato "scorzone" o di Fragno; 
  • e) "Tuber mesentericum Vitt", usualmente chiamato tartufo mesenterico o tartufo nero ordinario, tartufo di Bagnoli o di Avellino; 
  • f) "Tuber magnatum Pico", usualmente chiamato tartufo bianco d'Alba o del Piemonte o tartufo buono di Acqualagna; 
  • g) "Tuber borchii Vitt", chiamato anche "Tuber albidum Pico", usualmente chiamato bianchetto o marzuolo; 
  • h) "Tuber macrosporum Vitt", usualmente chiamato tartufo macrosporo o nero liscio o grigio;
  • i) vari tartufi del genere "Tuber", usualmente chiamati tartufo nero della Cina o dell'Asia o tartufo cinese o asiatico.

Inutile dieci che il tartufo, per me, è quello alla lettera f) e vi risparmio i tecnicismi della leggina, tipo caratteristiche e classificazione assai utili contro le contraffazioni, che - con diverse tecniche ingegnose - possono trasformare in un tartufo bianco pregiato qualche "patata" insapore e per altro vasta comparare il "troppo" tartufo in giro con le quantità davvero rinvenibili in natura.
Vi resti chiaro di diffidare fortemente dei prodotti alimentari dal gusto e odore di tartufo, cui dedicavo un articolo della mia proposta, che recitava: "Tutti i prodotti alimentari contenenti tartufo devono recare sull'etichetta l'indicazione della specie del tartufo utilizzato e della relativa quantità. E' vietato utilizzare sostanze aromatiche naturali o di sintesi per aromatizzare prodotti alimentari freschi o conservati".
Vi posso assicurare che c'è chi adopera idrocarburi per spacciare alcuni prodotti come "tartufati".
Siate vigili!

Mai il cervello all'ammasso

Diversi punti interrogativi da risolvereTratterò dove dovrò farlo, in seno alla "Commissione Paritetica Stato - Valle d'Aosta", del rapido ottenimento del nuovo ordinamento finanziario della nostra Regione autonoma, così come emerso dall'intesa sul federalismo fiscale. Il fattore tempo non è banale per avere la norma d'attuazione in questo clima di turbolenza politica che sembra destinato a essere stiracchiato per settimane.
Ma, senza apparire schizofrenico o portare il cervello all'ammasso, vorrei dire come per un autonomista valdostano ciò deve avvenire con due sentimenti diversi. Da una parte nella mia vita politica ho sempre fatto i conto con la logica della "realpolitik": l'autonomia speciale è il nostro quadro costituzionale e purtroppo la nostra autonomia finanziaria fa i conti con meccanismi assai diversi da quelli che ci sarebbero in un'Italia federale e parlare di "federalismo fiscale" per questa riforma in atto fa venire il voltastomaco ad un federalista.
Ecco perché l'altro sentimento è che lavorare e trattare nell'attuale situazione vuol dire prendere atto degli spazi attuali ma sperando - come spinta ideale da mantenere - che forse un giorno il regionalismo italiano potrà diventare federalismo, senza il quale il "redde rationem" in Italia non tarderà molto.
Sia chiaro che lo Stato centralista non si corregge con modifiche alla ripartizione fiscale e parlando di un federalismo di carta simile ad un origami.

Il garibaldino "aostano"

Una scena del film di Mario MartoneCuriosando su Internet, avevo notato il posto sul blog di Gaetano Lo Presti, che raccontava di come Remy e Vincent Boniface dei "Trouveur Valdotèn" avessero interpretato due "garibaldini", naturalmente musicisti, nel film "Noi credevamo" di Mario Martone che racconta dei "Mille" di Garibaldi e che è uscito in queste ore nelle sale e che mi riprometto di andare a vedere.
Gaetano commentava come nessun valdostano fosse stato una "camicia rossa" di Garibaldi ed era una convinzione che condividevamo. Infatti quando abbiamo discusso con Stefano Viaggio, il regista "Rai" che si sta occupando di alcuni aspetti dei 150 anni dell'Unità d'Italia, mai avevamo pensato a questo aspetto, mentre lui - per un programma rievocativo - si sta concentrando sui caduti valdostani nelle diverse guerre d'Indipendenza.
Per curiosità sono andato a vedere l’elenco dei famosi "Mille" e scopro una cosa che non sapevo: risulta infatti - numerato al 328esimo posto dell'elenco - Giacomo Costa di Domenico, nato a Rovereto (Tirolo) il 23 luglio 1834, residente ad Aosta, mugnaio. Altrove rinvengo anche la data di morte, avvenuta ad Aosta il 2 giugno del 1881. Naturalmente Rovereto era all'epoca, sia della nascita che della morte, austriaca e dunque Costa era austriaco.
Non ricordo di aver letto nulla di questo Costa e aggiungerei che sfugge pure, a meno di miei errori, alla toponomastica della città di Aosta. A rendere più misteriosa la questione - che poi magari a qualche lettore risulterà facile da spiegare - risulta un documento sulla partecipazione dei trentini al processo di unificazione italiana, che dice: "all'alba del 6 maggio 1860, sui piroscafi "Piemonte" e "Lombardo", salpati dal fatale scoglio di Quarto, vi erano coi "Mille" di Garibaldi i trentini (…) Domenico Toller detto Giacomo Costa".
Chissà che, a ricordo di questo personaggio e anche su questo mistero della doppia identità, qualcuno non possa venirci in soccorso. Da parte mia vedrò che cosa si potrà scoprire di altro, dopo un secolo e mezzo da quegli avvenimenti.

Caleidoscopio 16 novembre

Fabrizio Chierzi, presidente dello Slag valdostano"Caleidoscopio" torna in radio negli spazi di "RaiVd'A" poco dopo le 12.30.
Segnalo il sommario: Antonio Vizzi esaminerà la storia del rapporto tra Aosta e gli Alpini, che sta subendo profondi cambiamenti.
Con Fabrizio Chierzi ed Edy Incoletti l'argomento sarà la comunità aostana legata al software open source.
Michela Ceccarelli approfondirà il tema delle "Donne nell'arte". Infine Christian Diémoz, oltre all'impeccabile conduzione, si occuperà in "Un libro, un disco" de "Le alte vie della fede", volume recentemente ristampato nella collana "Corpo 16".
Buona sintonia su "Radio1".

Un elenco guazzabuglio

I tipici pupi siculiIl Patrimonio mondiale dell'Unesco è ormai un elenco salito a ben 890 siti o affini ed è da scorrere per mettersi di buon umore per gli evidenti criteri di inserimento così sgangherati, genere un colpo al cerchio e uno alla botte, da apparire casuali.
Ora, come ciliegina sulla torta, si assiste al grottesco braccio di ferro fra "cucina francese" e "dieta mediterranea" (con l'Italia alleata con Grecia, Spagna e Tunisia in un incomprensibile embrassons-nous gastronomico) per ottenere il label di patrimonio orale e immateriale dell'Umanità.
Qualche anno fa, povero illuso, avevo promosso, dando un residuo credito, la candidatura del Popolo walser a questa nuova tipologia di protezione. Mi sembrava che il carattere internazionale dei walser fosse bello: una cultura che attraversa l'Europa e che declina una cultura e una personalità assai particolare. Niente di fatto.
L'Italia, invece, ha piazzato in questa categoria, per ora, il teatro dei Pupi e il canto a tenore dei sardi. Anche qui scorrete l'elenco e la credibilità delle scelte vi finirà sotto i piedi. Per cui io stesso, con quell'esperienza, sono stato deluso in modo tombale.
Questo segnalo sommessamente ai sostenitori che in Valle vorrebbero che il Monte Bianco diventasse patrimonio naturale per l'Unesco. Leggete le norme della Convenzione e ne scoprirete l'inutilità e chi esalta la scelta delle Dolomiti di fregiarsi mi dica - nel guazzabuglio di siti classificati - quale sia con esattezza il valore aggiunto per una montagna che ha già una sua notorietà. Aspetto per ricredermi.
Semmai, se proprio vogliamo dare un segnale, che la Valle faccia, nella nostra parte del Bianco, un Parco regionale in attesa che ci sia una tipologia comune - nel diritto internazionale - di tutela e di valorizzazione che valga in Italia, Francia e Svizzera. Collaborazione ora coperta - con grossi limiti di statuto giuridico - dall'"Espace Mont-Blanc".
Il resto rischia di essere inutile carta.

Maramao perché sei morto?

Gorni KramerQualche giorno fa, fra i dibattiti di cui non si può fare a meno, era emerso lo scontro su di una notizia: al Festival di Sanremo sarebbero state cantate "Bella ciao" e "Giovinezza". Scelta improvvida, ammantata di spirito di conciliazione, una sorta di revisionismo storico d'accatto. L'idea è presto tramontata, ma non cambia il fatto che le canzoni - assurte a simbolo - hanno dietro di loro storie più complesse.
I valdostani lo sanno bene con la loro "Montagnes Valdôtaines", che ho avuto l'onore di proporre come inno ufficiale con legge regionale del 2006, derivata da la "Tyrolienne des Pyrénées" di Alfred Roland, ma che si è trasfigurata a beneficio della nostra comunità.
Così il canto partigiano "Bella ciao", affermatosi a partire dall'Appennino emiliano, deriverebbe - come motivo musicale - da un canto ottocentesco delle mondine padane o addirittura da una ballata francese del Cinquecento o forse da una melodia yiddish.
Mentre "Giovinezza" nasce nel 1909 come canto goliardico della fine degli studi degli universitari di Torino sulle parole ridanciane di Nino Oxilia e sulle note di Giuseppe Blanc (valsusino). Diventa poi canto bellico con Alpini e Arditi e dalla Prima guerra mondiale transita al fascismo come inno ufficiale con il testo di Salvator Gotta.
In epoca di 150 anni di unità d'Italia - in un libro di Arrigo Petacco - trovo un'annotazione sul tema trasfigurazione dei canti assai curiosa: dopo l'unificazione, un brigante calabrese, Riccardo Colasuonno detto Ciucciarello, venne ucciso dai "piemontesi" e gli venne dedicata una canzone che cominciava "Ciucciarello pecché si muerte? Pane e vino non t'e mancave, la 'nzalata steva all'uerto..."
Il musicista Gorni Kramer riprese il motivo in onore del... gatto Maramao. Curiosi destini incrociati in musica.

La solita marginalizzazione

La diagnostica sulla televisione digitale terrestreLeggo di una petizione lanciata a Cogne che segnala le mancate promesse legate al nuovo sistema di diffusione televisivo definito "digitale terrestre". Una tecnologia resa obbligatoria dall'evoluzione degli standard tecnici internazionali.
I promotori lamentano come non si sia concretizzata l'annunciata moltiplicazione dei canali televisivi specie in certe vallate laterali. A naso direi che l'unica novità in programma sarà quel "bouquet" francofono che deriva da un accordo "Rai"-Regione.
Per il resto vale il solito discorso: le "zone marginali", cioè quelle che hanno un numero di abitanti limitato, o hanno obblighi di legge di "copertura" di certi servizi oppure, in barba all'eguaglianza dei cittadini, le sacre leggi del mercato si uniformano al principio della redditività.
E' una vita che segnalo questa evidente ingiustizia, che ha portato alla desertificazione di tutte quelle valli alpine dove certi servizi essenziali, ancora più importanti della ricezione televisiva, non vengono garantiti. Noi, da questo punto di vista, contando sull'autonomia, abbiamo limitato i danni. Ma penso a certi incontre con le "Poste" che ti snocciolavano i dati econcomicamente sconfortanti di gran parte degli uffici valdostani, dimenticandosi gli obblighi dei cosiddetti "servizi universali", che servono a tutelare quel principio di eguaglianza che evocavo prima. Perché l'eguaglianza non vuol dire, astrattamente, che siamo tutti uguali, ma che ci si sforza di renere "uguali" quelli che di fatto non lo sono. Ci vogliono, come si dice oggi, "azioni positive".
Per la televisione è lo Stato, nell'attribuire le frequenze, che deve obbligare i "broadcaster" - in soldoni gli editori televisivi - a coprire le zone considerate non redditizie, perché altrove guadagnano!

Il Titanic

Un stampa del naufragio del TitanicL'"amor patrio" è una strana bestiolina. Assomiglia ad una fisarmonica e dunque si allarga e si restringe. Nella sua espansione massima siamo di fronte al nazionalismo nella sua espressione più oscura e retriva (proprio l'"amor patrio" di Johann Fichte fu strumentalizzato dal nazismo).
Nella sua espansione minima è un mondo pieno di affetti e di calore per il proprio paesello. Sembra, per aggiungere un’altra immagine, il volto di una persona, che da truce e minaccioso può diventare disteso e sorridente.
L'"amor patrio" non lo si impone con la Storia o per legge: lo si ha dentro (ed è quel che io penso di provare per la Valle d’Aosta) o lo acquisisce (mi sento ormai europeo). A me l’Italia piace molto: direi che ho visitato tutte le Regioni e tanti paesi e città. Ma mentre il tratto distintivo dell’Europa - e cioè un pluralismo di culture che hanno tratti comuni o complementari - mi aiuta a essere compartecipe di un progetto, trovo maggiori difficoltà, pur dando atto della medesima ricchezza della diversità, a trovarmi ingabbiato da luoghi comuni e retoriche nazionalistiche per l'Italia che corrispondono al nulla. L'esempio più concreto oggi sta proprio nel programma, poverissimo e privo di affetto, che riguarda l’ormai imminente anniversario del secolo e mezzo di unità italiana, che mostra come, scevra da ogni orpello, la ricorrenza sia accolta con freddezza in un momento storico particolare in cui le forze disgregatrici, al Nord e al Sud, stanno crescendo.
Pur avendo - ci mancherebbe altro - un rispetto costituzionale per la Repubblica, penso che l'"amor patrio" sia altra cosa, perché inerisce la sfera emotiva e sentimentale. E, come si dice, "al cuor non si comanda".
Per altro mi colpiscono gli editoriali di Piero Ostellino sul "Corriere della Sera", sapendo quanto questo opinionista sia sempre stato, nella sostanza, favorevole al Governo Berlusconi. Scriveva giorni fa evocando il "Titanic": "le orchestre di bordo suonano tutte, incessantemente, le stesse canzoni: "Escort", "Noemi", "Ruby". Fra i passeggeri, c'è chi balla senza sosta, assordato dalla musica; ma il numero di quelli che restano seduti, e non desiderano altro che il viaggio finisca, aumenta. Il comandante gira fra i tavoli, corteggiando le signore; gli altri ufficiali canticchiano le parole delle canzoni, non curandosi della rotta. La nave procede sempre più lenta. Inesorabilmente, si avvicina all'iceberg. Fra poco ci sarà l'urto e la nave affonderà".

Il fattore tempo

Ogni tanto è meglio darsi una svegliaVi ho già detto come la vita sia strana. Nel 1993 venne prevista, con una riforma dello Statuto d'autonomia, una Commissione Paritetica stabile Valle d'Aosta - Stato. Ho scritto di persona, quando ero deputato, quell'articolo 48 bis e ritengo che il testo della norma sia assai innovativo e consenta, come dimostrato dai fatti, ampi spazi di manovra per migliorare la qualità dell'"ordinamento valdostano".
Ora - per quel caso di cui dicevo - sono membro della Paritetica che sta "macinando" importanti norme d'attuazione a vantaggio della nostra autonomia.
La questione più calda, di grande attualità, riguarda la "blindatura" del nostro nuovo ordinamento finanziario nel quadro del cosiddetto "federalismo fiscale". Sul "riparto fiscale", già soggetto al principio dell'intesa, è bene che ci sia la "protezione" di una norma d'attuazione che nella gerarchia delle fonti si situa ad un livello più elevato delle leggi ordinarie.
Già lunedì scorso lo schema di decreto legislativo sull'ordinamento finanziario avrebbe potuto essere varata dalla "Paritetica", ma i tre membri statali - non informati dal Governo sull'intesa raggiunta sul tema e sull'emendamento già alla Camera per recepirlo - hanno chiesto tempo. Non ho nascosto la mia sorpresa e ho ribadito l'urgenza di un pronunciamento. Mi auguro che ciò avvenga già lunedì prossimo, perché il fattore tempo - nell'incertezza della politica italiana - non è per nulla banale.

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